I miei viandanti
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martedì 4 settembre 2018
venerdì 27 marzo 2015
Cartoline da San Vito Romano
Ed eccoci ancora a passeggiare per il paese di San Vito Romano, abbarbicato sui Monti Prenestini a quasi 700 metri di altezza., una passeggiata tra storia, panorami e colline verdeggianti.
lunedì 19 maggio 2014
Il paese dei nonni, altri ricordi di famiglia
Non c'è verso, questo periodo non riesco a postare neanche una ricetta, ogni settimana mi rileggo la lista dei dolci da fare, e ne avrei, e invece procrastino a quella successiva.
Però ho tante foto pronte da farvi vedere, foto a cui a volte tengo in maniera particolare, perché sono di posti belli, oppure perché appartengono alla mia vita, come quelle di Trastevere.
sabato 15 novembre 2008
Ricette antiche: Babà dell'Artusi

Alla fine sono riuscita a fare il babà dell’Artusi! Dopo una prima prova deludente (la ricetta l’avevo presa sull’Enciclopedia della Cucina di Repubblica, e ci ho capito poco), ho seguito le indicazione del maestro in persona, ed infatti il babà è risultato come doveva essere, almeno credo, non avendolo mai assaggiato.
Precisazione: il babà in questione non assomiglia per nulla al babà come lo pensiamo noi, cioè quello imbevuto di liquore e morbidissimo ( che a me comunque non piace granchè).
Probabilmente all’epoca dell’Artusi quel tipo di Babà non esisteva…in ogni caso, questo dolce io lo chiamerei, invece, Pandolce all’uvetta, perché si tratta di un pane semi dolce molto rustico, una pasta lievitata piuttosto consistente, meno morbida di una brioche, a metà tra un pane e un panettone.
Insomma, il nome indurrebbe a pensare tutto un altro tipo di dolce. Devo ammettere che me l'aspettavo del tutto diverso, non lo consiglierei per un the pomeridiano, ma per una robusta colazione, ben inzuppato nel caffellatte bollente.
Precisazione: il babà in questione non assomiglia per nulla al babà come lo pensiamo noi, cioè quello imbevuto di liquore e morbidissimo ( che a me comunque non piace granchè).
Probabilmente all’epoca dell’Artusi quel tipo di Babà non esisteva…in ogni caso, questo dolce io lo chiamerei, invece, Pandolce all’uvetta, perché si tratta di un pane semi dolce molto rustico, una pasta lievitata piuttosto consistente, meno morbida di una brioche, a metà tra un pane e un panettone.
Insomma, il nome indurrebbe a pensare tutto un altro tipo di dolce. Devo ammettere che me l'aspettavo del tutto diverso, non lo consiglierei per un the pomeridiano, ma per una robusta colazione, ben inzuppato nel caffellatte bollente.
Non dico che non sia buono, però non è un babà come lo intendiamo noi, questo è certo: a meno che non abbia toppato di brutto sulla lavorazione, in questo caso attendo illuminazioni da chi l’ha sperimentato. Il panettone Marietta, che feci l’anno scorso a Natale e che quest’anno rifarò perché era buonissimo, ad esempio, è venuto perfetto.
La lavorazione è piuttosto lunga e laboriosa, bisogna perderci parecchio tempo, se avete un pomeriggio libero iniziate dopo pranzo, perché le ore di lievitazione sono almeno tre e mezza se non quattro. Non so se tutto questo lavoro ne valga la pena, però…di dolci lievitati ne ho fatti altri, tipo la Brioche de Rinxent e La treccia lievitata allo yogurt, che sono riusciti più morbidi.
Se però siete curiosi di attuare le vecchie ricette del maestro Artusi (come me), provatelo…devo dire che il suo modo di scrivere le ricette e di raccontare aneddoti mi fa impazzire!
La lavorazione è piuttosto lunga e laboriosa, bisogna perderci parecchio tempo, se avete un pomeriggio libero iniziate dopo pranzo, perché le ore di lievitazione sono almeno tre e mezza se non quattro. Non so se tutto questo lavoro ne valga la pena, però…di dolci lievitati ne ho fatti altri, tipo la Brioche de Rinxent e La treccia lievitata allo yogurt, che sono riusciti più morbidi.
Se però siete curiosi di attuare le vecchie ricette del maestro Artusi (come me), provatelo…devo dire che il suo modo di scrivere le ricette e di raccontare aneddoti mi fa impazzire!
Quando leggo i suoi racconti e il suo fraseggiare arcaico, mi vengono in mente le grandi cucine di una volta, coi camini enormi, o le cucine economiche a legna, in cui si mettevano quei grossi stampi di rame stagnato che ora sono appesi al muro della mia cucina ma in cui, ricorda mio padre, mia nonna cuoceva dolci e torte per tutta la sua numerosa famiglia (erano otto figli, mica uno scherzo).

Mi immagino solo come dovevano venire buoni quei dolci enormi, cotti lentamente al calore della legna, fatti con ingredienti semplici, genuini, solo farina di mulino, uova delle galline della mia bisnonna Clementina, burro di zangola e latte che veniva dalle stalle del paese: ancora negli anni Settanta tutti i giorni passava il carretto con i bidoni del latte appena munto, bisognava scendere a comprarlo con il pentolino e poi bollirlo prima di consumarlo, perchè era latte fresco, non sterilizzato, e quando si bolliva veniva a galla uno strato di grasso, che io scostavo con grande disappunto. Questo ricordo di me bambina che scendo col pentolino è una di quelle immagini che sembrano in bianco e nero, come un film d'epoca...

Nel paese dei miei nonni (di cui vi mostro alcune suggestive fotografie che ho scattato qualche anno fa, magari un giorno ve lo illustrerò meglio) ci sono ancora delle vecchie signore che vanno in giro con le ceste sulla testa, ed esiste un vapoforno non lontano dal Castello Theodoli nella foto sotto, in cui, in ricorrenze particolari, queste signore portano sulla testa enormi teglie di biscotti da cuocere.


Questo vecchio forno infatti faceva, fino a poco tempo fa, adesso non so, anche questo servizio: era un posto molto rustico, proprio un laboratorio di panetteria, in una specie di grossa spelonca affumicata con forno a vista, pareti alte imbiancate a calce, un vecchio bancone, scaffali di legno e mensole pieni di forme enormi di pane casereccio dalla crosta brunita, e dolci semplici come alti ciambelloni e crostate alla marmellata di pesche o di ciliegie delle dimensioni di una ruota di carretto, e biscotti tipici del paese come mostaccioli, ciambelline all’anice e ciambelline al vino coperte di zucchero semolato.
Vendeva addirittura una misteriosa alchimia di lievito in polvere di sua invenzione, che le donne del paese usano per fare un dolce tipico, la Pizza Fatta e Messa, una specie di ciambellone altissimo al profumo di anice e sambuca (si può fare anche con due bustine di lievito industriale, ma dicono che non è la stessa cosa).
Recentemente, purtroppo, è stato completamente ristrutturato: ora è divenuto un posto più piccolo, carino, senza forno a vista, tutto in legno, con enormi ceste traboccanti biscotti, ciambelle, panini, pizza di tutti i tipi, come le panetterie alla moda della città.
Sicuramente è più elegante (anche se…ammazza che prezzi! Per un sacchetto di ciambelline e qualche dolcetto questa estate ho speso un patrimonio, era meglio che me le facevo a casa da me), però mi manca l’atmosfera da vecchio laboratorio artigianale, con quel profumo di farina, vanillina e lievito che ti avvolgeva appena entravi, uno di quei ricordi indimenticabili che abbinano profumi, atmosfera e sapori, che nostalgia…
Chiudo questa digressione familiare, e riporto integralmente la ricetta, con le mie variazioni. Io l’ho cotto in uno stampo scanalato, ma secondo me un altro metodo potrebbe essere quello di farlo lievitare in un grosso stampo rettangolare, oppure con la forma di pane allungato. La prossima volta lo proverò così, forse si asciuga di meno.
Sicuramente è più elegante (anche se…ammazza che prezzi! Per un sacchetto di ciambelline e qualche dolcetto questa estate ho speso un patrimonio, era meglio che me le facevo a casa da me), però mi manca l’atmosfera da vecchio laboratorio artigianale, con quel profumo di farina, vanillina e lievito che ti avvolgeva appena entravi, uno di quei ricordi indimenticabili che abbinano profumi, atmosfera e sapori, che nostalgia…
Chiudo questa digressione familiare, e riporto integralmente la ricetta, con le mie variazioni. Io l’ho cotto in uno stampo scanalato, ma secondo me un altro metodo potrebbe essere quello di farlo lievitare in un grosso stampo rettangolare, oppure con la forma di pane allungato. La prossima volta lo proverò così, forse si asciuga di meno.
Precisazione per quanto riguarda la Farina: come giustamente mi ha chiesto Claud, l'Artusi cita la Farina d'Ungheria, e io come tale l'ho riportata. Dopo una ricerca in rete per sapere cosa fosse, ho capito che doveva essere un tipo di farina forte, forse assimilabile alla odierna Manitoba, però c'è anche chi la sostituisce con la fecola di patate. La Manitoba di solito si usa per la panificazione, ma questo è un dolce lievitato, come il panettone Marietta e come la brioche lievitata, per assimilazione ho usato la normale farina 00. Se poi l'errore è stato nella scelta della Farina, qualcuno me lo segnali...anche se con la Manitoba sarebbe venuto ancora più consistente, o no?
Accetto illuminazioni al riguardo
:-)

Burro grammi 70
Zucchero a velo grammi 50 (io ne ho messi 80)
Uvetta 80 grammi
Lievito di birra fresco grammi 30
1 dl latte fresco
2 uova ed un rosso
2 cucchiai di liquore
100 grammi di canditi (io non li ho messi)
Vanillina
Un pizzico di sale
Primo Impasto:
Impastare 60 grammi di farina con due, tre cucchiai di latte tiepido in cui si sia fatto sciogliere il lievito. Formare un panetto di giusta sodezza (dice lui), fare un’incisione a croce e mettere al caldo dentro ad un ciotola, con un gocciolo di latte sopra e sotto, per circa un’ora.
Nel frattempo mettere a bagno l’uvetta in acqua tiepida.
Nel frattempo mettere a bagno l’uvetta in acqua tiepida.
Secondo Impasto:
Lavorare le 2 uova intere dentro una ciotola col mestolo con lo zucchero, aggiungere il burro sciolto, la farina, il liquore, la vanillina, quindi incorporare il panetto lievitato, cosa per niente facile: ad un certo punto vi toccherà abbandonare il mestolo di legno e usare la forchetta, aggiungendo un gocciolo di latte per ammorbidire l’impasto.
Dopo tale operazione vi verranno due braccia da scaricatore di porto, ma almeno avrete bruciato la vostra porzione di calorie per potervi mangiare una bella fetta di Babà senza rimorsi.
Lavorate l’impasto finchè non si staccherà bene dalla ciotola, riprendendo eventualmente il mestolo di legno, quindi aggiungervi l’uvetta ben strizzata e i canditi. Come vedete non è una pastafrolla, ma una cosa molliccia e umida.
Lavorate l’impasto finchè non si staccherà bene dalla ciotola, riprendendo eventualmente il mestolo di legno, quindi aggiungervi l’uvetta ben strizzata e i canditi. Come vedete non è una pastafrolla, ma una cosa molliccia e umida.

Mettete la ciotola nel forno tiepido a lievitare per almeno un’ ora, anche di più, coperto da un telo. Dovrebbe raddoppiarsi di volume, in questo modo.

Riprendete l’impasto, imburrate ed infarinate uno stampo col buco centrale, a costole, abbastanza capiente, oppure sperimentate un altro stampo, non so dirvi: mettetevi dentro l’impasto (che non sarà molto, quindi tiratelo bene) e rimettete nel forno tiepido a lievitare per altre due ore, coperto dal solito telo.

Dopo due ore, l’impasto dovrebbe essere raddoppiato, ed aver raggiunto i bordi dello stampo (scusate la foto orribile, ma nel frattempo si era fatto buio).

Infornate nel forno già caldo a circa 200 gradi, sul ripiano centrale, per circa 50 minuti.
Lasciatelo un’altra decina di minuti nel forno spento.
Quando è cotto avrà un colorito piuttosto bruno, come il pane casereccio.

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