I miei viandanti
sabato 30 gennaio 2010
Pasta integrale e verdure, per una ricetta sana e leggera
Archiviate le golosità della Torta della Nonna, veniamo a qualcosa di più leggero.
Ultimamente sto un pochino più attenta alla mia alimentazione (lo so, vista la ricetta precedente non si direbbe, ma vi assicuro che mi sono molto limitata nel mangiarla).
Devo dire che, una volta fatta l'abitudine, si sta decisamente meglio eliminando troppi dolci, biscotti, primi piatti pesanti...tante volte mi basta una scodella di riso in bianco, del formaggio leggero e un po' di frutta per sentirmi bene.
L'unica cosa che non riesco a limitare è il pane, soprattutto adesso che lo faccio quasi sempre io, e come resistere, allora, ad una bella fetta di pane fatto in casa?
L'altro giorno ho avuto la pessima idea, al ritorno dal lavoro (ero stanca, avevo finito tutte le scorte di pane e non avevo il tempo di farlo, visto che era tardo pomeriggio) di comprare al supermercato una confezione di pane di grano duro, di quelli già tagliati e imbustati, una mezza pagnottella dalla crosta scura, mollica gialla e consistenza morbida...durante il viaggio in autobus non ho resistito a mangiarmene un pezzettino, ho aperto la busta e mi ha investito una zaffata di odore forte, alcolico. Ne ho assaggiato un pezzo, il sapore forte, amaro, decisamente sgradevole.
Prima di arrivare a casa la pagnottella è finita nel secchio, tutta intera. Peccato. Gli ingredienti semplici (farina di semola, lievito, acqua e sale) non avrebbero mai fatto pensare ad un esito simile, però è vero che tutti i pani a lunga conservazione, compresi i bauletti, hanno l' alcool tra i conservanti.
Sicuramente non farò più l'errore di comprare quella marca di pane, così invitante, e invece tanto mefitico.
Un'altra cosa di cui non riesco a fare a meno è lo Yogurt, di cui farei indigestione, anche se ultimamente, invece di autoprodurlo, cedo alle tentazioni del marketing e compro quelli già fatti, anche perchè se ne faccio un litro alla volta rischio di mangiarmelo a cucchiaiate, direttamente dal barattolo. Certo, non è la stessa cosa che mangiarsi a cucchiaiate la Nutella (vi ricordate la scena mitica di Nanni Moretti, in Bianca? Ormai non la compro neanche più, altrimenti le faccio la festa in pochi giorni), però alla fine ci si sente in colpa lo stesso, come per qualsiasi eccesso.
Mi consolo pensando a quelli che ingurgitano fritti, salumi, formaggi grassi, magari cartocci di patatine bisunte di McDonald's, e allora veramente mi sembra di avere una alimentazione sanissima, al confronto.
Ho comprato alcune confezioni di pasta integrale, presa da un raptus salutista: prima era più raro trovarla, adesso si trova dappertutto, in questo caso era anche biologica, e non costava che qualche centesimo di più di quella normale di una famosa marca italiana.
L'accostamento che più mi è venuto naturale è stato con le verdure, ed in questo caso avevo un bel cespo di rughetta, biologica pure lei, a cui ho accostato dei pomodorini pachino (la ricetta dell'intingolo non è mia, l'ho mangiata al lavoro e ho cercato di rifarla uguale).
E' una pasta leggera, con i pomodorini saltati in padella con scalogno e aglio, scottati appena per cinque minuti. Sughetto semplice semplice, a cui la rughetta aggiunge un certo saporino amorognolo che non stona affatto, anzi.
Sarà che sono proprio stufa di questo tempo uggioso e delle giornate sempre buie, e di un po' di allegria nel piatto ne sento veramente il bisogno.
Per due persone:
Una ventina di pomodorini pachino
un mazzetto di rughetta
olio evo
un cucchiaino di farina
parmigiano
90 grammi di penne integrali biologiche a testa
uno spicchietto di aglio
uno scalogno piccolo
2 cucchiai di passata di pomodoro
Mettere un fondo di olio in una grossa padella antiaderente (dovrà contenere la pasta) con lo scalogno affettato sottile sottile e l'aglio.
Lavare i pomodori e tagliarli a metà.
Aggiungere i pomodori, mezzo bicchiere di acqua, due cucchiai di passata e un cucchiaino di farina (per addensare il sugo), salare e far saltare cinque minuti, rompendo qualche pomodoro per far uscire il sughetto.
Nel frattempo lavare la rughetta, togliendo la costola finale alle foglie.
Una volta pronto il sugo, buttarci dentro la rughetta, mescolare e tenere al caldo.
Lessare la pasta, scolarla, buttarla nella padella con l'intingolo, aggiungere parmigiano, mantecare bene e servire subito.
martedì 26 gennaio 2010
E torta della nonna sia!
E' un fatto appurato che, per quanto riguarda la frolla, sono un mezzo disastro.
Il bello è che le crostate sono tra i miei dolci preferiti: non mi piacciono molto nè quelli troppo pannosi nè quelli carichi di creme, burro e così via.
Insomma, sono capace di sbavare davanti ad una semplice crostata alla marmellata, e restare abbastanza indifferente se mi mettono sotto il naso una mimosa, una torta alla panna e cose del genere.
Certo, poi, sforzandomi un po' riesco pure a mangiarmene mezza, però senza grande convinzione.
Però con la frolla non ho un buon rapporto, forse perchè non amo molto il burro.
Questi giorni poi sto combinando pure disastri con la mdp, due pagnotte in due giorni una peggio dell'altra, ma penso di aver capito l'inghippo (credo che sia il lievito secco che ho comprato al discount): sono rimaste piatte, lievitando bene prima e sgonfiandosi poco prima di essere infornate, nonostante quella di ieri di semola di grano duro l'abbia lasciata lievitare ben sei ore nel forno caldo, coperta amorevolmente da un canovaccio di spugna. La mollica è venuta compatta, con uno strano odore e uno strano sapore salaticcio...non mi era mai successo, per cui o è il lievito balordo di suo, o ce ne ho messo troppo (una bustina da 10 grammi, mentre quella di Mastro Fornaio è da 7), oppure è la farina di segale che comincia a dare segni di squilibrio, però la pagnotta di segale dell'altra settimana è venuta perfetta, quindi...
Comunque, stavolta ho deciso di cambiare tipologia di dolce, ormai i ciambelloni mi vengono pure ad occhi chiusi, quasi sempre ( ne ho fatto una alla farina di castagne che non ci è piaciuto per niente, la prima volta che la uso e mi sa anche l'ultima), e allora...via con le frolle!
Se c'è una cosa che mi riesce peggio della frolla, è la crema pasticcera.
Eh sì, non c'è una volta che mi viene bene, è una sfida all'ultimo sangue tra me e un intruglio giallastro pieno di grumi che non vuole saperne di diventare crema pasticcera. Sono anni che non la faccio, evito anche di fare la crostata di frutta così non combino disastri.
Che poi sono una che segue meticolosamente le dosi e la preparazione (tipo sbattere le uova con lo zucchero, aggiungere il latte caldo a filo etc etc...)...mia madre invece, che fa tutto ad occhio e a memoria, ha sempre preparato una crema pasticcera da urlo, ma dico io...
Stavolta però, posso assicurarvelo, la crema pasticcera mi è riuscita una favola!
Ho scelto una crema pasticcera classica, non troppo densa.
Lo so che la torta della nonna deve essere più compatta, con una crema densa, probabilmente ci sono in circolo altre ricette più tradizionali, più rispondenti alla classica torta della nonna, guardate ad esempio qui, qui e Giallo Zafferano (dove trovate tutta la descrizione della preparazione con fotografie), e anche dal Cavoletto, che propone una versione con la farina di mandorle da cui sono stata molto tentata.
Ho cercato però una crema che non fosse troppo pesante nè con troppi tuorli, chissà, forse ho anche sbagliato...ma vi assicuro che questa crema morbida è riuscita una vera delizia (nonostante tagliare la torta non sia proprio facilissimo, e bisogna mangiarla necessariamente con la forchetta). Diciamo che ho fatto un po' un assemblaggio di ricette, pescando per esempio in questa pagina dei Borghi Toscani e la crema della Ciliegina sulla Torta.
Insomma, magari cercherò un'altra ricetta ancora più Torta della nonna classica, però questa è sicuramente da aggiungere al mio ricettario personale.
Per stavolta, anche la frolla non è venuta niente male, non la frolla classica, ma un impasto con un terzo di fecola di patate e le uova intere.
Alla fine, questa è la ricetta:
Per un tortiera da 24 centimetri (a me è avanzato qualche cucchiaio di crema e un pezzetto di frolla, forse con una da 26 o 28 viene anche più bassa e più compatta)
Frolla
200 grammi farina 00
100 grammi fecola patate
125 gr burro
100 grammi zucchero
2 uova intere (grosse)
mezzo cucchiaino lievito per dolci
Per la Crema pasticcera
4 tuorli di uovo (grandi)
100 grammi zucchero
50 grammi farina
mezzo litro di latte
scorza di limone
Riscaldare il latte, senza farlo bollire e metterci la scorza.
Sbattere con la frusta (a mano) le uova con lo zucchero, quindi aggiungere la farina, continuando a mescolare con la frusta.
Aggiungere il latte a filo, continuando a mescolare.
Mettere sul fornello grande, su uno spargifiamma, col fuoco al minimo (ecco perchè mi venivano sempre i grumi, usavo il fuoco troppo alto).
Cominciare a mescolare con la frusta, per circa 15 minuti, fino a che la crema non si è addensata (mai far bollire la crema, altrimenti impazzisce).
Togliere dal fuoco e continuare a mescolare per circa cinque minuti, poi mettere da parte, mescolando ogni tanto perchè non si formi la pellicina sopra.
Preparare la frolla con il metodo classico, e mettere in frigo per almeno mezz'ora.
Stendere la frolla con il mattarello sulla carta forno, lasciando un po' di pasta per la striscia.
Foderare la teglia, in modo che la pasta arrivi sopra al bordo.
Colare la crema ormai fredda nella tortiera (se fosse più densa, dovrebbe essere stesa più in alto al centro, ma in questo caso non è stato possibile).
Formare un lungo cordoncino e applicarlo al bordo della torta, poi con i rebbi della forchettafarlo aderire bene.
Cospargere di pinoli, infornare nel forno caldo a 180 gradi, sul ripiano di centro, per 40 minuti.
Sfornare e lasciar raffreddare, prima di toglierla dalla teglia (con la carta forno viene via benissimo).
Cospargere di zucchero a velo, e conservare il frigorifero.
venerdì 22 gennaio 2010
Sperimentazioni dolci con la mdp: Maritozzi lievitati all'uvetta
Ed ecco di nuovo in funzione la mia nuova macchina del pane. Dopo il pandolce all'uvetta, che ripeterò cuocendolo in forno, ero alla ricerca di un'altra ricetta dolce, ma non troppo burrosa.
Ho preso questa ricetta da Marianna, adattandola alla mdp (ma solo per l'impasto e la lievitazione): mi aveva intrigato per gli ingredienti semplici, senza burro nè uova, e allora mi sono subito messa all'opera.
A Roma si chiama maritozzo una pasta lievitata di forma ovale, piuttosto robusta come dimensioni, la superficie brunita e il sapore solo lievemente dolce, spaccato a metà e farcito con panna montata, era un dolce tipico della città ma che ora si trova sempre di meno, nelle pasticcerie o nei bar, rimpiazzato definitivamente dai croissants di pasta sfoglia (surgelati o meno), ma per fortuna sopravvivono bombe e ciambelle fritte, cosparse di zucchero semolato.
A Trastevere tanti anni fa la famosa Pasticceria Cecere, in via San Francesco a Ripa, faceva dei maritozzi fantastici, ora non saprei proprio dove cercarli, peccato...
Marianna li chiama maritozzi ed io farò altrettanto, specificando comunque che si tratta di paste lievitate all'uvetta, non eccessivamente dolci, bagnate con miele e cosparse di zucchero semolato.
Appena sfornate ne ho addentata una ancora calda, una vera delizia. Il pomeriggio erano ancora morbide, invece il giorno dopo sono diventate un po' più consistenti, confermando l'assunto che i lievitati, purtroppo, si induriscono entro poche ore: li ho chiusi in una scatola di latta ma non è servito a mantenerli soffici, ho ricevuto il saggio consiglio (sempre da Marianna) di chiuderli nella plastica, in maniera di averli sempre freschi e morbidi.
La prossima volta farò così.
Ho provato a fare tre forme, delle chiocciole, delle treccine e dei piccoli panini: direi che le chiocciole sono quelle riuscite meglio! Tra parentesi ho messo le variazioni (minime) alla ricetta originale (grazie Marianna!)
Maritozzi all'Uvetta
- 500 gr. di farina “00”
- 150 gr.di latte
- 75 gr. di zucchero semolato
- 60 gr. di olio extravergine d’oliva
- circa 100 gr. di acqua
- 1 cubetto di lievito di birra (5 grammi lievito secco Mastrofornaio)
- 1 cucchiaino di sale
- buccia grattugiata di un limone biologico (1 bustina di vanillina)
- 50 gr. di uvetta
Ho messo l'acqua e il latte tiepidi in fondo al cestello assieme all'olio, versata la farina.
Al centro ho messo lo zucchero, quindi il lievito secco, in un angolino il sale.
Ho lanciato il programma Impasto (1 ora e 30), poi ho lasciato un'altra mezz'ora nel cestello.
Ho tolto la pasta, piuttosto molliccia, l'ho stesa sulla spianatoia aiutandomi con altra farina, e ho mescolato l'uvetta.
Ho fatto le chiocciole ( 2 teglie), e le ho lasciate a lievitare nel forno tiepido per altre tre ore.
Poi le ho infornate a 170 gradi, nel forno caldo, per 15 minuti sulla leccarda coperta di carta forno, terzo ripiano dal basso, poi le ho voltate per farle colorire anche sopra, tenendole altri cinque minuti.
Appena sfornate, le ho spennellate con del miele sciolto con un goccio di acqua calda e cosparse di zucchero semolato.
mercoledì 20 gennaio 2010
Ricordi culinari da Ferrara
In questi giorni mi sembra di non aver molto da dire, niente gite clamorose per musei (quella ai capitolini la sto rimandando di giorno in giorno), qualche ricettina simpatica, qualche sperimentazione panificatoria, un film visto al cinema, insomma, niente di che...
Ieri pomeriggio sono andata a vedere Il Riccio (perchè togliere l'eleganza dal titolo, mi chiedo), pur non avendo letto il libro, cosa di cui mi sono dispiaciuta, rimedierò quanto prima.
Insomma, diciamo che è un film troppo breve, per i miei gusti: condensare un intero libro in un'ora e mezza prevede, sicuramente, grossi tagli e una minore introspezione dei personaggi, tratteggiati in modo superficiale e di maniera.
La trama, sulla carta, è accattivante, molto francese, un mix tra Amèlie e Odette Toulemonde: una grigia e sciatta portinaia, che vive nella sua guardiola assieme ad un gatto e una stanza nascosta piena di libri, dove si rifugia a leggere Tolstoj; una dodicenne che tenta di crescere circondata una famiglia scombinata e anaffettiva, e che programma in maniera lucida il suicidio per il giorno del suo compleanno; l'innesco del cambiamento nella vita delle due infelici è l'arrivo di un ricco giapponese nel condominio, che si incuriosisce dell'una e dell'altra, tre persone ferite in vario modo dalla vita, avvoltolate in una solitudine evanescente e oscura, che si incontrano e si riconoscono tra il via vai dei condomini.
Il tutto sarebbe anche interessante, gli attori sono bravissimi, il mondo visto da una dodicenne risulta un punto di vista insolito, ma le incongruenze e le superficialità delle trama non sono poche. Innanzi tutto, mi pare difficile che un ricco giapponese, al primo sguardo, riconosca la perla nascosta dentro una sciatta portiera, solo per una citazione da Anna Karenina, pure un po' banaluccia (Tutte le famiglie felici si assomigliano, invece le quelle infelici lo sono ciascuna a modo suo).
Quante volte avete fatto una citazione colta, convinti di abbagliare il vostro interlocutore che, se vi va bene, pensa che l'abbiate tratta da I proverbi di Nonna Papera, considerandovi inoltre anche saccente e poco creativa perchè rubate frasi dai libri altrui.
E quante volte avete incontrato un ricco giapponese che, dopo questo primo fatale incontro sulla porta della guardiola, tra uno straccio e uno spazzolone, vi invita a casa sua per una elegante cena a base di sushi (e che casa...una di quelle case da ricchi con quadri preziosi e water che suona Mozart quando ci si siede sopra), e poi vi regala un costoso vestito e scialle per invitarvi al ristorante...ma andiamo!
Non so nel libro, voglio proprio scoprirlo, ma nel film questo interesse sembra proprio accadere per motivi ignoti, assolutamente inspiegabili. Capisco che il romanzo si deve condensare, ma gli avvenimenti si verificano senza motivi apparenti o comunque ben spiegati, i salti tra i fatti mi sembrano un po' troppi.
Se fosse un romanzo giallo, dove tutto deve funzionare come i meccanismi di un orologio, la sceneggiatura sarebbe giudicata decisamente zoppicante per scorrere bene.
Insomma, non mi ha convinto molto, sulla carta forse risulterà più interessante della trasposizione cinematografica, comprerò il libro e lo scoprirò presto.
Ed ora veniamo alla ricetta di oggi: una cosa semplicissima, davvero, ma che è legata ad un bel ricordo, il viaggio a Ferrara. Come ho avuto modo di raccontare nei lunghi post dedicati a questo piccolo ma intenso viaggio, per caso mi sono fermata a curiosare dentro il negozio di una azienda agricola, di agricoltura biologica, proprio dentro le mura della città, accanto al cimitero ebraico.
Dopo qualche chiacchiera scambiata, sono stata invitata a pranzo, così, sull'onda della simpatia.
Un pranzo semplice, con verdure dell'orto e pane biologico (un pane scuro e compatto, buonissimo, mai mangiato prima, peccato non aver chiesto con che tipo di farina fosse, mannaggia). Tra i piatti messi insieme dalla cuoca, vicino ad una cucina economica, a cesti pieni di frutta e verdura e scaffali stracolmi di prodotti di tutti i generi, c'era questo semplicissimo Riso Basmati con cipolle e radicchio in umido.
Innanzi tutto, il riso basmati, piccolo, a chicco lungo, non è un riso che ricorre spesso nella cucina italiana anzi, fino a quel momento non l'avevo mai assaggiato e, sinceramente, neanche il radicchio con le cipolle. L'avevo mangiato nelle lasagne, crudo e condito come le puntarelle, al forno, ma in umido mai.
Il riso l'ho trovato facilmente, ormai ce l'hanno tutti i supermercati, e allora ho pensato di replicare questa semplicissima ricetta, visto il tempo di dieta, e poi io adoro mescolare pasta o riso con le verdure.
E allora
Riso Basmati con radicchio e cipolle in umido
Ingredienti per due persone
mezzo cespo di radicchio tondo, piccolo
due cipolle o scalogni
80 grammi circa di riso basmati a testa
olio evo
Tagliare il radicchio a striscioline sottili e metterlo a bagno per un paio di ore in abbondante acqua fredda, in maniera che perda l'amaro.
Tagliare le cipolle a fette sottili, metterle in una padella antiaerente con un giro di olio e farle imbiondire dolcemente (non soffriggere), quindi aggiungere il radicchio, coprire con mezzo bicchiere di acqua, salare e saltare a fuoco dolce fino a che il radicchio non si è appassito, circa 15-2o minuti.
A parte lessare il riso, scolarlo bene e mescolarlo alle verdure.
Servire caldo o tiepido.
lunedì 18 gennaio 2010
Pan di segala, il sapore casereccio della montagna
Dopo il primo esperimento col Pane al Latte, ho subito rimesso in opera la mia nuova macchina del pane: avevo una ricetta di un pandolce, una brioche con uvetta, e l'ho provata. Il risultato non è stato malvagio ma ha confermato quello che già pensavo: che la mdp va benissimo per impasto e lievitazione, ma per cuocere al meglio è preferibile il forno tradizionale.
Il sapore non era male, a metà tra un panettone e un pandolce, però la consistenza era un po' troppa, a parte il fatto che i lievitati, in genere, tendono a seccarsi subito. La prossima volta proverò col metodo tradizionale, e vi dirò...
Questa estate avevo fatto una bella scorta di farine particolari, che nei supermercati del Trentino si trovano tranquillamente, senza doverle cercare troppo: avevo comprato un chilo di farina di segale, perchè quel tipo di pane c'era piaciuto proprio tanto.
Nell'albergo in cui abbiamo alloggiato per colazione, oltre a due tipi di dolci fatti in casa, c'erano svariati tipi di pane, bianchi o integrali, di segale, con le noci, con i semi di cumino, insomma, una bella varietà, tutti freschi e croccanti.
I dolci li abbiamo assaggiati quasi tutti, però non abbiamo mai disdegnato una bella fetta di pane integrale con le marmellate spettacolari che fanno da quelle parti (ribes nero, mirtilli, frutti di bosco, fragola), non troppo dolci, dal gusto un po' asprigno, che sta benissimo su quei tipi di pani un po' rustici.
Ho usato la farina di grano saraceno per fare qualche dolce, mentre quella di segale è rimasta lì, a vegetare...mi ero comprata anche, sempre in Trentino, un bel libretto di ricettine.
Veramente ne avevo visionati parecchi, nelle librerie, ma niente che mi convincesse del tutto. Non so perchè, ma i libri che ricordano i vecchi quaderni della nonna, con belle fotografie ma anche una grafica accattivante, magari in caratteri che sembrano scritti a mano, a me fanno impazzire, molto più che quelle impaginazioni modernissime, stile food-design. Forse è perchè richiamano un tipo di cucina rustica, casereccia, chissà...
Invece questo, smilzo ma tutto illustrato ad acquarello, (Quaderno delle Ricetta, Valli del Trentino,di Nilla Turri, Mulino Don Chisciotte), mi è piaciuto subito: in realtà, molte delle ricette sono a base di ingredienti un po' difficili da reperire, oppure che non avrei mai il coraggio di cucinare (tipo il capriolo...ma come si fa a mangiarsi Bambi??): ovviamente sono ricette con ingredienti locali, a base di burro, polenta e selvaggina, però alcune le voglio proprio provare.
Ovviamente, c'era il pan di segale...è da lì che ho preso la ricetta, ridotta a dosi caalinghe (quella originale prevede in tutto tre chili di farina, evidentemente per famiglie più numerose della mia).
Io ho fatto le dosi per una bella pagnottella, però la mdp ha faticato un po' ad impastare, perchè è tarata per una quantità maggiore di farina: la prossima volta raddoppio le dosi e ne faccio due, visto quanto mi è piaciuta.
Ho usato la mdp per l'impasto e la lievitazione, ho lasciato poi tutto fermo per un'altra mezz'ora, ho fatto la pagnottella e rimessa a lievitare, nel forno tiepido per altre tre ore...ed il risultato è stato perfetto (mi devo solo regolare col sale, ne ho messo un po' poco).
Sembra proprio una pagnotta locale, con poca mollica, come piace a me, morbida e profumata...la segale, anche se costituisce solo un terzo della farina (va sempre mescolata con altro tipo, altrimenti non riesce a crescere), conferisce un colore e un sapore decisamente caratteristico, a questo pane particolare. Con una marmellata fatta in casa, non molto dolce, o con un formaggio, è davvero la morte sua...
Nella ricetta ci andrebbero pure i semi di cumino, ma è buona anche senza.
Pane di segale (1 pagnottella)
200 grammi farina Manitoba
100 grammi farina di segala
190 mldi acqua
mezzo cucchiaio di olio
mezzo cucchiaio di zucchero
un cucchiaino di sale
5 grammi lievito di birra secco
Con la Mdp:
Mettere l'acqua tiepida e l'olio il fondo al cestello, aggiungere le due farina mescolate bene.
Al centro mettere il lievito secco mescolato allo zucchero, di lato il sale.
Programma Solo impasto, circa 1 ora e 30.
Lasciare lievitare a macchina spenta altri trenta minuti.
Prendere l'impasto, infarinarlo se necessario, fare la pagnottella allungata (a me non piace il pane troppo mollicoso), mettere su un foglio di carta forno, su una teglia, nel forno chiuso e tiepido, per altre tre ore.
Tirare fuori la pagnotta,che a questo punto sarà bella lievitata, accendere il forno a circa 190 gradi e lasciarlo scaldare circa 15 minuti.
Infornare la pagnotta sul ripiano centrale.
Dopo circa 15 minuti girarla per colorirla dall'altra parte.
Si cuoce in circa 25-30 minuti (in tutto).
sabato 16 gennaio 2010
L'Età dell'Impero a Palazzo Massimo
Ed eccoci giunti al Primo Piano di Palazzo Massimo, dove sono esposte statue di età imperiale, fino al periodo tardo. Saliamo per le imponenti scalinate di marmo adornate da ringhiere in ferro battuto e lampioni: ed ecco aprirsi una serie di stanze ampie, dai colori chiari, un po' freddi, atmosfere rarefatte e lineari che contrastano con la morbidezza dei marmi lucidi.
Bella e vigorosa la statua di Antonino Pio proveniente da Terracina, metà del I secolo d.C., , poi nell'ampio Salone spicca la dolce Fanciulla di Anzio, una figura femminile ritrovata nel 1878 nella Villa Imperiale di Nerone, forse un originale greco del III secolo a.C., oppure una copia romana di età neroniana.
mercoledì 13 gennaio 2010
Sperimentazioni e pasticci con la Macchina del pane
Eh sì, alla fine, dopo lunga meditazione e accurate ricerche di mercato, ho capitolato anch'io: sono uscita con intenzioni bellicose, e sono tornata trascinandomi uno scatolone enorme e pesantissimo: la macchina del pane!!!
E' una Kenwood 250, ero indecisa tra questa e la Severin, ma tanto la seconda al negozio non ce l'avevano, e allora non avevo molta altra scelta. Mi piace anche il cestello rettangolare, più largo che lungo, mi sembra che il pane si cuocia meglio in orizzontale che in verticale come le altre, ma insomma, ma è una mia considerazione personale, assolutamente non suffragata da esperienze concrete.
Ovviamente, i primi tentativi sono stati un disastro, oltre ogni previsione, che meritano davvero di essere raccontati: innanzi tutto, mi ero fornita di lievito Mastro Fornaio, ricettario e tutti i consigli utili, ma quando ho tirato fuori tutti i barattoli delle farine che sono nella credenza, ho visto che le avevo tutte, anche le più strambe (la 00, semola di grano duro, semolino, di mais, di grano saraceno, di segale, di cocco) tranne quella che mi serviva, cioè la Manitoba!!
Tra l'altro, tutte in barattoli privi di etichetta, sempre perchè uno si fida della memoria, e allora per riconoscerle sono dovuta andare a naso, e speriamo di averci azzeccato.
Insomma, la Manitoba non c'era, per cui mi sono precipitata al supermercato a comprarla, troppo entusiasta per aspettare a mettere in moto questa meraviglia della tecnica.
Ho messo gli ingredienti, dopo aver letto le istruzioni e aver pescato la ricetta base dal Ricettario Kenwood. Non specificava quale tipo di farina si dovesse usare, solo bianca non sbiancata, e per non sbagliare ho fatto 250 grammi Manitoba e 200 grammi 00, come faccio di solito.
Ho spinto il tasto di Avvio, e mi sono messa ad aspettare, trepidante. Ho fatto la stupidaggine di non guardare l'ora, troppo presa della preparazione, il tutto con due gatti curiosi e diffidenti che volevano saltare sul tavolo mentre stavo mescolando gli ingredienti per annusare la voluminosa scatola di latta che non avevano mai visto prima.
Dopo un tempo che mi è sembrato, a occhio, un po' breve per essere 3 ore e 18, è squillato il campanello, e sono andata a vedere. Quello che ho visto sul fondo del cestello, con mio sommo raccapriccio, è stata una specie forma trapezoidale mezza cotta e mezza no, dura come il marmo.
Non vinta, sono andata alla ricerca di un'altra ricetta, visto che in molti Forum il consiglio era di non seguire i ricettari acclusi alla macchina perchè le farine degli altri paesi richiederebbero diverse quantità di acqua, la pasta risulterebbe troppo collosa e non lieviterebbe bene.
Ho trovato una ricetta del pane al latte su una raccolta in pdf di Gielleffe, e ho provato con quella, anche se le dosi non mi sembravano tanto diverse da quelle che avevo usato, comunque ho spinto il tasto avvio, controllato l'ora e ho aspettato.
A questo punto (erano ormai le 4 di pomeriggio) dopo solo un'ora il campanello è squillato, e sono andata a vedere cosa desiderasse da me la mdp, visto che mancavano ancora 2 ore e passa per la cottura...il pane era già cotto, lievitato ma non abbastanza, un mattoncino rettangolare un po' meno disastroso del precedente ma sempre della consistenza del marmo.
A questo punto ho deciso che non erano le ricette ad essere balenghe, ero proprio io che sbagliavo qualcosa di fondamentale. Mi sono riletta attentamente le istruzioni, e ho scoperto che il tasto più grande, quello in bella evidenza, che io avevo preso per il tasto di Avvio, in realtà era quello della Cottura Rapida, che in 58 minuti ti fa una bella pagnotta, ma con dosi di lievito decisamente diverse dalle mie...ma insomma, ma come si fa a mettere il tasto di Avvio confuso con gli altri, e quello di Cottura Rapida in prima fila e più grande degli altri, ma siete deficienti?!
A quel punto, la questione si era trasformata in una sfida personale, tra me e la macchina.
Ho aperto il frigo per ripetere daccapo la ricetta, e ovviamente avevo finito il latte.
Sono uscita di corsa per comprare il latte, e ho ricominciato daccapo, facendo attenzione a premere il tasto giusto.
Dopo qualche secondo, ha cominciato ad emettere rumori di ferraglia, di catene trascinate, ho spento di corsa pensando di aver rotto subito la mia bella mdp nuova nuova, e invece il cestello s'era staccato dalla base per cui girava a vuoto (mai visto un cestello più antipatico, sia a infilarlo che a sfilarlo).
Rimesso a posto il cestello, è ripartito tutto bene, tranne che ogni tanto non riuscivo a non aprire lo sportello per vedere se tutto procedeva bene e, come avevo visto su varie fotografie, la pasta mi è sembrata troppo secca, c'era della farina attaccata sulle pareti del cestello che non ne voleva sapere di impastarsi col resto. Per non mettere un liquido freddo, come il latte che stava in frigo, ho pensato bene di aggiungerci un cucchiaio di olio, e allora la palla ha cominciato a sbatacchiarsi sulle pareti del cestello, reso scivoloso dall'olio. Ho fermato tutto, impastato con la punta delle dita, e fatta ripartire.
Insomma, è stata veramente un'impresa...tre ore di panico, mentre vedevo l'impasto che cresceva, cresceva sempre più, prima tutto stortignaccolo e poi sempre più simile ad impasto normale.
Insomma, quando il tempo era trascorso, ecco il mio primo Pane al Latte!
Devo dire che è stato un parto più faticoso di quanto pensassi, nonostante non abbia fatto niente altro che guardare, non so se sono io un po' pasticciona oppure anche altri hanno trovato carenti le istruzioni allegate.
Commento: ho fatto un pane al latte, tipo pane per Sandwich, con crosta delicata, mollica compatta, morbido. Non è il mio preferito, lo ammetto, però mi pareva quello più facile, come primo esperimento, e per colazione, con una buona marmellata fatta in casa, non è male. Anche per un tramezzino o un toast, va benissimo, un po' meno mangiato a pasto, a meno che non siate dei fans dei bauletti tipo Mulino Bianco.
Insomma, anch'io ne ho un pacchetto sempre di scorta, però, volete mettere una bella pagnottella di semola, con la crosta scrocchiarella e la mollica alveolata? Oppure un bel pane di segale ai semini, o delle baguettes molto francesi, o un casareccio rustico?
La macchina del pane ha molte funzioni, tutte da scoprire, come quella per fare l'impasto (non adoro impastare sulla spianatoia) e la lievitazione, e poi conviene fare le forme desiderate e mettere tutto nel forno tradizionale, mi impraticherò un po' con qualche ricetta con cottura nella macchina, e poi voglio sperimentare le varie alternative...
Ho anche intenzione di impastare pandolci e le brioche, che di solito evito sempre per lo stesso motivo, spianatoia appiccicaticcia, farina sparsa ovunque, insomma, la cucina ridotta ad un campo di battaglia, invece si butta tutto dentro la macchina e a sporcarsi le mani ci pensa lei!
Pane al Latte
(ricetta presa da questa raccolta pdf di Gielleffe, Raccolta di suggerimenti e ricette per la Macchina del Pane, utilissima, pescatela nella pagina di Francesca, ma un pochino variata)
250 grammi farina Manitoba
200 grammi farina 00
50 grammi semola di grano duro (questa l'ho aggiunta io, in origine erano 250 grammi 00)
290 ml di latte
2 cucchiai olio di oliva (li ho aggiunti io)
1 cucchiaio zucchero
1 cucchiaino e mezzo di sale
1 bustina di lievito secco Mastro Fornaio (7 grammi) oppure un cubetto di lievito fresco
Mettere i liquidi sul fondo del cestello, quindi la farina, il sale in un angolino, lo zucchero vicino al lievito.
Impostare il programma 1 (Pane bianco), peso 750 grammi, crosta Media, in tutto 3 ore e 18 minuti.
lunedì 11 gennaio 2010
Antico e Nuovo a Palazzo Massimo
Dopo avervi abbondantemente illustrato Palazzo Altemps, ecco un altro pezzo del Museo Nazionale Romano, istituito una quindicina di anni fa. Si tratta di una collezione di preziose opere romane, soprattutto sculture ma non soltanto, che hanno trovato nuova sistemazione in alcuni palazzi antichi di Roma.
Nel caso dell’Altemps, si trattava di un bellissimo palazzo secentesco, alle spalle di piazza Navona.
Già solo la bellezza dei saloni e degli affreschi vale una visita: la statuaria in quella cornice, poi, viene impreziosita ancor di più, una visione veramente sublime che ha pochi rivali al mondo.
venerdì 8 gennaio 2010
Mestizia di inizio d'anno
Ed eccoci rientrati nella normalità, mi verrebbe da dire per fortuna.
Il giorno della befana ho smontato albero e addobbi, presa da una frenesia di riordino e di noia.
lunedì 4 gennaio 2010
La Befana vien di notte...
Beh, in questo caso più che notte è giorno pieno, e che giorno...dopo tanti giorni di vento, pioggia e freddo, una domenica incantevole, con l'aria frizzantina che pulisce il cielo e il sole caldo che con un dolce tepore attenua la tramontana.
Come l'anno passato, anche in questi giorni ho trovato un po' di tempo per fare una paseggiata nelle vie del centro di Roma, partendo dal LungoTevere fino a Piazza Navona. Questa meraviglia è Castel Sant'Angelo e il suo ponte, che vi illustrerò nei particolari le prossime volte. La pioggia di questi giorni ha ingrossato il fiume, ma non ai livelli degli stessi giorni dell'anno passato.
Ed eccoci in una delle piazze più belle del mondo...che in occasione del Natale si anima di bancarelle, dolciumi, palloni colorati e clown.
Le bellissime fontane le illustrerò, anch'esse, in un post a parte, sono troppo elle per mescolarle ai colori della festa, meritano uno spazio tutto per loro.
Ovviamente la piazza era gremita, soprattutto di bimbi, che nei giorni prima della Befana vengono a mangiare lo zucchero filato, le mele stregate dal colore rosso caramellato oppure coperte di cioccolato, e delle enormi ciambelle con lo zucchero sopra, delle dimensioni delle ruote di un carretto.
Tanti anni fa la maggior parte delle bancarelle vendeva soprattutto giocattoli, era ricorrenza venire nei giorni di Natale per guardarli e poi, spesso, magicamente, la notte dell'Epifania venivano portati dalla simpatica vecchietta.
Ora le bancarelle di giocattoli sono quasi sparite, ci sono oggetti di tutti i tipi, ninnoli, cose in legno, quadri, cappelli, e così via...
E poi, sulla strada del ritorno, un altro capolavoro del barocco berniano, degna conclusione di questa passeggiaiata: Piazza San Pietro decorata dall''enorme albero di Natale e dal presepe, irraggiungibile per la grande folla.
Ala prossima puntata, e buona Befana a tutti!!
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