I miei viandanti

martedì 30 giugno 2009

Antipasti sfiziosi e veloci



Quante volte abbiamo qualcuno a cena, e improvvisamente non sappiamo cosa cucinare?
A me, le rare volte che ho ospiti a cena, succede di cominciare ad elaborare menu complicatissimi, sembra quasi che scorrendo il mio ricettario non ci sia nulla di particolare che io sappia fare, a parte cose normalissime...il problema è che, solitamente, non cucino mai i piatti classici, o quelli particolarmente elaborati, come le lasagne ( le avrò fatte una volta in vita mia), i cannelloni, a meno che non siano comprati già fatti, oppure secondi come arrosti e cose del genere...

Di solito cucino cose più semplici, magari vegetariane, per cui alla fine non sai cosa offrire di particolare... anche perchè, decidendo di esibirsi in ricette poco abituali, si rischia la catastrofe. Almeno è quello che succede a me, quando decido di cucinare qualcosa con cui non ho molta dimestichezza.



Un'alternativa valida per fare bella figura con poca fatica è preparare qualche sfiziosità come antipasto, in maniera da movimentare il menu...avevo visto queste pizzette di pasta sfoglia sul blog di Dolcetto, qualche tempo fa, e ho deciso di provarle. Le pizzette sono buone comunque, ma quelle con la pasta sfoglia sono più veloci da fare, rispetto a quelle con la pasta di pane, perchè basta stendere il rotolo scongelato e farcirle.




Dolcetto consiglia di farcire la sfoglia intera e poi tagliarla, una volta uscita dal forno: certo, le pizzette vengono più farcite, però non è facilissimo tagliare i quadrotti senza disfare tutto il condimento, forse è meglio tagliare la sfoglia e poi farcire quadrotto per quadrotto.

Ho provato due versioni, quella Margherita e con le patate e emmenthal: le patate però vanno tagliate a julienne sottilissime, altrimenti in quei pochi minuti di forno non si cuociono.

Un rotolo quadrato di pasta sfoglia
Passata di pomodoro
Mozzarella
olio evo, sale, origano
patate, rosmarino
un pezzetto di formaggio, tipo Emmenthal, scamorza o provola

Tagliare il rotolo di pasta scongelata a quadretti.

Condirne una parte con il pomodoro, sale e un filo di olio, poi sistemare un pezzetto di mozzarella su ogni quadrato.

Tagliare a julienne la patata, molto sottile, sistemarla sul resto dei quadrotti di sfoglia, salare, pepare e un filo di olio, quindi cospargere di rosmarino.

Infornare sulla leccarda coperta di carta forno, sul terzo ripiano dal basso, in forno caldo a 180 gradi, per circa 2o minuti (almeno nel mio forno).

Per quella con le patate: accendere qualche minuti il grill elettrico, per cuocere bene anche la parte superiore.

sabato 27 giugno 2009

Quando la luce del nord si tinge di nero...

O di giallo, come si dice da noi.
E’ recentissimo uno dei casi editoriali più eclatanti degli ultimi anni, lo svedese Stieg Larsson, che è esploso con la sua trilogia Millennium, famosissima anche grazie al passaparola.
Ma non è un fenomeno dell’ultima ora, in realtà sono diversi anni che si stanno affacciando alla ribalta diversi giallisti scandinavi: l’apripista è stato Peter Hoeg, che nel lontano 1992 pubblicò un altro caso letterario, Il senso di Smilla per la Neve.

Un giallo insolito, ambientato in una Copenhagen invernale, solitaria e oscura, che vede come protagonista la giovane groenlandese Smilla, mezzosangue eschimese dal passato inquieto ed instabile e dal presente incerto.
Smilla assiste alla morte misteriosa del suo piccolo amico Esajas, uno degli abitanti del moderno quartiere le Cellule Bianche, un assemblaggio di casermoni di cemento bianco affacciati sul porto di Copenhagen. Un posto costoso ma abbastanza squallido, abitato da personaggi incolori, tutti persi nelle loro piccole solitudini, ma con la vita piena di piccoli e grandi segreti, e cose non dette.

Il piccolo Esajas ha una madre alcolista, Juliane, donna fragile e insicura, troppo presa dai suoi problemi per occuparsi di lui: il piccolo si aggrappa a Smilla e ad un altro abitante del palazzo, il meccanico, uomo mite e tranquillo, solido e silenzioso, che invece nasconde anche lui segreti inquietanti.
Quando Esajas cade dal tetto del palazzo, Smilla è l’unica a non essere convinta della dinamica degli accadimenti.
La ragazza, infatti, conosce la fobia del bambino per l’altezza e, grazie al suo sesto senso per la neve (gli eschimesi hanno dieci modi diversi per definirla), non è convinta delle tracce lasciate dalla folle corsa del bambino, sulla neve intatta del tetto.

“Sono venuti in molti, forse venti, e ora si lasciano inondare dal dolore come da un fiume nero, nel quale si immergono e dal quale si fanno trascinare in un modo che nessun altro può capire, nessuno che non sia nato in Groenlandia. E forse neanche questo è sufficiente. Perché neanche io sono con loro.
Per la prima volta guardo davvero la cassa. E’ esagonale. In un certo stadio i cristalli di ghiaccio hanno quella forma.
Ora la calano nella terra. La cassa è di legno scuro, sembra così piccola, ed è già coperta da uno strato di neve. I fiocchi sono come piccole piume, e la neve è così, non necessariamente fredda. Ciò che avviene in questo istante è che il cielo piange su Esajas, e le lacrime si trasformano in piume di ghiaccio che si posano su di lui. E’ l’universo che in questo modo gli stende sopra una trapunta affinchè lui non debba mai più aver freddo.”
(Edizione Oscar Mondandori, 2005)

Smilla è un personaggio particolare, irrequieto, una mezzosangue che non si ritrova tra i nativi groelandesi, da cui è stata staccata da bambina, ma è destinata comunque ai margini della società danese per la sua diversità, per la sua formazione scolastica, per la sua infanzia tra i ghiacci, che non le permetteranno mai di inserirsi completamente in una cultura apparentemente tollerante e tranquilla, dove invece si nasconde una sottile vena di razzismo e intolleranza verso le minoranze etniche.

Dal libro è stato tratto un film, che insiste molto sulla parte meno interessante del libro, quella del complotto per nascondere il segreto che si cela sotto la calotta polare, cioè la causa della morte del bambino : se avete visto il film, sappiate che le atmosfere del libro sono tutt’altro.

Per quanto riguarda Millennium, ho cominciato a leggere il primo volume proprio avendo sentito i commenti di alcuni amici, e devo ammettere che il romanzo, come si suol dire, acchiappa davvero.
Sono rimasta incollata alle pagine per un paio di giorni, come stregata, fino a che non l’ho finito.

Bella e fascinosa l’ambientazione, in una villa lussuosa sperduta nelle innevate foreste svedesi, nel freddo inverno nordico, in questa famiglia ricca che, dietro un’immagine patinata, nasconde oscuri segreti e delitti inconfessabili.
Ben tratteggiati i personaggi, primo fra tutti il giornalista indipendente Mikael Blomkvist ma soprattutto lei, Lisbeth Salander, giovane hacker dal passato tragico, disadattata ma combattiva, solitaria e scontrosa, vendicativa e diffidente, ma anche intelligente e coraggiosa. Un personaggio dalle molte sfaccettature, la cui complessità si accentua nei volumi successivi, disvelando man mano un passato sempre più nero e sempre più disperato.

Dal primo volume è subito stato tratto un film, di qualità non eccelsa ma abbastanza onesto, quantomeno dignitoso: essendo stato progettato prima del successo planetario del libro, nessuna megaproduzione hollywoodiana, stile Codice da Vinci o Angeli e Demoni: si tratta di una produzione svedese, con attori a noi sconosciuti.
Tutti più o meno azzeccati, comunque, soprattutto Lisbeth: l’attrice ha dovuto convincere, a suon di bravura, i migliaia di fan dell’hacker, che immaginavano la loro eroina più piccola e gracile, e soprattutto più giovane…invece se l’è cavata benissimo, con la sua recitazione ruvida ed espressiva: penso che ormai, nell’immaginario collettivo, Lisbeth Salander abbia ormai il corpo nervoso e gli occhi neri e profondi di Noomi Rapace.
Sono già stati girati i due capitoli successivi che, pare, usciranno in autunno e in primavera.

Speriamo che Hollywood non pensi di girarci un colossal, magari girato da Ron Howard, con Tom Cruise nei panni di Blomkvist e magari Angelina Jolie in quelli di Lisbeth, sarebbero capaci anche di questo.

So di attirarmi le ire dei fans di Larsson, ma il secondo e terzo volume non mi sono sembrati assolutamente all’altezza del primo, almeno secondo la mia opinione.
Nulla da dire sui personaggi e sulla loro storia personale e sulla definizione del loro carattere: finalmente nel terzo capitolo conosciamo tutta la storia di Lisbeth e i motivi che l’hanno portata ad essere quella che è, forse la cosa più interessante di tutta la narrazione.

Innanzi tutto, devo sottolineare una certa prolissità soprattutto nell’inizio di ambedue i romanzi: la storia stenta a prendere l’avvio, rigirando su stessa in maniera inconcludente per due o trecento pagine, abbastanza inutili ai fini dell’intreccio narrativo, anche se godibili da leggere in ogni caso.
E poi, più che verso il giallo, comincia a virare decisamente verso una spy story dai risvolti piuttosto inverosimili: servizi segreti russi, terrorismo, controspionaggio, una specie di cellula impazzita di agenti dei servizi deviati che copre malefatte e malfattori, uccide e corrompe.
Con scene ai limiti di Alias o Lara Croft, come quando (alla fine del secondo volume) Lisbeth riesce ad uscire dalla sepoltura sotto terra con una pallottola in testa, a raggiungere il malefico padre e a conficcargli un’ascia in testa, ma andiamo…

Insomma, siamo più dalle parti di Tom Clancy che di Agatha Christie, purtroppo: io sono un’appassionata giallista, ne faccio collezione da vent’anni, ma non ho mai amato il thriller americano, il poliziesco in senso stretto oppure il genere spionistico. Preferisco il solido giallo psicologico, quello all’inglese, stile John Dickson Carr, dove si deve scavare nella testa dei personaggi e nella loro storia, per trovare la verità: c’è una parte oscura in ognuno di noi, soprattutto in persone dall’apparenza irreprensibile, ed è proprio questa dualità che viene alla luce e rompe gli schemi abituali, consolidati: il male irrompe nella quotidianità facendo saltare tutti i parametri, e la ricostruzione dei motivi per cui succede è la cosa più interessante di un giallo.

Lo scrittore è morto prima di godere dei frutti del suo successo, e la trilogia probabilmente si fermerà lì, sempre che qualcuno non decida (per ragioni puramente commerciali) di sfruttare il filone e i personaggi in altra maniera.
Il finale del terzo volume è stato lasciato aperto ad ulteriori sviluppi, sicuramente in maniera intenzionale: probabilmente Larsson aveva intenzione di far entrare in scena la sorella gemella di Lisbeth, Camille, che è stata nominata per tutto il libro ma non è ancora comparsa tra i personaggi reali.
Sembra che Larsson avesse cominciato a lavorare al quarto e quinto volume, chissà che non ci metta le mani qualcun altro per terminarli, in maniera da concludere la saga in qualche modo.

Un altro giallista anche lui svedese, Henning Mankell è l’inventore del Commissario Wallander, edito da Marsilio: stavolta ancora non ho letto nessuno dei libri ma provvederò quanto prima.
Dalla serie di romanzi con protagonista Kurt Wallander è stata tratto prima una fiction svedese, andata in onda su Rete4 senza molto successo, e poi recentemente è stata ripresa dalla BBC, che ha girato tre episodi pilota con uno strepitoso e stropicciato Kenneth Branagh, uno degli attori più ispirati e profondi della scena inglese e non solo (adoro Kenneth Branagh, se non s’era capito).
Stanno andando in onda su Sky, proprio in questi giorni, e se ne stanno girando gli episodi successivi.

Ho visto Wallander principalmente per la sua presenza, avendo amato moltissimo le sue superbe interpretazioni Shakespeariane, visto che si tratta di un attore che riesce a tenerti incollato al televisore per quattro ore con il suo Hamlet in versione integrale: se ve lo siete perso, correte ad affittare il DVD e accomodatevi perbene sul divano, perché non riuscirete ad alzarvi prima della fine.

Sottolineo subito che sono dei film televisivi ma ad alto livello, con una fotografia molto bella e atmosfere rarefatte, dai colori particolari, freddi, molto nordici.
Non sono, come si può pensare, dei film di azione, assolutamente no: anzi, l’andatura narrativa è piuttosto lenta, la recitazione, dai lunghi silenzi, è più espressiva che dialettica, la trama non particolarmente complessa, tutto sommato non mi sono dispiaciuti per niente, anzi, sono curiosa di vedere sia la serie originale, quella svedese, che di leggere i libri di Mankell.

Insomma, pare proprio che questi scandinavi abbiano imbroccato il filone giusto…

mercoledì 24 giugno 2009

Insalata estiva di Lenticchie




L'estate, tra le sue molte virtù, ha quella di poter cucinare piatti leggeri e coloratissimi, insalate di tutti i tipi che mescolano legumi, verdura e quello che suggerisce la fantasia: di solito ci si limita alle solite insalate di riso e di pasta fredda, ma veramente se ne possono inventare di tutti i tipi, permettendoci spesso di svuotare il frigorifero di avanzi e scatole già aperte.
Ci sono molti alimenti che non consumiamo abbastanza, oppure che di solito sottovalutiamo: tipo i legumi, l'orzo, il farro, che invece possono essere dei validi sostituti di pasta e riso.

In questo caso, ho utilizzato delle lenticchie secche di Colfiorito, di cui mia madre quest'inverno mi ha fatto una bella scorta, col risultato che ho due chili di lenticchie da smaltire in qualche modo...di solito le faccio in umido con le salsicce, ma in questo periodo non mi pare proprio il caso!

Avevo già fatto un'insalata di lenticchie, con radicchio, mais e pachino: in questo caso ho aperto il frigo e la credenza e ci ho infilato quello che avevo.
Il risultato è un'insalata leggera, nutriente e coloratissima. Essendo un piatto che si mangia a temperatura ambiente e si conserva benissimo in frigorifero per un paio di giorni, può risultare ideale per un buffet, oppure per un picnic, al posto delle solite insalate di riso.





Per due persone (abbondante):
100 grammi di lenticchie secche
un cespo di insalatina da taglio (piccola)
una scatola piccola di mais
un barattolo di giardiniera sott'olio (con funghi, olive, carote, carciofini, cipolline e borlotti)

Mettere almeno due ore le lenticchie a bagno, poi sciacquarle e metterle a cuocere a fuoco dolce, finchè non saranno tenere ma non sfatte, in abbondante acqua leggermente salata (a me ci è voluta un'oretta).

Scolarle e passarle sotto il getto dell'acqua fredda, scolarle bene.

Lavare bene l'insalatina (io ho scelto dell'insalata riccia e della scarola, di taglio piccolissimo), scolarla e tagliarla a striscioline sottilissime.

Scolare il mais dal liquido di cottura, quindi unirlo alle lenticchie, assieme a qualche cucchiaio di giardiniera sott'olio.

Mescolare bene e salare. Se si vuole aggiungere un tocco aromatico, va bene dell'aceto balsamico, altrimenti si può aggiungere una salsa fresca di quelle in bottiglia, tipo quelle allo yogurt o della salsa tonnata.

Non ha un aspetto molto invitante?

lunedì 22 giugno 2009

Biscottando qua e là



Questo periodo mi è presa la fissa con biscotti e ciambelline: non sono mai stata un'aspirante biscottiera, ed invece ho scoperto che è facile e divertente, nonchè molto economico, farsi i biscotti in casa.
Sto cominciando a collezione stampini e formine (ce ne sono di bellissimi, nei negozi specializzati), e mi ero anche comprata una pistola sparabiscotti che però è defunta al secondo biscotto (era in offerta, dovevo immaginarmelo che era una sòla). Comunque non demordo, prima o poi me ne comprerò una funzionante.

Preferisco, in genere, i biscotti semplici: certo, anche i biscotti al burro non mi dispiacciono, tipo quelli inglesi oppure danesi (buonissimi i belgi speculoos intinti nel caffè nero, prima o poi trovo il coraggio e li faccio), però preferisco assolutamente quelli più rustici, magari con fatti con l’olio, li trovo più leggeri e meno pastosi.

Curiosamente, ci sono alcuni biscotti che mi piacciono solo a determinati orari, o con alcuni abbinamenti: ad esempio, quelli secchi tipo Oro Saiwa mi fanno impazzire d’inverno, il pomeriggio, inzuppati in un bel the caldo e dolce, con molto limone.
Comoda comoda sul divano, al calduccio nei freddi pomeriggi oscuri, me ne mangerei a tonnellate, a patto che reggano il liquido caldo e non si sciolgano nel the, intorbidandolo.

Mangiati la mattina, invece, mi fanno tristezza, e anche il the mi fa un po’ tristezza, non rinuncerei mai alla mia tazzona di caffellatte tiepido (mai bollente): the e biscotti secchi, di prima mattina, mi ricordano le colazioni tristi di quando uno sta male di stomaco, e va avanti a brodini e mele cotte (che, tra parentesi, mi piacciono molto ma solo d’inverno, chissà perché).

Gli stessi biscotti tristanzuoli possono trovare una guarnizione golosa con della marmellata: nel convento che è stata la mia scuola, quando avevano ospiti per merenda le suore spalmavano questi biscotti con la marmellata di diversi gusti, e li univano due a due. Era un modo per offrire qualcosa di semplice e frugale ma insieme più goloso del biscotto secco.




Allo stesso modo, in molte zone del Lazio, e non solo, si fanno dei biscottoni rustici, di forma oblunga, coperti di zucchero semolato: i migliori che abbia mai mangiato sono quelli fatti nel famoso vapoforno di San Vito Romano (ormai ve ne ho parlato talmente tanto che vi pare quasi di esserci stati): sono grossi, croccanti e porosi, ottimi da pucciare nel caffellatte, dove si inzuppano ben bene: non vi dico cosa sono mangiati con la cioccolata bollente, densa e scura, ma insomma, è una golosità che uno ci si può permettere raramente, altrimenti…

Quest’abbinamento è stata la mia prima sperimentazione culinaria in pubblico (solo la cioccolata, i biscotti erano sempre del vapoforno): dovevo avere 16 o 17 anni e, in un freddo pomeriggio estivo a San Vito, mi esibii in una cioccolata spettacolare con una cuginetta e altri ragazzini.
La ricetta della cioccolata l’avevo imparata da mamma, e feci veramente un figurone…con l’incoscienza della principiante, posso ammettere di non averne mai fatta una così buona, densa densa e profumata.

Ho cercato in rete la ricetta di questi biscottoni pucciosi, e ho scoperto che ne esistono parecchie varianti in parecchi luoghi, non è una specialità esclusiva di san Vito Romano: quasi tutte le ricette prevedono, come agente lievitante, l’ammoniaca per dolci.

L’ho cercata in lungo ed in largo, farmacie e supermercati eppure, pur abitando in una zona non periferica di Roma, non ne ho trovato neanche l’ombra. Ho ripiegato sul lievito comune anche se, leggendo i vari commenti, l’ammoniaca darebbe un sapore diverso al biscotto.

La ricetta originale la trovate qui, sul Forum di Gennarino, ma ce ne sono molte, con più o meno lievi variazioni: io ho scelto quella più leggera, con poco burro, magari la prossima volta proverò a sperimentare una ricetta con olio di oliva.

250 grammi farina 00+ a raccogliere
250 grammi farina Manitoba
2 uova
150 grammi di zucchero
90 grammi di latte (mezzo bicchiere)
100 grammi di burro morbido
Un cucchiaio di vinsanto
Una bustina lievito

Battere le uova con lo zucchero in una ciotola capiente, quindi aggiungere il latte, il liquore e il burro morbido, continuando a mescolare con la forchetta.

Cominciare ad aggiungere le due farine mescolate assieme al lievito. Quando la pasta comincia a diventare consistente, rovesciare sulla spianatoia infarinata e formare un impasto ben lavorato.

Tagliare dei pezzi di pasta e formare un salsicciotto lungo più di 22 centimetri (delle dimensioni di una luganega), appiattirlo con le dita e tagliarlo in due pezzi, ritagliando le estremità per dare una forma rettangolare al biscotto.
Rigare ogni biscotto con i rebbi della forchetta, bagnare con un goccio di latte con un pennello da cucina, quindi passare la parte rigata in un piatto con dello zucchero semolato.

Posizionare i biscotti su una leccarda foderata con carta forno, calcolando che le dimensioni in cottura raddoppiano.

Ripetere fino al termine dell’impasto.

Tempo di cottura:
per non farli bruciare sotto, metterli sul terzo ripiano dal basso con una leccarda al piano di sotto, e lasciare uno spiraglio. Circa 25 minuti a 160 gradi (la prima infornata li ho messi a 180 gradi senza leccarda e si sono cotti subito sotto, ma dentro sono rimasti un po' troppo chiari e morbidi).
Se li volete più coloriti, trasferiteli in basso e accendete un paio di minuti il grill elettrico.

Si conservano benissimo in una scatola di latta (quella che conteneva biscotti danesi al burro, buoni ma un po' pesantucci...)

sabato 20 giugno 2009

Programmi per l'estate


Ed eccoci alla vigilia delle ferie, chi prima e chi dopo. Quasi tutti ormai hanno fatto i loro programmi, magari avete anche prenotato e tutto.

A casa mia ogni anno si presenta il problema del quando avrò le ferie e per quanti giorni…purtroppo, pur avendo un part-time, non ho quasi mai le ferie ad agosto, come i comuni mortali, al contrario di mio marito la cui occupazione chiude la saracinesca per tutto il mese, e buone vacanze.
Io riesco a ritagliarmi un po’ di giorni stiracchiati tra fine luglio e inizio agosto, passando solitamente un malinconico ferragosto se non proprio al lavoro, comunque non lontano dalla città.

Quanto rimpiango i tempi dell’università, quando chiudevo con gli esami i primi di luglio al più tardi, facevo lo zaino e, tra un viaggio e uno scavo, rientravo a fine ottobre, magari con un altro esame pronto, gli abiti quasi laceri e dieci rullini di splendide fotografie.

Ah, bei tempi…




L’ultimo bel viaggio lunghetto l’abbiamo fatto nel 2005, l’estate in cui ci siamo sposati: prima in Trentino, una regione che adoro, poi in Egitto in viaggio di nozze (un resort a quattro stelle, prima volta nella vita, di solito sono molto spartana nei mie viaggi): quella sì che era pacchia…

Gli anni successivi, sempre per colpa dei miei turni balordi o per i lavori a casa, ci siamo dovuti accontentare di una settimana non lontani dal Lazio, in Toscana e in Abruzzo.

Quest’anno, per fortuna, un paio di settimane tra luglio e agosto sono riuscita a spuntarle, e allora abbiamo deciso di tornare in Trentino-Alto Adige: ormai sarà la quinta volta o sesta che ci vado. La regione è veramente bella, per tutto: valli splendide, natura incontaminata, paesi che sembrano usciti dal presepe, persone gentili, pulizia, fiori dappertutto e la cucina nordica, polenta strudel e quant’altro…insomma, che si può volere di più?

La prima volta che sono andata da quelle parti avevo 14 anni, e visitammo la zona dolomitica del Veneto, il Cadore. Una regione affascinante ma piuttosto aspra, scabra, con montagne più rocciose che verdi, valli strette e selvagge.
La base di partenza era un paesotto di nome Auronzo, molto grazioso, non lontano dal Lago di Misurina.
Poi siamo passati nelle praterie verdeggianti della Val di Fassa, a Moena, poi in Val Gardena, dalle parti di Ortisei, e quindi nella Val Pusteria: questa parte, almeno a mio avviso, è più gradevole rispetto a quella veneta, le valli sono più aperte, le colline più dolci e i colori più caldi.

In ogni caso, si può passare tranquillamente da un versante all’altro, avendo come base la Val Pusteria: la zona tra Dobbiaco, San Candido e Brunico, quasi al confine con l’Austria, è una delle più belle, a mio avviso, i paesi sono graziosi e ben curati, l’accoglienza ottima ovunque.

L’estate del 2005 abbiamo scelto un paesino minuscolo nella Valle di Braies, non lontano da Dobbiaco: un grappolo di baite di legno sperdute in mezzo ad una valle verdissima, incontaminata, sulla via del famoso Lago di Braies, dai cangianti riflessi color smeraldo.
Abbiamo fatto tantissime passeggiate anche piuttosto impegnative, come il giro delle Tre Cime di Lavaredo.
Quell’anno usammo per la prima volta la macchina digitale, che allora ci sembrò fantastica e nuova ed ora, con la mia meravigliosa Nikon, mi pare niente più di che una scatoletta di plastica tipo quelle usa-e-getta.

In ogni caso quelle immagini sono andate irrimediabilmente perdute: non avendo ancora sperimentato sulla nostra pelle la disgrazia di perdere fotografie, vennero salvate in un'unica copia, perduta dopo un crash del pc. Non erano fotografie di alta qualità, però mi dispiace lo stesso averle perse, anche perché non è sicuro che ci torneremo, in tutti i posti che abbiamo già visto.

Sono rimasta talmente male che ora faccio quintuple copie ovunque, su hard disk, su pen drive, su cd, in modo da essere sicura di avere accesso ai files intatti.




Quest’anno siamo riusciti, per puzza, a trovare un posticino in un minuscolo paese non lontano da Braies: a fine maggio era già tutto pieno, dappertutto, alla faccia della crisi del turismo. E’ anche vero che i villeggianti montanari solitamente sono frequentatori abituali, famiglie tranquille o appassionati di trekking che spesso tornano tutti gli anni, nello stesso posto.

L’albergo sembra veramente grazioso, d’altra parte da quelle parti tutte le case sono curatissime, con i balconi talmente traboccanti di fiori da sembrare una gara di giardinaggio.

Sto già organizzando mentalmente la valigia, visto che una vacanza in montagna non può essere improvvisata, abbigliativamente parlando. Niente vestiti frivoli, gonne o sandali: tute da ginnastica, scarpe da trekking, felpe e impermeabili, calzettoni pesanti, cappello, occhiali da sole e crema protettiva, nonché un pigiama invernale per la notte (con quello estivo sono morta di freddo, l’altra volta: andavo a letto con triplo strato di indumenti e i calzini di lana, ormai ho imparato la lezione).

Certo non sembrerò pronta per una sfilata di moda o una festa danzante, ma la montagna ha le sue regole, ed è meglio impararle in fretta…

martedì 16 giugno 2009

Palazzo Altemps, seconda parte



Ed eccoci alla seconda puntata della visita al rinascimentale Palazzo Altemps, recentemente trasformato in parte del Museo Nazionale Romano.

Siamo al primo piano, nella cosiddetta Salone delle Feste (o Sala Grande): realizzata nel 1575, ha sulla parete destra un enorme camino in marmo colorato, pavimento in cotto e soffitto a travi di legno.

Nel mezzo si trova uno dei gioielli della collezione Ludovisi, rinvenuto nei giardini della villa di famiglia nel XVII secolo. La splendida villa secentesca, di cui è rimasto solo il Casino dell'Aurora, fu lottizzata alla fine dell'Ottocento e venne completamente distrutta assieme al leggendario parco, dando origine al moderno quartiere intorno a Via Veneto e Stazione Termini.




Si tratta della celeberrima statua del Galata che si uccide assieme alla moglie, una copia antica di epoca ellenistica, forse del II o I secolo a.C., di un bronzo di Pergamo del III, notevole per la resa plastica dei corpi e dei panneggi che sconfina nel virtuosismo, e per la drammaticità delle espressioni.

Questo celebre gruppo fu rinvenuto assieme al Galata Morente, il giovane guerriero celtico, ferito a morte, che rappresenta una delle perle dei Musei Capitolini (di cui parlerò prossimamente): facevano parte, probabilmente, dello stesso gruppo scultoreo ordinato da Attalo I. Essendo stati rinvenuti durante gli scavi per la costruzione di Villa Ludovisi, che si estendeva sugli Horti Sallustiani, è possibile che appartanessero alle decorazioni degli antichi giardini.




Nella stessa sala, l'enorme Sarcofago Ludovisi, della metà del III secolo d.C., su cui è rappresentata la Battaglia tra Romani e Barbari: anche in questo caso si tratta di un'opera notevolissima sia per la composizione che per la raffinatezza dei dettagli scultorei.

Anche in questo caso si tratta di un ritrovamento secentesco, e rappresenta una scena di battaglia che ha come fulcro una figura giovanile barbuta a cavallo, forse identificabile con uno dei figli di Decio.





Accanto allo splendido camino marmoreo si apre la piccola Chiesa di Sant'Aniceto, una cappella secentesca con decorazione ad affresco del Pomarancio, in cui riposa appunto Aniceto, uno dei primi pontefici della storia.


Ed ancora, passiamo prima nella Sala dei Bacchi, poi nella Sala degli Obelischi, con decorazione egitizzante alle pareti e statue di Satiro e Ninfa e Pan e Dafni.




E' recentissima l'apertura di altre 4 sale, in cui sono esposti alcuni pezzi della Collezione Egizia.

Queste stanze facevano parte dell'appartamento in cui abitò il poeta Gabriele d'Annunzio: il celebre vate sposò , appena ventenne, l'ultima erede di Casa Altemps, maria Hardouin di Gallese, di un anno più giovane di lui.

Matrimonio malvisto dal padre e che finì con una clamorosa separazione appena sette anni dopo.

Le statue qui esposte provengono dall'Iseo Campense, da scavi recenti.



Ed ora torniamo dabbasso, dalla parte opposta del cortile, dove entriamo nelle ultime sale, quelle dove sono ospitate Adriano e la bellissima testa di Antinoo, il giovinetto amato dall'imperatore e morto tragicamente in circostanze misteriose, affogato nel Nilo durante un viaggio in Egitto al seguito del suo amante.




E' ora di lasciare le emozioni di questo luogo pieno di storia e di arte, e di rituffarci nella realtà quotidiana...

Per chi volesse documentarsi ulteriormente:

Beni culturali

Archart

Repubblica

Wikipedia

Romasegreta

LinkWithin

Related Posts with Thumbnails