I miei viandanti

sabato 15 novembre 2008

Ricette antiche: Babà dell'Artusi


Alla fine sono riuscita a fare il babà dell’Artusi! Dopo una prima prova deludente (la ricetta l’avevo presa sull’Enciclopedia della Cucina di Repubblica, e ci ho capito poco), ho seguito le indicazione del maestro in persona, ed infatti il babà è risultato come doveva essere, almeno credo, non avendolo mai assaggiato.

Precisazione: il babà in questione non assomiglia per nulla al babà come lo pensiamo noi, cioè quello imbevuto di liquore e morbidissimo ( che a me comunque non piace granchè).

Probabilmente all’epoca dell’Artusi quel tipo di Babà non esisteva…in ogni caso, questo dolce io lo chiamerei, invece, Pandolce all’uvetta, perché si tratta di un pane semi dolce molto rustico, una pasta lievitata piuttosto consistente, meno morbida di una brioche, a metà tra un pane e un panettone.
Insomma, il nome indurrebbe a pensare tutto un altro tipo di dolce. Devo ammettere che me l'aspettavo del tutto diverso, non lo consiglierei per un the pomeridiano, ma per una robusta colazione, ben inzuppato nel caffellatte bollente.
Non dico che non sia buono, però non è un babà come lo intendiamo noi, questo è certo: a meno che non abbia toppato di brutto sulla lavorazione, in questo caso attendo illuminazioni da chi l’ha sperimentato. Il panettone Marietta, che feci l’anno scorso a Natale e che quest’anno rifarò perché era buonissimo, ad esempio, è venuto perfetto.

La lavorazione è piuttosto lunga e laboriosa, bisogna perderci parecchio tempo, se avete un pomeriggio libero iniziate dopo pranzo, perché le ore di lievitazione sono almeno tre e mezza se non quattro. Non so se tutto questo lavoro ne valga la pena, però…di dolci lievitati ne ho fatti altri, tipo la Brioche de Rinxent e La treccia lievitata allo yogurt, che sono riusciti più morbidi.

Se però siete curiosi di attuare le vecchie ricette del maestro Artusi (come me), provatelo…devo dire che il suo modo di scrivere le ricette e di raccontare aneddoti mi fa impazzire!

Quando leggo i suoi racconti e il suo fraseggiare arcaico, mi vengono in mente le grandi cucine di una volta, coi camini enormi, o le cucine economiche a legna, in cui si mettevano quei grossi stampi di rame stagnato che ora sono appesi al muro della mia cucina ma in cui, ricorda mio padre, mia nonna cuoceva dolci e torte per tutta la sua numerosa famiglia (erano otto figli, mica uno scherzo).
Sto parlando degli anni Trenta, quando le famiglie numerose erano elogiate ed incoraggiate dal regime dell’epoca, e cucinare per tutti non doveva essere mica una passeggiata.
Mi immagino solo come dovevano venire buoni quei dolci enormi, cotti lentamente al calore della legna, fatti con ingredienti semplici, genuini, solo farina di mulino, uova delle galline della mia bisnonna Clementina, burro di zangola e latte che veniva dalle stalle del paese: ancora negli anni Settanta tutti i giorni passava il carretto con i bidoni del latte appena munto, bisognava scendere a comprarlo con il pentolino e poi bollirlo prima di consumarlo, perchè era latte fresco, non sterilizzato, e quando si bolliva veniva a galla uno strato di grasso, che io scostavo con grande disappunto. Questo ricordo di me bambina che scendo col pentolino è una di quelle immagini che sembrano in bianco e nero, come un film d'epoca...


Nel paese dei miei nonni (di cui vi mostro alcune suggestive fotografie che ho scattato qualche anno fa, magari un giorno ve lo illustrerò meglio) ci sono ancora delle vecchie signore che vanno in giro con le ceste sulla testa, ed esiste un vapoforno non lontano dal Castello Theodoli nella foto sotto, in cui, in ricorrenze particolari, queste signore portano sulla testa enormi teglie di biscotti da cuocere.
Qui si usa per Natale, per Pasqua ma anche in occasioni di matrimoni, cresime, battesimi e comunioni, sfornare quantità incredibili di dolci, soprattutto vassoi enormi di biscotti e ciambelle, che rimangono per giorni e giorni a disposizione dei visitatori che passano a casa a fare gli auguri o a portare regali. Sono quelle vecchie usanze di paese che noi in città abbiamo completamente dimenticato, peccato.


Questo vecchio forno infatti faceva, fino a poco tempo fa, adesso non so, anche questo servizio: era un posto molto rustico, proprio un laboratorio di panetteria, in una specie di grossa spelonca affumicata con forno a vista, pareti alte imbiancate a calce, un vecchio bancone, scaffali di legno e mensole pieni di forme enormi di pane casereccio dalla crosta brunita, e dolci semplici come alti ciambelloni e crostate alla marmellata di pesche o di ciliegie delle dimensioni di una ruota di carretto, e biscotti tipici del paese come mostaccioli, ciambelline all’anice e ciambelline al vino coperte di zucchero semolato.
Vendeva addirittura una misteriosa alchimia di lievito in polvere di sua invenzione, che le donne del paese usano per fare un dolce tipico, la Pizza Fatta e Messa, una specie di ciambellone altissimo al profumo di anice e sambuca (si può fare anche con due bustine di lievito industriale, ma dicono che non è la stessa cosa).

Recentemente, purtroppo, è stato completamente ristrutturato: ora è divenuto un posto più piccolo, carino, senza forno a vista, tutto in legno, con enormi ceste traboccanti biscotti, ciambelle, panini, pizza di tutti i tipi, come le panetterie alla moda della città.

Sicuramente è più elegante (anche se…ammazza che prezzi! Per un sacchetto di ciambelline e qualche dolcetto questa estate ho speso un patrimonio, era meglio che me le facevo a casa da me), però mi manca l’atmosfera da vecchio laboratorio artigianale, con quel profumo di farina, vanillina e lievito che ti avvolgeva appena entravi, uno di quei ricordi indimenticabili che abbinano profumi, atmosfera e sapori, che nostalgia…

Chiudo questa digressione familiare, e riporto integralmente la ricetta, con le mie variazioni. Io l’ho cotto in uno stampo scanalato, ma secondo me un altro metodo potrebbe essere quello di farlo lievitare in un grosso stampo rettangolare, oppure con la forma di pane allungato. La prossima volta lo proverò così, forse si asciuga di meno.
Precisazione per quanto riguarda la Farina: come giustamente mi ha chiesto Claud, l'Artusi cita la Farina d'Ungheria, e io come tale l'ho riportata. Dopo una ricerca in rete per sapere cosa fosse, ho capito che doveva essere un tipo di farina forte, forse assimilabile alla odierna Manitoba, però c'è anche chi la sostituisce con la fecola di patate. La Manitoba di solito si usa per la panificazione, ma questo è un dolce lievitato, come il panettone Marietta e come la brioche lievitata, per assimilazione ho usato la normale farina 00. Se poi l'errore è stato nella scelta della Farina, qualcuno me lo segnali...anche se con la Manitoba sarebbe venuto ancora più consistente, o no?
Accetto illuminazioni al riguardo
:-)

Farina d’Ungheria grammi 250 (io 00)
Burro grammi 70
Zucchero a velo grammi 50 (io ne ho messi 80)
Uvetta 80 grammi
Lievito di birra fresco grammi 30
1 dl latte fresco
2 uova ed un rosso
2 cucchiai di liquore
100 grammi di canditi (io non li ho messi)
Vanillina
Un pizzico di sale

Primo Impasto:

Impastare 60 grammi di farina con due, tre cucchiai di latte tiepido in cui si sia fatto sciogliere il lievito. Formare un panetto di giusta sodezza (dice lui), fare un’incisione a croce e mettere al caldo dentro ad un ciotola, con un gocciolo di latte sopra e sotto, per circa un’ora.
Nel frattempo mettere a bagno l’uvetta in acqua tiepida.

Secondo Impasto:

Lavorare le 2 uova intere dentro una ciotola col mestolo con lo zucchero, aggiungere il burro sciolto, la farina, il liquore, la vanillina, quindi incorporare il panetto lievitato, cosa per niente facile: ad un certo punto vi toccherà abbandonare il mestolo di legno e usare la forchetta, aggiungendo un gocciolo di latte per ammorbidire l’impasto.


Dopo tale operazione vi verranno due braccia da scaricatore di porto, ma almeno avrete bruciato la vostra porzione di calorie per potervi mangiare una bella fetta di Babà senza rimorsi.
Lavorate l’impasto finchè non si staccherà bene dalla ciotola, riprendendo eventualmente il mestolo di legno, quindi aggiungervi l’uvetta ben strizzata e i canditi. Come vedete non è una pastafrolla, ma una cosa molliccia e umida.


Mettete la ciotola nel forno tiepido a lievitare per almeno un’ ora, anche di più, coperto da un telo. Dovrebbe raddoppiarsi di volume, in questo modo.


Riprendete l’impasto, imburrate ed infarinate uno stampo col buco centrale, a costole, abbastanza capiente, oppure sperimentate un altro stampo, non so dirvi: mettetevi dentro l’impasto (che non sarà molto, quindi tiratelo bene) e rimettete nel forno tiepido a lievitare per altre due ore, coperto dal solito telo.


Dopo due ore, l’impasto dovrebbe essere raddoppiato, ed aver raggiunto i bordi dello stampo (scusate la foto orribile, ma nel frattempo si era fatto buio).


Infornate nel forno già caldo a circa 200 gradi, sul ripiano centrale, per circa 50 minuti.
Lasciatelo un’altra decina di minuti nel forno spento.

Quando è cotto avrà un colorito piuttosto bruno, come il pane casereccio. Sformatelo quando è freddo, quindi cospargetelo di abbondante zucchero a velo.

14 commenti:

  1. l'artusi è l'artusi e nn si discute!!che bella ricetta e che foto stupende!!baci imma

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  2. sicuramente buonissimo,ma preferisco la versione alla napoletana!!!
    buon week

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  3. cara Mirtilla, credo che questa Babà non ci azzecchi proprio niente con quello napoletano, è un'altra pasta proprio!

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  4. Ciao Imma! Anch'io adoro l'Artusi, le sue ricette sono così rustiche, sanno di genuino, di cucina autentica, mi piacerebbe sperimentarle tutte!
    Grazie per le fotografie, sto mettendo in pratica i miei stessi consigli
    :-)

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  5. Che alveolatura! Sembra panettone (che voglia di mangiarlo!!) Scusa l'ignoranza, ma cosa è la farina d'Ungheria?!

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  6. Infatti l'aspetto è quello di un panettone, ma non è così morbido, forse perchè ha poco burro

    Per quanto riguarda la farina d'ungheria, in rete ho trovato notizie contrastanti, c'è chi dice che fosse una farina forte, tipo la Manitoba, chi la sostituisce con la fecola di patate

    Io ho provato con la farina comune per dolci, visto che anche le brioche lievitate si fanno con quella, e il procedimento mi sembrava comune, anche perchè la farina Manitoba di solito si usa per il pane, qui non mi sembrava il caso, ho fatto il paragone col Panettone Marietta...però è stata una mia supposizione, forse è meglio che negli ingredienti lo specifico!!
    :-(

    Per essere cresciuto, è cresciuto, decisamente tanto...

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  7. Ho messo la tua segnalazione, così la ricetta è più precisa
    Che bello che i miei lettori leggono con tanta attenzione
    :-)

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  8. Presiosissime queste ricette antiche! E bellissimo il tuo racconto e le foto di questo piccolo gioiello che non conoscevo. Buona domenica Laura

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  9. vero che hanno un fascino particolare?

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  10. Brava!! Anche a me il babà tradizionale non piace tanto, mentre vado matta per il pane all'uvetta. E come al solito le tue foto sono fantastiche!!

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  11. grazie (queste però erano foto vecchie, quelle in bianco e nero addirittura sono stampe su cartoncino)!

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  12. Deve essere proprio buono cercherò di provarlo.
    complimenti
    Ciao Sisifo

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  13. poi dimmi se ti riesce più morbido del mio, magari ho sbagliato qualcosa nella preparazione
    :-(

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  14. La Manitoba la si impiega SOPRATTUTTO per gli impasti lievitati!

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Pellegrino che ti aggiri per queste lande incantate, mi farebbe piacere una traccia del tuo passaggio...

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