I miei viandanti

lunedì 28 aprile 2008

Pagnotta casereccia all'olio


Prosegue la mia sperimentazione di pane: visto il successo ottenuto tra parenti e amici, sto provando altre ricette, prese dall'Enciclopedia della Cucina di Repubblica, Volume Pane, pizza e torte Salate, sotto il nome di Pane Casereccio.
Questo pane risulta morbidissimo e leggermente oleoso, a me è piaciuto molto, e non è difficile da fare: l'unico impiccio è la doppia lievitazione, perchè la manifattura non presenta problemi.
Si conserva benissimo, dentro un telo di cotone, per parecchi giorni.
E' ottimo anche per fare delle bruschette delicate, avendo una grana più fine del pane casereccio (per esempio quello senza impasto, da cui è decisamente diverso, come consistenza e come sapore).

Ingredienti per la pagnotta di cui sopra:

  • 500 grammi di farina 0 (io ho usato metà Manitoba e metà 0 normale)
  • 3 cucchiai di olio extra vergine più quello per ciotola e teglia
  • mezzo cubetto di lievito di birra fresco
  • 1 cucchiaino di zucchero
  • 2,5 dl abbondanti di acqua tiepida
  • 1 cucchiaino abbondante di sale

Sbriciolare il panetto con 0,5 di acqua tiepida, aggiungere il cucchiaino di zucchero e lasciar riposare 15 minuti.

In un ciotola capiente versare tutta la farina e mescolare con un cucchiaino abbondante di sale (lievito e sale non devono mai stare a contatto diretto).

Cominciare a versare il lievito ben sciolto, poi aggiungere 2 dl abbondanti di acqua tiepida poca per volta (mi raccomando, nè troppo fredda nè troppo calda).

A questo punto versare l'impasto sulla spianatoia infarinata, e cominciare ad impastare energicamente e a lungo, in maniera da ottenere una pasta soda e lucida.

Fare una palla, metterla in una ciotola unta di olio, spolverarla leggermente di farina (io uso la semola di grano duro rimacinata perchè è piu rustica, ma va bene anche la farina normale), spennellarla con un cucchiaio di olio.

Prima lievitazione: coprire con un telo e metterla al calduccio dentro al forno spento, leggermente riscaldato in precedenza (io accendo il grill elettrico 5 minuti).

Dopo un'ora (anche di più), riprendere l'impasto, lavorarlo ancora qualche minuto.

Seconda lievitazione: metterlo di nuovo a lievitare in una ciotola, spolverarlo di farina e rimetterlo nel fornotiepido coperto da un telo, almeno per un'altra ora: io l'ho lasciato lievitare in tutto tre ore.

Riscaldare il forno per circa 15 minuti a 200 gradi.

Riprendere l'impasto, dargli una forma di pagnotta (io l'ho fatto rettangolare, tipo ciabatta), spennellarlo con due cucchiai di olio, e metterlo su una teglia da pizza unta di olio.

Cuocere, nel ripiano centrale del forno, per circa 10 minuti a 200 gradi, poi abbassare a 180 gradi e cuocere per altri 30 minuti circa, magari voltandolo gli ultimi dieci minuti per colorirlo anche sopra.

sabato 26 aprile 2008

Panini dolci al miele e uvetta

Ricetta presa dall’Enciclopedia dei Dolci di Fernanda Gosetti, sotto la denominazione Brioscine al Miele.
In realtà, la denominazione Brioche sarebbe impropria, perché sono sì dei dolcetti lievitati, ma senza burro, e neanche zucchero. A me non sono dispiaciuti, sono una specie di panini all’olio, non troppo dolci, ottimi da intingere nel caffellatte e magari con della marmellata in mezzo.

Per esempio a mio marito, che non fa colazione col latte, sono piaciuti meno, perché mangiati a secco risultano meno morbidi. Comunque sono gradevoli, e non molto calorici! Vanno conservati chiusi, e comunque dopo un paio di giorni cominciano ad indurirsi un po’, ma basta scaldarli un attimo nel forno.

Con queste quantità di ingredienti, me ne sono venuti tredici, forse li ho fatti un po’ troppo grandi, nella ricetta originale sembrano più piccoli e più tondi, e andrebbero fatti meno schiacciati, proprio tipo polpettina. Calcolate quindi di farne almeno sedici-diciotto.

Ingredienti:
4 etti di farina 00 più a raccogliere
venti grammi lievito di birra fresco
4 o 5 cucchiai abbondanti di miele
2 cucchiai di olio di oliva
40 grammi di uvetta
qualche cucchiaio di liquore
Acqua tiepida (circa 250-300 ml)

un tuorlo d'uovo per spennellare
zucchero in granella per decorare

Mettere la farina in una ciotola, aggiungere un pizzico di sale e il miele (non solido, ovviamente) e l'olio. Aggiungere anche l'uvetta ammollata e ben strizzata, quindi aggiungere del liquore a piacere.

Diluire il lievito in una piccola tazza di acqua tiepida, aggiungerlo al composto, quindi aggiungere altra acqua tiepida (credo di averne messa, in tutto, circa 250 ml, ma sono andata un po' ad occhio, sorry, la prossima volta ci sto più attenta e ve lo dico con certezza) per ottenere un impasto morbido, non come la pasta di pane, leggermente meno duro. Lavorate nella ciotola fino a che non potete rovesciare l'impasto (che sarà abbastanza appiccicoso) sulla spianatoia infarinata.


Lavorare bene la pasta, eventualmente aggiungendo un po' di farina, sbattendolo energicamente sulla spianatoia, fino a che sarà diventato ben liscio.

Fare delle polpettine tonde (più piccole delle mie e meno schiacciate), e disporle su una placca del forno imburrata oppure su carta forno. Lasciatele distanziate perchè vanno lasciate lievitare e si gonfiano molto.


Far lievitare al caldo, dentro al forno spento, per circa due ore, anche tre.
Riprendere le brioscine, spennellarle delicatamente con il tuorlo (o anche l'uovo intero) sbattuto, cospargerle di granella di zucchero.

Cuocerle a forno già caldo, sul ripiano centrale, a 220 gradi, per circa venti minuti.

Volendo farle più golose: invece che decorarle da crude, si può fare una ghiaccia di zucchero ed albume, farla colare sulle brioscine cotte e poi cospargerle di granella di zucchero.

mercoledì 23 aprile 2008

Treccia lievitata allo yogurt


E' un po' di tempo che mi diverto a impastare, sto sperimentando varie ricette, l'altro giorno ho provato questa, presa dall'Enciclopedia Mille Dolci, di Fernanda Gosetti. Avevo provato altre ricette di questi libri, di alcune ero rimasta soddisfatta, di altre meno, tipo il Kugelhupf.

Questa invece è riuscita benissimo, mi è piaciuto addirittura di più della brioche de Rinxent che avevo fatto tempo fa, perchè lo yogurt e la panna presenti nell'impasto la rendono morbidissima.
Ci vuole un po' di tempo e impegno, ma il risultato è ottimo.

Ingredienti:



  • Farina 00 450 grammi più a raccogliere

  • burro 80' grammi

  • 4 uova intere (tre intere e un tuorlo)

  • zucchero a velo 100 grammi

  • lievito di birra fresco 30 grammi

  • panna liquida fresca 100 grammi

  • 2 cucchiai colmi di yogurt bianco

  • scorzetta di arancia 100 grammi

  • uvetta 100 grammi

  • sale fino mezzo cucchiaino
Per decorare: l'abume rimasto, 60 grammi di zucchero a velo, granella di zucchero colorato o qualcosa di simile


Fate un panetto con 150 grammi di farina, quasi tutta la panna tiepida in cui avrete sciolto il lievito, lavorarlo bene. A questo punto, immergerlo in una pentola fonda con dell'acqua tiepida chiusa col coperchio, e lasciarvelo fino a che non sarà tornato a galla (a me circa 20 minuti).

Impastate, in una ciotola, la farina rimasta, tre uova intere e un tuorlo, il sale, 1o0 grammi di zucchero, lo yogurt, la poca panna che vi è avanzata, il burro morbido, impastate bene, in ultimo aggiungete il panetto lievitato e ben scolato. Tenete da parte l'albume perchè vi servirà per la ghiaccia.

E' importante impastare a lungo, energicamente, altrimenti si rischia che il panetto non si mescoli bene col resto dell'impasto. Eventualemente aggiungete altra farina, se continua ad essere appiccicoso.

A questo punto dovrebbe uscirvi un bell'impasto come nella prima foto.

Mettetelo in una ciotola, dentro un telo infarinato, chiudetelo e mettelo al calduccio (io accendo il grill elettrico cinque minuti, lo spengo e poi ci metto l'impasto ben coperto).

Io l'ho tenuto circa due ore, quando ho ripreso la pasta, era diventata come nella seconda foto.

Nel frattempo mettete a bagno l'uvetta, poi scolatela bene.

Riprendente l'impasto, lavoratelo brevemente aggiungendo altra farina se è appiccicoso, poi unire le scorzette di arancio, lavorarlo, quindi unire l'uvetta ben strizzata.

Tagliare in tre panetti, allungarli tipo salsicciotti. Non fateli troppo lunghi, sennò si gonfiano poco.

Foderare una teglia da pizza di grandi dimensioni con della carta forno e riaccendere cinque minuti il forno per intiepidirlo.

Mettere i tre impasti sulla carta forno, intrecciare i salsicciotti in una treccia, quindi rimettere al calduccio per circa un'ora e mezza. La treccia dovrebbe essersi gonfiata come nell'ultima foto.

Accedendere il forno a 200 gradi per circa 15 minuti, quindi abbassare a 190 gradi e mettere la teglia sulla griglia centrale, per circa 25 minuti.

Questo è il risultato.

A questo punto bisogna fare la ghiaccia.

Prendete lo zucchero a velo avanzato, mescolato con un poco dell'albume avanzato (io ne ho messo un po' troppo, non ci va tutto), sbattetelo con a forchetta dentro un bicchiere in maniera da avere una crema densa, fatelo colare sulla treccia, quindi cospargete di granella e fate solidificare.

lunedì 21 aprile 2008

L'Art Nouveau a Parigi. I villaggi di Auteuil, Passy e Chaillot

Il quartiere che stiamo per attraversare è considerato un gioiello dell'architettura Art Nouveau: per chi non lo sapesse, si tratta di una corrente artistica che interessò tutta l'Europa, tra la seconda metà dell'Ottocento fino ai primi del Novecento, anni in cui cominciò a cadere rovinosamente in disgrazia.

Uno dei più originali architetti fu il francese Hector Guimard, di cui ricordiamo le famose fermate Metro (come quella di Montmartre, vedi post), numerosi immobili disseminati in tutta la Francia, e alcuni capolavori come la sottostante Gioielleria Fouquet, ora rimontata interamente nell'Hotel Carnavalet (a presto un post specifico su quello bellissimo Museo, nel Marais).
Eravamo rimasti, qualche post fa, alle serre d'Auteuil.

Riprendiamo la nostra passeggiata per il XVI Arrondissement: dopo esserci lasciate alle spalle le Serre, tornare verso la Metro Porte d’Auteuil, e imboccare la Rue d’Auteuil: questa strada, di origine secentesca, presenta alcuni bei palazzi, anche se non c’è nulla di particolare: è molto animata e stretta, con un’atmosfera quasi provinciale, ma in questi palazzi si riuniva il fior fiore dell’intellighenzia del secolo dei Lumi.

Arrivati alla Place Lorrain svoltare a destra, per la lunghissima Rue Michel Ange. Per fare questo giro ho usato la Guida Verde della Michelin: sicuramente è meno particolareggiata delle guide del Touring, che uso abitualmente, ma ha delle cartine dettagliatissime, e per aggirarsi da queste parti è l’ideale. Ho assodato, però, che per farti una vedere una stradina o semplicemente una casa graziosa, ti fa fare dei chilometri: com’è successo in questo caso.
Comunque, anche nella rue Michel Ange non c’è nulla di rilevante, è semplicemente una lunga e bella strada molto elegante, soprattutto nel primo tratto, ed è piacevolissima da passeggiare col naso all’insu.
Ad un certo punto si volta a sinistra, per Rue Molitor: al numero 18 si trova un complesso molto pittoresco che si chiama Villa Boileau. Si tratta di un complesso di cottages e villette molto graziosi di sapore secentesco, coi tetti spioventi e rivestimento in mattoni.
Voltare per rue Boileau, quindi Rue Jouvenet, infilare quindi la Rue Chardon dove, al numero 41, c’è la Villa Jassédé, uno dei primi progetti firmato Guimard nel 1893. Si tratta di una villetta con giardino, dai tetti spioventi di gusto bucolico e rivestimento in mattoni, di sapore molto rustico e vagamente neogotico.
Poi ancora a destra per verso la Rue Claude Lorrain: Anche qui c’è un piccolo complesso caratteristico, Villa Mulhouse, graziosi cottages e giardinetti, riportato sulle guide, ma da fuori non riesce a vedere quasi nulla. Riprendere la Michel Ange e tornare al punto di partenza.
Ritornare alla Place Lorrain ( per favore non odiatemi per avervi fatto camminare così tanto), ed imboccate la famosa Rue La Fontaine. Questa lunga strada presenta svariati capolavori architettonici, tutti firmati Hector Guimard.
Al Numero 60 l’Hotel Mezzara, del 1910: dalle linee più sobrie si nota la differenza cronologica con il più famoso complesso di Castel Bèranger, poco più avanti, dalle decorazioni più fiorite e virtuosistiche: in questo caso Guimard sembra ispirarsi all’architettura francese secentesca, come si più notare dal tetto a spiovente e le mansarde, e anche le decorazioni e le ringhiere in ferro battuto hanno un disigno più lineare rispetto alle sue opere degli anni precedenti.

Si può fare il confronto con due complessi di case dal disegno particolare ai numeri 17-20,che proseguono verso la traversa Rue Agar e Rue Gros: anche questo complesso di sei edifici risale al 1910 circa.
Questo progetto del innovativo e ambizioso per l’epoca, è stato pensato dall’architetto fin nei minimi particolari: addirittura sono opera sua le targhe della strada, le grondaie e i portoni.
Più avanti, sulla sinistra, al numero 14, il famoso Castel Béranger, la sua opera più creativa ed ambiziosa, risalente al 1895, il progetto che lo lanciò definitivamente: l’architetto è riuscito a creare un’opera armonica e originale, con materiali per così dire poveri, cioè mattonelle in grès, maioliche, mattoni, ferro battuto, vetro colorato, in un’esplosione di colori, virtuosismi tecnici e disegni floreali.
Questi tre edifici, che si affacciano sullo stesso cortile, rappresentano la summa dell’Art Nouveau francese, stile che, purtroppo, di lì a breve passerà di moda, per essere sostituito dal più sobrio e rigoroso Art Dèco.

Anche gli interni furono minuziosamente progettati da Guimard, carte da parati e maniglie, mobili e finestre. Non si sa cosa ci sia rimasto di originale: purtroppo il palazzo è abitato e non si può entrare (immagino solo i prezzi di un appartamento, mi accontenterei di un sottoscala): le sole due cancellate (che i detrattori del genere definirono stile tagliatella) e le finestre realizzate con la tecnica Tiffany la dicono lunga sulla preziosità materiale e tecnica degli interni.
Notate i particolari dei vetri a tecnica Tiffany e la preziosità delle ringhiere in ferro battuto.

Proseguendo per la stessa strada si arriva alla Maison de la Radio France, una curiosa costruzione circolare di non particolare bellezza. A questo punto siamo vicino alla Senna.
A destra si vede il retro della piccola Statua della Libertà in bronzo, su una banchina lunghissima chiamata Allée de Cignes (da questa foto si vede, sulla destra, l'imbocco dal ponte): pochi sanno che la gemella, di dimensioni ben più grandi, che sorveglia il porto di New York dal 1885, è opera dello stesso artista francese, Bartholdi. Purtroppo ero contro sole e la foto della piccola Statua è venuta pessima.Io ho proseguito verso la Rue d’Ankara, alla ricerca di una minuscola strada chiamata Rue Berton: dalle descrizioni si tratta di una stradicciola dal sapore ottocentesco, coi lampioni a gas. Ecco, trovarla è quasi impossibile, ho girato invano prima di accorgermi di un pertugio, proprio all’angolo della via, sulla sinistra, accanto ad un garage.

La stradina è questa. Nulla di particolare, ma sono contenta di averla trovata. Ha un'atmosfera molto romantica.
Percorrendo la stradicciola, si arriva ad una piccola scalinata, e si sale sulla Rue Raynouard, la strada più antica di Passy, da dove si vede, dall’alto, la Maison du Balzac, l’ultimo rifugio del famoso scrittore, con un piccolo, grazioso giardino, purtroppo non fotografabile dall'alto.
Da qui una imprevista visione della Tour.
Non mi sono fermata a visitare la Maison, ed ho proseguito per la Rue de l’Anounciation fino a Place de Passy. Anche la Rue de Passy non ha nulla di rilevante, ma anche questa è una strada piacevole da percorrere. Il villaggio di Passy, di cui attualmente rimane ben poco, era meta di villeggiatura a causa delle sue sorgenti termali. Difficile immaginare come poteva essere fino alla metà dell’Ottocento.
Alla fine della passeggiata si arriva nel quartiere di Chaillot, ai sontuosi Jardins du Trocadèro: vi ricordate l’inizio del film The dreamers?
Sì, siamo arrivati alla Tour, finalmente.

Trocadèro e la Tour Eiffeil

Ed eccoci, dopo Auteuil e Passy, nella zona di Chaillot, ai Jardins du Trocadèro.

Questa zona e quella adiacente, oltre la Senna che vi scorre davanti, fu scelta come sede del progetto più rappresentativo dell’Esposizione Universale del 1889: stiamo parlando ovviamente della Tour Eiffeil, progetto assolutamente sbalorditivo per l’epoca, un vero prodigio che fu possibile a causa dell’utilizzo di materiali innovativi come la ghisa.
Forse non sapete che la famosa Tour, simbolo universale della città, non era che una creazione transitoria: andava infatti smontata alla fine dell’Esposizione. Fortunatamente non la smontarono, ed è ancora lì, fiera e svettante contro il cielo azzurro.
In questo particolare palazzo vi hanno sede il Museo de l’Homme e la Cinematheque: il Palais de Chaillot fu costruito per l’Esposizione universale delle Arti del 1937, come si intuisce dall’architettura a colonne (qualche reminiscenza con l’Eur di Roma, siamo negli stessi anni). Al suo posto vi era un palazzo costruito nel 1878, che invece venne demolito per far posto al più ambizioso e spazioso Palais de Chaillot.
So che il Museo de l’Homme è uno dei Musei etnografici più completi del mondo e, come archeologa preistorica, so che avrei dovuto visitarlo.
Sarà per la prossima volta…
Dalla terrazza del Palais si ha una vista spettacolare sui Jardins, sulla Tour e sullo Champ de Mars, alle spalle della torre.
Ed ora, scavalliamo la Senna, per arrivare alla Tour Eiffeil, di solito affollatissima di turisti.
In primavera le aiuole sottostanti e lo Champs de Mars sono, come tutta Parigi, un tripudio di fiori.
Eccoci, è giunto il momento di salirci sopra, su questa meraviglia della tecnica. Queste sono le vedute dal terzo piano: a destra si possono vedere tutti e tre i quartieri che abbiano attraversato, la parte verde è il Bois de Boulogne (che camminata, eh?)
La Senna, la banchina che vi scorre in mezzo è l'Allée de Cignes, ora la piccola Statua della Libertà si vede, anche se da qui è minuscola, proprio alla punta.
Le volte in vetro e ghisa del Petit e Grand Palais, all'inizio degli Champs Elisées, e il Pont Alexandre III.
La parte futuristica della città, la Defènse, costruita a partire al 1989: sulla sinistra si vede la Grande Arche, di cemento bianco, che fa pendant con l'Arc de Triomphe, a 17 chilometri di distanza.
La Collina di montmartre, si vede la Basilica de le Sacre Coeur.

E' ora di scendere dalle nuvole, ed avviarsi verso una nuova avventura.

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