Invece di un film o un libro, stavolta voglio recensirvi una serie televisiva: io non amo la televisione, anzi, negli ultimi anni la guardo sempre di meno.
Preferisco i libri, ovviamente, ma anche un buon film in Dvd, oppure qualche telefilm o sceneggiato degli anni passati, sto cominciando a diventare un po’ nostalgica (ah, i begli sceneggiati di una volta!). Ora in Dvd si trova di tutto, e talvolta rivedo più volentieri delle cose degli anni scorsi che quelle che vanno in onda adesso.
Da quando poi hanno chiuso quelle due o tre serie a cui ero affezionata (soprattutto La squadra, di cui non mi sono persa una puntata: vorrei uccidere gli sceneggiatori che l’hanno chiusa in maniera affrettata e sciatta, per cominciarne un’altra che è solo la brutta copia della prima), praticamente il televisore è diventato un oggetto di arredo, nella libreria, muto e desolato nella sua bruttezza.
Quando uscì il libro di De Cataldo, mi piacque moltissimo: la storia, l’ambientazione (cavolo, io c’ero, nella Trastevere degli anni Settanta), la scrittura, la ricostruzione di quegli anni.
Preferisco i libri, ovviamente, ma anche un buon film in Dvd, oppure qualche telefilm o sceneggiato degli anni passati, sto cominciando a diventare un po’ nostalgica (ah, i begli sceneggiati di una volta!). Ora in Dvd si trova di tutto, e talvolta rivedo più volentieri delle cose degli anni scorsi che quelle che vanno in onda adesso.
Da quando poi hanno chiuso quelle due o tre serie a cui ero affezionata (soprattutto La squadra, di cui non mi sono persa una puntata: vorrei uccidere gli sceneggiatori che l’hanno chiusa in maniera affrettata e sciatta, per cominciarne un’altra che è solo la brutta copia della prima), praticamente il televisore è diventato un oggetto di arredo, nella libreria, muto e desolato nella sua bruttezza.
Quando uscì il libro di De Cataldo, mi piacque moltissimo: la storia, l’ambientazione (cavolo, io c’ero, nella Trastevere degli anni Settanta), la scrittura, la ricostruzione di quegli anni.
Davvero un bel libro, che mi ha spinto a saperne di più sui fatti della Banda della Magliana: perché è pur vero che c’ero, però ero bambina, e di questa famigerata banda non ne ho mai sentito parlare, all’epoca, anche se giri di delinquenza a Trastevere ce ne son sempre stati, e lo sapevano tutti. Partendo dal libro, ho letto altre cose sull’argomento, ho seguito vari documentari in televisione come quello, ben fatto, di Lucarelli, cercando di capire di più di quegli anni, di un periodo in cui certe cose, pur sapendone poco o nulla, si avvertivano nell’aria.
A Trastevere c’era un bel giro di delinquenza, era risaputo, il quartiere non era certo quello di adesso, era un quartiere popolare, quasi una borgata: di droga però ancora non si parlava molto, non ai livelli degli anni Ottanta, quando l’eroina esplose come una bomba, ma comunque lontano dal mio ambiente, mica come adesso che la droga trovi dovunque.
Uno dei giri più proficui era, invece, era quello dei furti d’auto: voci di quartiere accreditavano come un pezzo grosso del giro un negoziante della mia via che veniva chiamato il Barone, un tipo bruno, magro, sulla trentina scarsa, che stazionava tutto il giorno tra il suo negozio e il bar accanto; da cui, pochi anni più tardi, una nostra compagna di classe si vantò, con abbondanza di particolari, di essere stata sedotta: dovevamo avere diciott’ anni o forse meno, ancora mi ricordo lo squallore di quel racconto, che tristezza.
E’ evidente che agli occhi di alcune ragazze essere il ras del quartiere è motivo di fascino, vai a capire…
Nel 1977 ci comprammo una 126 verde oliva, negli anni successivi rimpiazzata da un’altra 126 ma arancione, sicuramente ve la ricordate bene: una specie di scatoletta di latta, inaffondabile, con la lamiera dura come roccia, gli ammortizzatori inesistenti e lo sterzo durissimo, ma era la prima macchina di famiglia, e a noi sembrava la carrozza di Cenerentola.
A Trastevere c’era un bel giro di delinquenza, era risaputo, il quartiere non era certo quello di adesso, era un quartiere popolare, quasi una borgata: di droga però ancora non si parlava molto, non ai livelli degli anni Ottanta, quando l’eroina esplose come una bomba, ma comunque lontano dal mio ambiente, mica come adesso che la droga trovi dovunque.
Uno dei giri più proficui era, invece, era quello dei furti d’auto: voci di quartiere accreditavano come un pezzo grosso del giro un negoziante della mia via che veniva chiamato il Barone, un tipo bruno, magro, sulla trentina scarsa, che stazionava tutto il giorno tra il suo negozio e il bar accanto; da cui, pochi anni più tardi, una nostra compagna di classe si vantò, con abbondanza di particolari, di essere stata sedotta: dovevamo avere diciott’ anni o forse meno, ancora mi ricordo lo squallore di quel racconto, che tristezza.
E’ evidente che agli occhi di alcune ragazze essere il ras del quartiere è motivo di fascino, vai a capire…
Nel 1977 ci comprammo una 126 verde oliva, negli anni successivi rimpiazzata da un’altra 126 ma arancione, sicuramente ve la ricordate bene: una specie di scatoletta di latta, inaffondabile, con la lamiera dura come roccia, gli ammortizzatori inesistenti e lo sterzo durissimo, ma era la prima macchina di famiglia, e a noi sembrava la carrozza di Cenerentola.
Mamma ci scarrozzava tutti con una guida piuttosto disinvolta, spesso ci infilavamo dentro in cinque, pigiati come sardine. Dovevamo essere sicuramente tutti più magri di adesso, viste le dimensioni minime dell’abitacolo.
Appena comprata cominciarono i furti, all’ordine del giorno, uno specchietto, una ruota, un sedile, un vetro rotto, un vero stillicidio.
Una volta ce la rubarono definitivamente, tutta intera. Venne ritrovata in periferia, completamente smontata, avevano lasciato solo la scocca e i sedili, il resto se l’erano portato via tutto. Andammo a riprenderla da uno sfasciacarrozze in un luogo desolato, un posto da incubo, pieno di cani che si aggiravano tra cumuli di rottami e lamiere contorte, i poveri resti poggiati su quattro pile di mattoni, anche le ruote avevano smontato.
La facemmo rimontare tutta, sperando di avere maggiore fortuna.
Appena comprata cominciarono i furti, all’ordine del giorno, uno specchietto, una ruota, un sedile, un vetro rotto, un vero stillicidio.
Una volta ce la rubarono definitivamente, tutta intera. Venne ritrovata in periferia, completamente smontata, avevano lasciato solo la scocca e i sedili, il resto se l’erano portato via tutto. Andammo a riprenderla da uno sfasciacarrozze in un luogo desolato, un posto da incubo, pieno di cani che si aggiravano tra cumuli di rottami e lamiere contorte, i poveri resti poggiati su quattro pile di mattoni, anche le ruote avevano smontato.
La facemmo rimontare tutta, sperando di avere maggiore fortuna.
Il busillis si risolse quando mia madre, parlando non so bene con chi, venne a sapere che era un fatto strano, che se la prendessero con la nostra macchina, visto che solitamente gli abitanti del quartiere non venivano toccati, non da quel giro, almeno. Evidente che non sapevano di chi fosse la macchina. Infatti, una volta fatto sapere in giro che la 126 era nostra, non venne più toccata.
Era anche l’epoca degli scontri di piazza, del sequestro Moro, delle irruzioni nelle case alla ricerca di persone, basi di brigatisti e armi; la Digos che si presentava con uomini in assetto di guerra e coi mitra puntati, appartamento dopo appartamento, tutto il palazzo bloccato, le volanti al portone.
Durante il sequestro Piattelli a casa mia venne fatta un’irruzione in piena regola, da parte delle squadri speciali: alla polizia era arrivata una telefonata anonima che asseriva che l'ostaggio (mi pare fosse una donna) fosse nascosto da noi, in piena Trastevere. Non trovarono niente e nessuno, ovviamente.
Il comandante ci chiese se la famiglia avesse qualche nemico, visto che l’anonimo informatore era stato molto preciso sul piano e sull’interno, sembrava proprio un dispetto personale.
Non si seppe mai chi fu, l’autore della telefonata anonima.
Il nostro palazzo, comunque, era particolarmente nel mirino, visto che alla scala B c’era una sede di Lotta Continua, con un bel via vai di gente: una volta ci fecero evacuare tutti, di corsa, perché con un’altra telefonata anonima avevano segnalato una bomba.
Insomma, erano anni un po’ così, con un clima pesante…non per niente, oggi li chiamano anni di piombo.
Quando uscì il film, nel 2005, andammo a vederlo molto curiosi, il cast ci sembrava ottimo, tutti giovani attori di prima classe, Piefrancesco Favino, Claudio Santamaria (che a me piace moltissimo), Kim Rossi Stuart, una schiera di comprimari di lusso altrettanto quotati, insomma, Placido prometteva un bel lavoro, e poi il libro si prestava bene ad essere sceneggiato.
Invece, fu una mezza delusione. Non per gli attori, che quasi tutti erano abbstanza azzeccati nelle parti, a parte forse troppo belli per essere veri (insomma, Scamarcio che fa il Nero, ma andiamo...).
Il romanzo era stato tagliuzzato senza rispetto, condensato in maniera frettolosa, i personaggi raccontati in maniera superficiale; molte parti poco chiare, alcune invenzioni gratuite, alcune figure completamente travisate (come Patrizia, la donna del Dandy, che sembrava una mezza cretina, tra l’altro doppiata malissimo).
E poi, un'ambientazione di maniera, un po’ finta, gli anni settanta ricostruiti alla bell’e meglio: avrebbe potuto essere ambientato tranquillamente negli anni Ottanta o Novanta, neanche l’ombra di atmosfera, il racconto che si snodava patinato, farraginoso, proprio una mezza delusione.
Di solito, quando viene tratta una fiction da un film, non può che peggiorare.
Avevo letto, invece, delle ottime critiche di questo sceneggiato, in onda su Sky dai primi di novembre, in 12 puntate (siamo alla sesta, se non sbaglio), e mi sono incuriosita.
Ed infatti ve lo consiglio, perché merita : raro vedere una serie televisiva di questo livello, così curata nei particolari, con una fotografia dai colori volutamente retrò, le ambientazioni ricostruite meticolosamente, nei minimi dettagli: ambienti, case, costumi, macchine, pettinature, tutto fedelissimo, veramente.
Il libro è praticamente ricalcato alla lettera, d’altronde 12 puntate hanno permesso agli sceneggiatori (tra cui figura anche De Cataldo) di poter approfondire bene l’argomento, e anche di scavare nella psicologia dei personaggi, che risultano ben tratteggiati e molto caratterizzati.
Per quanto riguarda gli attori, pensavo che fosse difficile far dimenticare un cast stellare come quello del film, perché nell’immaginario collettivo (anche rileggendo a posteriori il romanzo) uno associa automaticamente il Libanese a Favino, il Freddo a Rossi Stuart e così via, e Dandy non può che avere il bel viso di Santamaria.
E poi, un'ambientazione di maniera, un po’ finta, gli anni settanta ricostruiti alla bell’e meglio: avrebbe potuto essere ambientato tranquillamente negli anni Ottanta o Novanta, neanche l’ombra di atmosfera, il racconto che si snodava patinato, farraginoso, proprio una mezza delusione.
Di solito, quando viene tratta una fiction da un film, non può che peggiorare.
Avevo letto, invece, delle ottime critiche di questo sceneggiato, in onda su Sky dai primi di novembre, in 12 puntate (siamo alla sesta, se non sbaglio), e mi sono incuriosita.
Ed infatti ve lo consiglio, perché merita : raro vedere una serie televisiva di questo livello, così curata nei particolari, con una fotografia dai colori volutamente retrò, le ambientazioni ricostruite meticolosamente, nei minimi dettagli: ambienti, case, costumi, macchine, pettinature, tutto fedelissimo, veramente.
Il libro è praticamente ricalcato alla lettera, d’altronde 12 puntate hanno permesso agli sceneggiatori (tra cui figura anche De Cataldo) di poter approfondire bene l’argomento, e anche di scavare nella psicologia dei personaggi, che risultano ben tratteggiati e molto caratterizzati.
Per quanto riguarda gli attori, pensavo che fosse difficile far dimenticare un cast stellare come quello del film, perché nell’immaginario collettivo (anche rileggendo a posteriori il romanzo) uno associa automaticamente il Libanese a Favino, il Freddo a Rossi Stuart e così via, e Dandy non può che avere il bel viso di Santamaria.
Mi sono dovuta ricredere: gli attori della serie sono tutti giovani e sconosciuti (scelti da Placido, comunque), ma secondo me sono anche più bravi degli originali. Soprattutto Francesco Montanari (Il Libanese), Alessandro Roja (Dandy) e Marco Bocci (il commissario Scialoja, autentica faccia anni Settanta, assomiglia a Giannini da giovane, forse il più indovinato tra gli attori) sono azzeccatissimi nelle parti.
Perché sono facce vere, comuni, nessuno particolarmente bello, e tutti molto più somiglianti alle persone dell’epoca: fisici smilzi, più sottili rispetto ai decenni successivi, i jeans stretti a fasciare i fianchi magri, i capelli lunghi spesso phonati, le barbe incolte, quei look un po’ fricchettone che però allora faceva tanto fighetto.
La serie è girata in maniera estremamente realistica, anche piuttosto cruda, con grande attenzione ai colori, alle atmosfere: ho riconosciuto gli angoli di Trastevere dove è stato girato (io ci passavo tutti i giorni, per andare a scuola), con macchine d’epoca, bar e appartamenti ricostruiti negli arredi, i mobili, gli oggetti, le tappezzerie a disegni optical, i manifesti pubblicitari, un vero tuffo nel passato, sembrava proprio di esserci (bellissima anche la colonna sonora).
Molto evocative anche le scene di scontri tra ragazzi e polizia, il clima teso che si respirava nelle strade, gli slogan: se non fosse per i vestiti (sì sì, ci vestivamo proprio così anche noi piccoli, che bello, magliettine dolcevita attillate, giacche coi risvolti enormi, pantaloni a zampa d’elefante, salopettes scozzesi, scarpe e cappelli fatti a maglia: altro che jeans calati, mutande e ciccia in vista degli adolescenti moderni!) potrebbero sembrare gli studenti dell'Onda in piazza contro la Gelmini.
Perché sono facce vere, comuni, nessuno particolarmente bello, e tutti molto più somiglianti alle persone dell’epoca: fisici smilzi, più sottili rispetto ai decenni successivi, i jeans stretti a fasciare i fianchi magri, i capelli lunghi spesso phonati, le barbe incolte, quei look un po’ fricchettone che però allora faceva tanto fighetto.
La serie è girata in maniera estremamente realistica, anche piuttosto cruda, con grande attenzione ai colori, alle atmosfere: ho riconosciuto gli angoli di Trastevere dove è stato girato (io ci passavo tutti i giorni, per andare a scuola), con macchine d’epoca, bar e appartamenti ricostruiti negli arredi, i mobili, gli oggetti, le tappezzerie a disegni optical, i manifesti pubblicitari, un vero tuffo nel passato, sembrava proprio di esserci (bellissima anche la colonna sonora).
Molto evocative anche le scene di scontri tra ragazzi e polizia, il clima teso che si respirava nelle strade, gli slogan: se non fosse per i vestiti (sì sì, ci vestivamo proprio così anche noi piccoli, che bello, magliettine dolcevita attillate, giacche coi risvolti enormi, pantaloni a zampa d’elefante, salopettes scozzesi, scarpe e cappelli fatti a maglia: altro che jeans calati, mutande e ciccia in vista degli adolescenti moderni!) potrebbero sembrare gli studenti dell'Onda in piazza contro la Gelmini.
Quelli di allora però erano un po’ incazzati, mi sa…
ero piuttosto curiosa anch'io, ma anche dubbiosa...cercherò di recuperare le puntate perse, se ci riesco
RispondiEliminaun saluto per te
RispondiEliminae per quel nume bianco che difende la foresta,
e una carezza reale ai tuoi numi reali!
hai ragione, sembra proprio un nume tutelare, uno spiritello di guardia!
RispondiEliminaMi devo recuperare la serie allora....
RispondiEliminaMi hai incuriosito... :-)
A presto! :-)
per ora hanno fatto solo cinque puntate, ne mancano ancora sette!
RispondiEliminami ha colpito la storia della 126 che avevi...come non ricordare quello scatolino minuscolo e dal rumore inconfondibile...mi ha colpiot anche il racconto del furto a pezzi....
RispondiElimina;)
a ripensarci adesso, mi pare un mondo lontanissimo, oscuro ma forse lo è molto di più quello che adesso: almeno era un'oscurità a portata d'uomo, non inumana e cieca come quella di adesso...
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