I miei viandanti

lunedì 28 giugno 2021

Il tempo lento

 


Tanto, tantissimo tempo. E non valgono le scuse del tempo che manca, le giornate passate a correre tra un autobus e l’altro, la Dad, i tanti impegni rimandati, il Covid. 

Forse tutto ha la sua evoluzione, e un blog ormai è una cosa sorpassata, morta, ridondante. Almeno, lo sembra, paragonato ai nuovi social che imperano: rapidi, veloci, istantanei. Già Facebook sembra un dinosauro, ci stanno solo quelli di mezza età (appunto), i vecchi compagni di scuola che si ritrovano, parenti e amici di vecchia data. I ragazzi, quelli stanno da un’altra parte. Forse anche Instagram, comincia a star loro stretto, il social che è diventato una vetrina usa e getta di fotografie bellissime di posti bellissimi, immagini talmente tanto perfette che ti chiedi quale attrezzatura abbiano, per fare foto belle così.  E invece no, non è la stessa cosa scrivere sui social e sul proprio blog, perché scrivere è una cosa lenta, una riflessione, uno scavare nei proprio giorni e nei propri pensieri e cercare di metterli in una forma comprensibile per  i (pochi) pellegrini di questa foresta. E anche leggere un post è una cosa che implica un tempo lento, un’attenzione a quello che si legge o che si guarda.  Insomma, l’anno scorso mi ero ripromessa, durante il primo, durissimo lockdown, di riprendere in mano la penna, almeno virtualmente, e ricominciare a scrivere, e se non anche non ci fosse nessuno che legge, tanto peggio, si scrive anche per sé stessi.


Un’altra cosa che mi ero ripromessa, nella mia lista di progetti da realizzare finito il lockdown, era ritornare nel mio quartiere, Trastevere. Non scendo spesso, perché da casa mia non è collegato proprio bene, mi riesce più facile scendere in Prati o al centro, perché ci arrivo con la metro o addirittura a piedi. Ma forse questa è solo una scusa: in realtà, tornare in posti che si sono tanto amati, da visitatore, da turista quasi, lascia un senso di malinconia, di nostalgia. A volte si riesce, a volte invece no.

L’anno scorso non ci sono riuscita, sono rimasta a passeggiare nel mio quartiere e nel mio parco, come un criceto nella sua gabbia, anche quando i cancelli s’erano aperti, come se avessi paura di varcare un confine invisibile, che era solo nella mia testa. Poi, a settembre, l’inizio del lavoro nella nuova scuola, assai lontana da casa, poi un compagno a sorpresa come il Covid, con cui ho festeggiato anche il compleanno, e insomma…

Appena finita la scuola, però, in una mattina assolata e calda, ho preso l’autobus e sono scesa in uno dei quartieri più caratteristici della città, il mio, perché quando si nasce trasteverini, si rimane trasteverini tutta la vita, è come un filamento di DNA, e non importa quanti anni sono che abiti da un’altra parte.




Ci sono tanti modi per entrare a Trastevere: che poi, si fa presto a dire Trastevere. 

Si tratta di un quartiere antichissimo, che ha visto tanti cambiamenti, tanti interventi (soprattutto a partire dalle ultime decadi dell’Ottocento, ma non solo), che ne hanno alterato l’aspetto che doveva avere fino a metà Ottocento e, con la realizzazione dell’arteria principale, Viale Trastevere, hanno spaccato in due il rione, in maniera irreversibile. E quindi, come entrare a Trastevere? Non c’è una strada unica, potete arrivare dal ponte Garibaldi, in maniera classica, oppure da Piazza Trilussa, dal Gianicolo oppure dalla fine di Viale Trastevere, quella moderna. Non c’è una ricetta giusta, ma io, solitamente, arrivo da Via della Lungara, forse perché era la strada che ho percorso, all’inverso, andando al liceo e tornando, tutte le mattine per quattro anni (quattro, perché il quarto ginnasio l’ho fatto in Prati). Questa passeggiata sarà necessariamente incompleta, perché per farvi girare tutta Trastevere, occorrono sicuramente diversi post, ma io non ho fretta, e voi?


Venendo dal Lungo Tevere direzione San Pietro, si prende la lunghissima Via della Lungara, di costruzione rinascimentale, periodo a cui risalgono non solo alcuni edifici notevoli, ma forse anche i sanpietrini sconnessi, visto il loro stato deplorevole. Anche Via della Lungara è stata molto modificata, nell’Ottocento, perché la costruzione dei muraglioni ha alterato il livello del manto stradale, ora molto al disopra della via, e interrotto il rapporto della lunghissima strada, parallela a Via Giulia, con il fiume: possiamo solo immaginarci come doveva essere questa via, che da Trastevere arrivava a San Pietro, con il fiume che le scorreva accanto, le barche che navigavano, le spiaggette, i porticcioli.


Se avete tempo, infilatevi anche nelle varie viuzze che arrivano fin sotto il Gianicolo, alcune hanno dei nomi davvero evocativi (Via delle Mantellate: deve il nome al mantello nero delle monache del vicino convento, ora riconvertito, vicino a Regina Coeli; Via della Penitenza, Via degli Orti d’Alibert). Alla fine della Via, due edifici da segnalare: il Palazzo Corsini e la Farnesina (o Villa Chigi) valgono davvero una visita, per non parlare dell’Orto Botanico. Alcune foto sono di repertorio, ho parlato di questa lunghissima strada in questo vecchio post del 2009.





Oltre al percorso verso il Liceo Virgilio, questa via appartiene anche ai miei ricordi d'infanzia, anche se di quelli meno piacevoli, sempre che il liceo sia un ricordo piacevole. È strano quanto rimangano impressi nella memoria alcuni particolari, pochi momenti di vita quotidiana che dovrebbero svanire, e invece rimangono vividi anche a distanza di così tanto tempo. Ad esempio, anche se molto piccola, ricordo perfettamente il senso di sgomento quando si arrivava alle cancellate della parte finale di Via della Lungara (ora so che appartengono al Palazzo Corsini), dove realizzavo tremebonda che si metteva male,  perché mi toccavano le vaccinazioni (all’epoca, il centro di antipolio, vaiolo e tutto il resto era a Via dei Riari). Ora nessuno mi trascina recalcitrante alle vaccinazioni né ai prelievi del sangue, visto che ci vado da sola e neanche senza promessa di ricompensa, tipo giocattolo o bambola.

Arrivati a Porta Settimiana, anche qui abbiamo due direzioni da prendere: la classica Via della Scala, che vi porta dietro Piazza Santa Maria in Trastevere, oppure la salita verso il Gianicolo. 






Io ho percorso una parte della salita verso il Gianicolo, che sembra quasi una via di campagna, e poi mi sono infilata nelle varie stradine.






Trastevere, lontano dal solito circuito turistico, sembra ancora un quartiere popolare, con caseggiati ottocenteschi ma anche più antichi, vecchie stalle e vecchi depositi di fieno trasformati in locali, negozi e garage. Da quando ho memoria, è sempre stato abbastanza decadente, con palazzi e strade malmessi, tantissime scritte sui muri, selciato sconnesso, ma stavolta mi è sembrato anche più malandato e sporco del solito. Se fosse ben curato, pulito, coi marciapiedi agibili e i numerosi angolini vuoti arredati in maniera decorosa (panchine, altri alberi, fontanelle, delle fioriere: non ci vuole molto), sarebbe davvero una perla preziosa, nel cuore di Roma. 
Invece, da anni è meta di un turismo sudaticcio e urlante, che lascia sporcizia e bottiglie ovunque, invade in maniera chiassosa vicoli antichi, alla ricerca della movida, non della memoria.





Arrivati nella moderna e brutta Piazza san Cosimato (ci sono molto affezionata, ma la trovo davvero brutta, rispetto alle potenzialità che avrebbe) in cui il grande spazio è stato risistemato parzialmente a parco giochi, a cinema e l’ultima parte è stato mantenuto il vecchio mercato (perché non farlo diventare un’attrazione, come Campo de’ Fiori?), ci troviamo da una parte una moderna fontana a mosaico e  di fronte a un antico protiro medievale (XII secolo: l’incisione è di Bartolomeo Pinelli presa dalla rete, e ci mostra il protiro all’inizio dell’Ottocento, quando la piazza ovviamente ancora non esisteva): si tratta del vecchio ingresso, non più agibile, chiuso da cancellate e invaso dalle erbacce, alla chiesa del monastero benedettino di San Cosimato ( fondato nel X secolo); la chiesa non è visitabile, ma il monastero è ancora in parte esistente e inglobato, alla fine degli anni Sessanta, in un orrendo ospedale in cemento, che occupa un intero isolato. Accanto al protiro, si apre l’ingresso laterale dell’ospedale: l'ingresso è libero, visto che da qui si arriva agli ambulatori: proseguite fino alla postazione di controllo (per il Covid), e chiedete di visitare i chiostri, sicuramente vi faranno entrare a fare un giro.




Per fortuna, anche se profondamente rimaneggiati, l'ospedale ospita ancora al suo interno due preziosi chiostri: il primo che si incontra è più grande e  risale al XIII secolo. I chiostri fanno parte dell’ospedale e sono a disposizione dei pazienti: infatti, quando mi operai negli anni 90, nella settimana di degenza approfittai dello spazio verde e delle panchine per passare le lunghe e noiose giornate  a sferruzzare sotto gli alberi e a leggere. Anche adesso, si vedono i pazienti dell'ospedale che scendono a farsi un giretto o a leggere il giornale sulle panchine, in mezzo al verde.

 Certo, guardando le incisioni, gli acquerelli e le rare fotografie d'epoca che ritraggono l'antichissimo monastero (se volete approfondire, andare a leggere il post su Roma Segreta) è  davvero emozionante che sia rimasto abbastanza intatto e sia aperto al pubblico.




I porticati del chiostro sono decorati con frammenti di marmi, sarcofagi e lapidi, incastonati nelle antiche mura. 




Facendo il giro del primo chiostro, si sale per una piccola scala e si arriva al secondo chiostro, rinascimentale, più semplice e meno decorato.


Tornando di nuovo nel primo chiostro e continuando il giro, possiamo ammirare dei bellissimi cespugli fioriti di vario tipo come ortensie e lantane. Come si vede dalle immagini, il complesso è stato oggetto di interventi di sopraelevazione fin dall'Ottocento, mentre le finestre moderne ne hanno alterato ulteriormente, in tempi recenti, l'aspetto.





Appena usciti dai chiostri, se svoltate a sinistra vi trovate in un triangolino di cemento decorato da murales, uno di quegli slarghi che potrebbero essere deliziosi, e invece rimangono spazi vuoti, un’altra occasione mancata per la nostra città. Apprezzabili invece i murales, che ingentiliscono un muro altrimenti anonimo (fino a qualche anno fa c'era una pompa di benzina, addirittura).
Appena svoltato l’angolo, costeggiando l’enorme costruzione di cemento dell’Ospedale Nuovo Regina Margherita, ci ritroviamo di nuovo nella Trastevere moderna, tra Viale Trastevere e la severa mole del Ministero della Pubblica Istruzione.



Basta poco, però, per ritrovare la magia di Trastevere: se ancora non siete stanchi, prendete il prossimo vicolo e rituffatevi di nuovo in questo quartiere vivace, alla ricerca di nuovi scorci e nuovi angoli caratteristici ( e magari, perché no, di una bella pizza).
Alla prossima!



6 commenti:

  1. Bentornata a casa. É bello leggerti!

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  2. I miei complimenti per l'ottimo reportage.
    Maurizio

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  3. Reportage molto interessante e con molte belle foto! Verrò a Roma in agosto e conto di visitare trastevere, il ghetto e l'isola tiberina...è una parte che mi manca...

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    1. Sono dei quartieri davvero caratteristici e ricchi di storia, peccato il degrado generale della città, che non risparmia neanche questa zona

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  4. Stupende foto !!!! Leggerti è stato come entrare in una parte della città che non conosco...bellissima Roma ma per "vederla" bene non basta una vita !

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Pellegrino che ti aggiri per queste lande incantate, mi farebbe piacere una traccia del tuo passaggio...

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