I miei viandanti

martedì 14 aprile 2009

Dentro e fuori le Mura



Ora, fuori dalla Certosa, si prosegue verso la Porta degli Angeli, in un posto dal nome altrettanto poetico, i Rampari di Belfiore.

Il Corso Ercole I perde il suo carattere cittadino man mano che il cammino prosegue anche se, da quello che scrive Bassani, fino agli anni 50 tutti i dintorni facevano parte dei parchi e degli orti delle ville della zona, che furono in parte lottizzati e su cui venne costruita una edilizia a carattere rurale, modesta ma dignitosa, in sintonia con l’ambiente, con caseggiati bassi, schiere di casette graziose dipinti a colori vivaci e viuzze tranquille.

Tutta la città è racchiusa da una possente cinta muraria, risalente all’epoca rinascimentale, tuttora ben conservata e percorribile in molte parti, tranne un piccolo tratto interrotto nella parte meridionale della città, all’altezza della Darsena e del Porto turistico. La parte più bella e meglio conservata, però, sono proprio i Rampari di Belfiore, a cui si arriva proprio seguendo la parte finale del Corso.

L’imponente Porta degli Angeli ha da tempo esaurito la sua funzione di entrata d’onore della città, essendo stata chiusa al passaggio nel 1598 e mai più riaperta.




Le mura proseguono sia a destra che a sinistra, con degli imponenti terrapieni su cui sono stati impiantati dei romantici viali, meta di ciclisti, corridori o semplici sognatori, come la sottoscritta: viali con una prospettiva che sembra portare verso il nulla, verso l’infinito, incorniciati da possenti alberi nodosi, dalla corteccia incrostata di muschio e le lunghe fronde ad incorniciare il passaggio, come un enorme tunnel di verzura.

Dagli alti terrapieni, che si allungano per ben nove chilometri tutto intorno al centro storico, si ammira una visuale sconfinata sulla campagna intorno alla città, formata da piccoli quartieri residenziali che si disperdono nel verde, di costruzione moderna: questa zona, fino a cinquant’anni fa, veniva denominata Barco del Duca (o Barchetto del Duca, come la chiama Bassani), anticamente riserva di caccia della famiglia estense, ed ora parco urbano intitolato proprio alla scrittore.

Proseguendo a destra, appena aggirato il primo bastione d’angolo dalla curiosa forma di picca, una visione emozionante della Certosa e del suo cimitero, fino a costeggiare le alte mura del cimitero ebraico, di cui si intravedono alcune rade tombe.
Bisogna continuare a camminare, fino al Corso Porta Mare e ad un viottolo solitario, chiamato romanticamente delle Vigne, per potervi accedere. Ed eccoci arrivati....




E va beh, questa è la giornata dei cimiteri, d’altra parte sono vicini, confinano addirittura, quello monumentale e quello, assai diverso, in cui riposano i ferraresi di religione ebraica.

La comunità ebraica a Ferrara è sempre stata piuttosto consistente, e il cosiddetto Orto degli ebrei risalirebbe addirittura al Seicento, anche se ormai si trovano solo sepolture dall’Ottocento in poi. E’ proprio questo cimitero che ricorda Giorgio Bassani nel suo romanzo, alla fine del primo capitolo quando, nel 1957, quindi quasi vent’anni dopo gli eventi poi narrati, ormai sposato e padre, va in visita alla necropoli di Cerveteri e, dopo aver visitato le antiche sepolture, comincia a ricordare:

“…io riandavo con la memoria agli anni della mia prima giovinezza, e a Ferrara, e al cimitero ebraico posto in fondo a via Montebello. Rivedevo i grandi prati sparsi di alberi, le lapidi e i cippi raccolti più fittamente lungo i muri di cinta e di divisione e, come se l’avessi addirittura davanti agli occhi, la tomba monumentale dei Finzi-Contini: una tomba brutta, d’accordo - avevo sempre sentito dire in casa, fin da bambino – ma pur sempre imponente, e significativa, non fosse altro che per questo dell’importanza della famiglia.
E mi si stringeva come non mai il cuore al pensiero che in quella tomba, istituita, sembrava, per garantire il riposo perpetuo del primo committente - di lui e della sua discendenza –uno solo, fra tutti i Finzi-Contini che avevo conosciuto ed amato io, l’avesse poi ottenuto, questo riposo.”


(tratto da Giorgio Bassani, "Il giardino dei Finzi Contini", Ed. Paoline-Mondadori, 1997)

Già dall’incipit del romanzo si avverte il senso della tragedia incombente, della fine annunciata, che spazzerà via la giovinezza dei protagonisti, tutta la famiglia Finzi-Contini e soprattutto lei, la mai dimenticata Micòl.

Il cimitero è chiuso da un austero cancello in cemento grezzo, che più che un cancello d’entrata dà una brutta sensazione di reclusione, di ghetto. Ma non lasciatevi intimidire dall’aspetto severo, e suonate sulla porticina a destra. Vi aprirà il custode, l’entrata è libera, l’unico impegno richiesto è la firma sul Libro degli Ospiti, un segno tangibile del vostro passaggio.
Il grande giardino a prato, costellato di grossi alberi, spoglio e un po’ tetro in questa stagione, ospita sparuti gruppetti di tombe: lapidi di pietra scura, stranamente sottili nello spessore, incrostate di muschio, le scritte ormai illeggibili, che riposano sotto enormi alberi contorti.

Un gusto ben lontano dalla ricchezza ridondante e dalla retorica delle tombe del cimitero accanto, in cui si vede una profusione di marmi pregiati, adorne di statue di fanciulle piangenti e prostrate, angeli dalle grandi ali, urne di bronzo cariche di fiori finti.

Questo, al contrario, è un luogo semplice e austero, in cui camminare in silenzio, in punta di piedi, senza neanche un fiore a rallegrare queste lapidi spoglie: è uso invece, come già visto in altri cimiteri ebraici (ad esempio quello, molto più antico e ancora più suggestivo, di Praga), lasciare un sassolino o una piccola pietra, muta e semplice testimonianza della propria devozione.

Il giardino prosegue in varie direzioni ma, seguendo tutto il muro di cinta, si arriva a vedere il terrapieno da dove, poco prima mi ero fermata a guardare. Poco più avanti, l’ultima tomba in fondo, proprio accostata al muro, recentissima, di bronzo, dalla forma curiosa e dalla base cosparsa di sassolini di tutte le forme e i colori: è la tomba di Giorgio Bassani, che tanto amò questo luogo austero, qui sepolto nell’anno della sua scomparsa, nel 2000.
E’ tempo di uscire da questo giardino di morte, e proseguire nel mondo reale, lasciandosi alle spalle le suggestioni e le malinconie che questi luoghi, inevitabilmente, suscitano dentro di noi.

Poco oltre, percorrendo la via delle Vigne, in realtà poco più che un viottolo di campagna, si apre una pista ciclabile in terra battuta, che si immerge tra orti coltivati e prati: appena entrati, proprio di fronte ad una luminosa e straripante Forsizia fiorita, una curiosa insegna dipinta su un bidoncino del latte travestito da mucca, posta a mo’ di cassetta postale, sotto una specie di baita di travi legno scuro.





L’insegna è quella della Pastoreria: è l’Azienda Agricola Terravivabio, una striscia di terra incuneata tra la Certosa da una parte e il Cimitero Ebraico dall’altra, coltivata ad orto ed alberi da frutto.
Questa piccola azienda si occupa di Coltivazione con metodi biologici e vendita dei prodotti: siccome l’argomento mi appassiona, come ben sapete, sono andata a curiosare nel negozio, dentro la casetta di legno, e la prima cosa che ho visto, oltre ceste di verdure fresche, coltivate proprio qui, è stato il Calendario del Pane, di cui vi riporto, per onor di cronaca, gli arrivi settimanali di pane fresco, da forni della zona che utilizzano farine biologiche e metodi di panificazione artigianale.

Martedì arrivano prodotti dal Pane della Vita, pane al cioccolato, uvetta, olive, semi e farro, fatto con pasta madre. Mercoledì arrivano papozze, grano duro, ai cereali e integrale dall’Antico Forno (rigorosamente a legna)
Giovedì e sabato arriva il pane del Panificio Pietro, con farina di produzione propria e pasta madre.

Già questo mi ha rimescolato le papille gustative; inoltre, visto il delirio di panificazione che ha coinvolto numerosi blog impegnati nell’autoproduzione e nell’utilizzo di prodotti biologici ( me compresa), sono sicura che questo sarebbe il paradiso per molte di voi.

Allora ho cominciato a curiosare tra gli scaffali, nei prodotti dell’azienda stessa, ve li elenco qui in ordine sparso, come si sono presentati ai miei occhi: Biscotti di Kamut, Crema di zucca (specialità della casa), farine di tutti i tipi, semolino di riso, miele, composta di rosa canina, Confettura di Kiwi, Confettura di Prugne e Melone, Cuori di radicchio, e poi riso, orzo, farro, farina di mandorle, legumi, succhi di frutta, passata di pomodoro e mille altre delizie che ci metterei un intero il post per elencarvele tutte.

Il negozio, tutto rivestito di legno chiaro, ha scaffali a tutte le pareti, cesti di vimini con il pane, i prodotti freschi, biscotti e dolci, un frigorifero per i prodotti a base di latte, sulla destra un grande tavolo e le panche, una stufa economica accesa e una caffettiera in smalto rosso che dona un’atmosfera casalinga, accogliente.

La mia curiosità e la mia macchina fotografica che scatta ripetutamente invitano alla conoscenza, una domanda a bruciapelo, lei è una turista? No, rispondo, sono una viaggiatrice (vedi post sul viaggio, di cui sopra), e una richiesta inaspettata, insolita, almeno per chi arriva da una grande ed indifferente città: ha da fare per pranzo? Vuole rimanere a mangiare con noi? Non me lo sono fatto ripete due volte.
Un pranzo semplice, attorno al tavolo dentro il negozio, e non importa se nel frattempo arrivano i clienti, abituali oppure semplici viandanti di passaggio, a comprare del pane, conservato in una grande cesta di vimini: il pasto continua, è una consuetudine giornaliera mangiare tra le cassette di frutta e verdura e gli scaffali pieni di barattoli e bottiglie.


Un pranzo alla buona ma genuino, piatti cucinati al momento da Marilù, sul filo dell’improvvisazione, con i prodotti freschi dell’orto: riso basmati mescolato con cipolle e radicchio in umido (una ricetta che cercherò di rifare anch’io, era buonissimo), luganega saporita con salsa al pomodoro piccante sempre di loro produzione, broccoli e cime di rapa lessi, formaggio, una ciotola di insalata fresca e croccante, pane integrale abbrustolito sulla cucina economica (un pane mai assaggiato, forse fatto con qualche farina particolare, di colore marrone scuro, a grana fine, alveolatura piccolissima), il tutto condito da mille chiacchiere, esperienze, racconti e ricette.

Un incontro di quelli inaspettati, come il sole che, inaspettato anch’esso, fa capolino in un pomeriggio finalmente sereno, finalmente primaverile. Le ore sono volate, in quell’ambiente caldo e luminoso, poi alla fine, come in ogni cosa bella, arriva il momento dei saluti. Il viandante riprende il suo cammino, più stanco ma con un bagaglio di esperienze e conoscenze sempre più ricco, più prezioso.




E, sulla strada del ritorno, ecco un altro regalo inaspettato, si apre a sorpresa la Piazza Ariostea bagnata dal sole, altro capolavoro rinascimentale di Biagio Rossetti: le panchine disseminate sulle sue sponde invitano al riposo, alla contemplazione, e cosa c’è di meglio di un meraviglioso gelato in cui il sapore intenso del cioccolato nero, denso e pastoso, si mescola al dolce della mandorla, da assaporare di fronte a tanta bellezza?

12 commenti:

  1. che belle foto, che bel viaggio mi hai fatto fare! :)

    RispondiElimina
  2. Sono contenta di aver condiviso con voi la bellezza che ho visto
    :-)

    RispondiElimina
  3. Grazie Geillis...mi hai emozionata!

    RispondiElimina
  4. tesoro caro, mi sà che io e te abbiamo tante cose in comune!! al prossimo viaggio, organizza e io mi aggrego!! piuttosto, se hai intenzione di venire in toscana, ci sono un bel pò di paesini che secondo me ti farebbero impazzire, specialmente la macchina fotografica...

    ^_^

    RispondiElimina
  5. Grazie per averci portato con te in questa splendida città!!!Sei una meravigliosa compagna di viaggio!!E grazie anche per i tuoi consigli su Parigi...ne farò tesoro!
    Un abbraccio

    RispondiElimina
  6. @ Romy: il mio modo di viaggiare è quello che leggi in questi post quindi, se è anche il tuo, il percorso che ti ho scritto per Parigi ti affascinerà certamente!

    @ Susina: ma io adoro la Toscana!!! A parte Firenze che conosco molto bene, conosco anche bene la zona di Cortona (sono stata con due anni con un oriundo del luogo) e la zona intorno a Manciano, dove vado spesso...ma la regione è tutta una meraviglia, credo che sia quella che conosco meglio di tutta l'Italia, addirittura meglio della mia...magari mi organizzo e ti vengo a trovare
    :-))

    RispondiElimina
  7. Cara Dida, sapevo che ti sarebbe piaciuto
    :-)
    anch'io sto rileggendo il libro, e lo scrittore è riuscito a descrivere benissimo la città, ma vedendola è proprio un'altra cosa...

    RispondiElimina
  8. Ho letto tutto d'un fiato, appuntamento irrinunciabile, e mi vien da dire solo brava! e una gran voglia di rileggere Il Giardino dei Finzi Contini...

    RispondiElimina
  9. hai fatto delle foto incantevoli!! grazie per averci fatto condividere il tuo viaggio!!

    RispondiElimina
  10. Cara Katty, per vostra sfortuna ci sono ancora due puntate, mica finisce così....

    @ Mario: che bello, sono un appuntamento irrinunciabile
    :-))
    Mi impegnerò per le prossime puntate!

    RispondiElimina
  11. La quantità di verde in queste foto è sorprendente... sembra che la campagna si estenda ben all'interno delle mura cittadine. Mi hai definitivamente persuasa che un we a Ferrara dovrei proprio programmarlo :)

    RispondiElimina
  12. Gillis grazie di cuore per avermi fatto conoscere Ferrara, davvero stupenda. Ti ringrazio del commento sono stato sempre Camonista dalla nascita, poi mi sono sentito tradito nel cuore con la EOS D mkIII e sono passato a Nikon..grazie del tuo pensieri gentile, Ciao a presto
    Maurizio
    (la tuo foto in bianco e nero è dolcissima, veramente.. molto.. bella)

    RispondiElimina

Pellegrino che ti aggiri per queste lande incantate, mi farebbe piacere una traccia del tuo passaggio...

LinkWithin

Related Posts with Thumbnails