Per girare una città così piena di storia e di infiniti aneddoti, è indispensabile munirsi di una buona guida: io ormai le colleziono, credo di averle praticamente tutte, ed ognuna aggiunge qualcosa che magari le altre non riportano.
Ce n’è una in particolare, che ho riletto più volte, e che consiglio vivamente a tutti quelli che vogliono vedere davvero Parigi, ed è il bel libro di Corrado Augias, I Misteri di Parigi.
Me lo porto dietro ogni volta che ci vado, e spesso sono andata alla ricerca dei luoghi e delle strade di cui racconta.
Corrado Augias è un coltissimo e garbato signore che ha il pregio di mescolare storia, aneddoti e ricordi in maniera affascinante.
Mi piace molto quello che scrive, e come lo scrive. Ho quasi tutti i suoi libri e seguo sempre anche la sua trasmissione Enigma (è una delle pochissime cose che vedo in televisione, che detesto ed evito come posso).
Per fortuna ci sono ancora persone che riescono a unire cultura e divulgazione, assieme ai miti Piero e Alberto Angela.
L’unica cosa che non ti aspetti da lui, invece, è che scivoli talvolta, inaspettatamente, nel piccante: ricordo ancora uno spiritoso aneddoto da lui raccontato sulle pratiche auto indulgenti di Leopardi…;-)
Sono nel cuore di MontMartre, mi aspetto di vedere Amèlie Poulain che sbuca dall’angolo.
Ho davanti a me una incredibile chiesa Art Nouveau, costruita con materiali assolutamente innovativi per l’epoca: cemento armato rivestito in mattoni, metallo, maioliche e vetrate. Austera e allo stesso tempo affascinante, l’interno è buio ma rischiarato da vetrate suggestive, con una progettazione sobria e rigorosa, all’epoca dovette apparire veramente moderna, e forse anche un po' strana.
Il nome è St. Jean l’Evangeliste, ed è della fine dell’Ottocento.
Proprio di fronte c’è un piccolo giardino, e la fermata della Metro des Abbesses (si vede l'interno nel film di Amélie), con l’unica copertura in vetro originale del geniale architetto Hector Guimard, uno dei massimi protagonisti dell’Art Nouveau.
Ricordarsi di prendere l’ascensore, per uscire dalla Metro: c’è una scala a chiocciola che pensavo di rimanerci secca, per quanto è lunga.
Dopo la fermata di Jaurés, la Metro2 corre in superficie, si vede un bel panorama del Sacre Coeur. La folla che sale è variegata e variopinta, veramente multietnica. Si vede che il quartiere non è centrale.
Benchè sia ora famosissimo e turistico fino alla nausea, fino all’Ottocento si trovava fuori città, era la meta di piacevoli scampagnate domenicali. Non era un quartiere cittadino, quindi, ma una collina verde, con vigneti, mulini a vento e stradicciole di paese.
Era, anzi, una zona piuttosto malfamata, per alcuni versi. Le abitazioni erano piuttosto povere, qualche volta delle vere a proprie baracche: tutto questo prima che divenisse il quartiere preferito di artisti e pittori.
Quando cominciò ad andare di moda, cominciò anche l’opera di risanamento e edificazione della zona. La costruzione dell’enorme chiesa bianca (secondo me un vero orrore) comportò lo sbancamento di una considerevole parte del tessuto antico del quartiere, un po’ come avvenne con il Vittoriano a Roma. Per tutti i quaranta lunghi anni di costruzione dell'edificio, che comportò seri problemi di statica a tutta la collina, Montmartre fu un cantiere a cielo aperto, e si può solo immaginare lo stravolgimento totale che conobbe. Ne abbiamo numerose testimonianze sia dalle foto d'apoca, sia dai numerosi quadri degli artisti che vi abitarono, come Utrillo, Renoir e Cézanne.
A colazione mi sono fermata in piccolo bar all’angolo tra Rue Trois Frères e Place Dullin, dove c’è il Theatre de l’Atelier (a quest’ora di mattina, ovviamente, è chiuso) a prendere un cafè au lait: Montmartre era ancora deserta, solo i veri parigini erano in giro.
Il caffellatte era orribile (qui fanno bollire troppo il latte e il caffè è acqua sporca) ma il bar era carino, e i clienti erano tutti francesi. Si può far finta di non essere un volgare turista, chiedendo in francese, con nonchalance, la colazione, e respirando aria autenticamente parigina.
Anche queste sono soddisfazioni.
Sulla Rue des Abbesses, direzione cimitero, si apre una piccola stradicciola in discesa, la Rue Andrè Antoine, di cui Augias racconta ampiamente la storia nel primo capitolo del suo libro I Misteri di Parigi, In quelle Trine morbide.
All’epoca non aveva l’aspetto attuale e si chiamava Passage de l’Eliseés de Beaux-Arts, alcuni palazzi sono chiaramente moderni: al numero 37, per esempio, c’era un famoso teatro in legno, il Theatre Libre di Andrè Antoine, ma il palazzo odierno, come si vede dal portone, risale all'inizio del Novecento.
Questa minuscola rue era una via piuttosto frequentata, visto che vi abitavano donnine allegre e di facili costumi.
Per andare al Cimitero di Montmartre, ci sono due alternative: una più romantica, e cioè proseguire per Rue des Abbesses, attraversare un incrocio con la lunga e ampia Rue de Coulancourt (quella che va in salita), percorrere tutta la sopraelevata di ferro azzurro che sovrasta il cimitero, quindi prendere le scalette sul versante sinistro del ponte, ed entrare da lì.
L’altra è assolutamente prosaica, cioè si scende alla Metro Blanche, sul trafficatissimo e volgare Boulevard de Clichy, percorrerne un piccolo tratto in direzione Place de Clichy, al numero 20 di rue de Rachel voilà le cimitiére!
Consiglio assolutamente la prima soluzione, il panorama dal ponte è affascinante, benché ci sia un poco di cammino da fare.
I miei viandanti
lunedì 28 gennaio 2008
Montmartre, Il cimitero
Un luogo incantato.
Questo posto è meraviglioso, forse la cosa più suggestiva che ho visto a Parigi. Neanche il Père Lachaise può reggere il confronto, secondo me.
Diciamo che io coi cimiteri, le necropoli e le tombe sono uno un po' fissata, in maniera quasi morbosa, ci sguazzo dentro come fossi a casa mia. Sarà la mia formazione da archeologa,oppure ho scelto di studiare Archeologia perchè ero già un po' tarata mentalmente, mi sa.
Aperto dal 1825 su un sito di antiche cave di gesso, già usato come discarica di morti durante la Rivoluzione Francese, è molto grande, circa 11 ettari, ed orientarsi non è facile, nonostante ci sia una piantina dettagliata all’ingresso.
La parte dell'ingresso è sormontata da un ponte in ferro (o ghisa) che ci passa sopra, per cui se si arriva da lì, si ha una panoramica completa del cimitero (è la foto sopra).
La foto sotto si riferisce alle prime tombe, quelle sotto la sopraelevata.
Ho trovato la tomba di Dumas figlio, quella di Stendhal ed una bellissima, quella del pittore Greuze. È una fanciulla in bronzo ad altezza leggermente minore del reale, in abiti settecenteschi ed acconciatura a boccoli. Ai piedi ha una tavolozza da pittore e delle rose, come cadute e appassite alla rinfusa sul marmo bianco.
Un abitante del cimitero, per nulla inquietato dai suoi silenziosi coinquilini...
Sono rimasta in contemplazione estatica su una panchina, al sole caldo, godendomi fino all’ultimo respiro la magia di questo luogo.
Questo posto è meraviglioso, forse la cosa più suggestiva che ho visto a Parigi. Neanche il Père Lachaise può reggere il confronto, secondo me.
Diciamo che io coi cimiteri, le necropoli e le tombe sono uno un po' fissata, in maniera quasi morbosa, ci sguazzo dentro come fossi a casa mia. Sarà la mia formazione da archeologa,oppure ho scelto di studiare Archeologia perchè ero già un po' tarata mentalmente, mi sa.
Aperto dal 1825 su un sito di antiche cave di gesso, già usato come discarica di morti durante la Rivoluzione Francese, è molto grande, circa 11 ettari, ed orientarsi non è facile, nonostante ci sia una piantina dettagliata all’ingresso.
La parte dell'ingresso è sormontata da un ponte in ferro (o ghisa) che ci passa sopra, per cui se si arriva da lì, si ha una panoramica completa del cimitero (è la foto sopra).
La foto sotto si riferisce alle prime tombe, quelle sotto la sopraelevata.
Ho trovato la tomba di Dumas figlio, quella di Stendhal ed una bellissima, quella del pittore Greuze. È una fanciulla in bronzo ad altezza leggermente minore del reale, in abiti settecenteschi ed acconciatura a boccoli. Ai piedi ha una tavolozza da pittore e delle rose, come cadute e appassite alla rinfusa sul marmo bianco.
La fanciulla è ripresa da uno dei suoi dipinti più famosi, La Brocca Rotta, una sottile allusione alla perdita irreparabile dell'innocenza, a cui il pittore allude con lo stropicciamento delle vesti e con l'incrinatura della grossa brocca che porta al braccio.
Mi sono incantata a guardarla, è veramente una delle tombe più poetiche del cimitero, anche se ce ne sono altre veramente belle.
all'arte più moderna, delle ultime tombe (il cimitero è monumento storico, ma alcune sono recenti, evidentemente sepolture di famiglia ancora da riempire).
La bellezza di alcune statue è sconvolgente.
Sono tutte giovani, romanticamente prostrate dal dolore, abbandonate nella loro disperazione.
La quieta disperazione delle tombe fa un curioso contrasto con l’atmosfera idilliaca che pervade questo posto: il cielo è azzurro e terso, ci sono delle nuvole di fiori rosa sugli alberi dei vialetti lastricati che percorrono il cimitero, nessuno in vista, solo silenzio e il cinguettio degli uccellini.
Poi, tra tante sculture auliche, la commovente testimonianza dell'amore di un uomo per il proprio felino...
Mi sono incantata a guardarla, è veramente una delle tombe più poetiche del cimitero, anche se ce ne sono altre veramente belle.
Un’altra che mi ha colpito molto rappresenta una fanciulla in ginocchio, con il volto chinato e un mantello che le avvolge il capo e il corpo, fino a terra, in una posa di disperato dolore.
Lo stile delle tombe e delle statue, ovviamente, è molto vario: si va dal Neoclassico, come nel rilievo della tomba qui sotto, sulla scia del Revival del rilievo romano che tanto ispirò il Canova e tutta l'arte mortuaria primo-ottocentesca, così come curiose pagode dal sapore orientaleggiante, anche quello in voga nell'Ottocento e inizio Novecento.
Lo stile delle tombe e delle statue, ovviamente, è molto vario: si va dal Neoclassico, come nel rilievo della tomba qui sotto, sulla scia del Revival del rilievo romano che tanto ispirò il Canova e tutta l'arte mortuaria primo-ottocentesca, così come curiose pagode dal sapore orientaleggiante, anche quello in voga nell'Ottocento e inizio Novecento.
all'arte più moderna, delle ultime tombe (il cimitero è monumento storico, ma alcune sono recenti, evidentemente sepolture di famiglia ancora da riempire).
La bellezza di alcune statue è sconvolgente.
Questa fanciulla avvolta da veli è di una grazia delicata e triste, e anche sottilmente inquietante...il viso tra l'estatico e l'addormentato, le palpebre socchiuse, il corpo sottile eppure carnale che emerge nel chiaroscuro dei veli che l'avvolgono come un sudario: non si sa se sia viva oppure morta...
Il tema femminile è quello prevalente, nella statuaria funebre ottocentesca.
Sono tutte giovani, romanticamente prostrate dal dolore, abbandonate nella loro disperazione.
Qualche volta addirittura bambine, talmente realistiche da sembrare vive, colte in gesti così naturali come quello di gettare un fiore...
La quieta disperazione delle tombe fa un curioso contrasto con l’atmosfera idilliaca che pervade questo posto: il cielo è azzurro e terso, ci sono delle nuvole di fiori rosa sugli alberi dei vialetti lastricati che percorrono il cimitero, nessuno in vista, solo silenzio e il cinguettio degli uccellini.
Poi, tra tante sculture auliche, la commovente testimonianza dell'amore di un uomo per il proprio felino...
A Mon Petit Winnie, 8 mai 1989- 13 octobre 2002
La Pensée c'est la présence dans l'absence.
Un abitante del cimitero, per nulla inquietato dai suoi silenziosi coinquilini...
Sono rimasta in contemplazione estatica su una panchina, al sole caldo, godendomi fino all’ultimo respiro la magia di questo luogo.
Montmartre, terza parte
Uscita dall'incantevole cimitero di Montmartre, ho preso la lunghissima ed elegante Rue de Coulaincourt, un vialone tutto in salita fiancheggiato da palazzi inizio secolo, molto distinti. Nella strada (che pare non finisca mai), non c’è nulla di particolare, però è piacevole da passeggiarci, ed in giro non c’è neanche l’ombra di un turista: evidentemente è fuori dai circuiti più battuti.
Dopo la grande curva, una minuscola stradicciola (Rue Gaulard) conduce al piccolissimo Cimitero di St. Vincent, praticamente una gemma incastonata tra alte mura e circondata da palazzi. Qui c’è la tomba del pittore dei gatti Steinlen, costituita da un curioso seggio di pietra (come si vede nel film di Eric Rohmer Incontri a Parigi, solo che io non sono mica riuscita a trovarla...)
La Rue des Saules confluisce nella lunga e stretta Rue Saint Vincent, costellata di minuscole abitazioni, e proprio all’inizio si vedono una serie di piccole terrazze coltivate a vigna: sono queste le famose Vigne de la Butte, purtroppo tutto ciò che rimane delle estese coltivazione che costellavano l’intera collina. Uno dei palazzetti che si erge dietro le vigne è il Museo di Montmartre.
La Rue Saint Vincent conduce ad un piccolo giardino con un castello e una vista mozzafiato, proprio sotto le sacre Coeur (siamo sul retro della Chiesa, a destra).
Il Giardino si chiama Parc de la Turture, ha una curiosa forma triangolare ed è a picco sul quartiere sottostante (dopotutto, Montmartre è una collina), per scendere si dovrebbe prendere una scala che si chiama Rue de la Bonne.
La prima volta che sono venuta a Montmartre, ho fatto un ampio cammino per le stradicciole che girano qua intorno , cercando invano le Chateau des Brouillards (nella Allèe omonima, all’angolo tra la Rue Dereure e la Rue Girardon ), la misteriosa “via delle nebbie” con il castello (anteriore alla rivoluzione) che deve la sua fama ad un romanzo e a Gerard de Nerval (che vi abitò nel 1846) e a Renoir (che però abitò solo di fronte): il nome era suggestivo, e poi un castello mica si può perdere così…e invece si può, perché lo sto ancora cercando, così come la Allèe.
Forse quella volta c’era troppa nebbia…
La seconda volta invece, girando e rigirando alla fine l'ho trovato: veramente lo Chateau è un po’ una mezza sòla, per dirla tutta: una villetta di campagna bianca e fatiscente con le persiane sbarrate, con un’aria di abbandono piuttosto malinconica, invisitabile.
Dopo la grande curva, una minuscola stradicciola (Rue Gaulard) conduce al piccolissimo Cimitero di St. Vincent, praticamente una gemma incastonata tra alte mura e circondata da palazzi. Qui c’è la tomba del pittore dei gatti Steinlen, costituita da un curioso seggio di pietra (come si vede nel film di Eric Rohmer Incontri a Parigi, solo che io non sono mica riuscita a trovarla...)
Uscita dal cimitero, ho continuato sulla destra, fino a prendere la suggestiva Rue des Saules, una delle vie più incantevoli del quartiere, che costeggia tutto un lato del cimitero, al cui angolo numero 4 c’è il famoso locale Au Lapin Agile, ritrovo, nell’ottocento, dei vari artisti e pittori che risiedevano nel quartiere (all’epoca era una collina fuori Parigi, costellata di vigne e casette fatiscenti).
Questo è lo storico Cabaret, aperto tutt'ora (ma non di mattina, ovviamente) con accanto il famoso albero di acacia, sembra risalente all'epoca.
Questo è lo storico Cabaret, aperto tutt'ora (ma non di mattina, ovviamente) con accanto il famoso albero di acacia, sembra risalente all'epoca.
La Rue des Saules confluisce nella lunga e stretta Rue Saint Vincent, costellata di minuscole abitazioni, e proprio all’inizio si vedono una serie di piccole terrazze coltivate a vigna: sono queste le famose Vigne de la Butte, purtroppo tutto ciò che rimane delle estese coltivazione che costellavano l’intera collina. Uno dei palazzetti che si erge dietro le vigne è il Museo di Montmartre.
La Rue Saint Vincent conduce ad un piccolo giardino con un castello e una vista mozzafiato, proprio sotto le sacre Coeur (siamo sul retro della Chiesa, a destra).
Il Giardino si chiama Parc de la Turture, ha una curiosa forma triangolare ed è a picco sul quartiere sottostante (dopotutto, Montmartre è una collina), per scendere si dovrebbe prendere una scala che si chiama Rue de la Bonne.
Forse quella volta c’era troppa nebbia…
La seconda volta invece, girando e rigirando alla fine l'ho trovato: veramente lo Chateau è un po’ una mezza sòla, per dirla tutta: una villetta di campagna bianca e fatiscente con le persiane sbarrate, con un’aria di abbandono piuttosto malinconica, invisitabile.
Per vederlo, da Place Dalida, si passa per un sentierino largo neanche un metro, quasi introvabile; però dietro c’è un piccolo giardino (tutto ciò che resta del giardino originale), un angolino di pace con le panchine, piacevole da sostarci a sbocconcellare il proprio pranzo (infatti vi ho fatto esattamente questo).
Questa è la bella Rue d’Abrevoir: non viene citata in nessuna delle cinque guide che mi porto dietro, ed invece è un gioiello. Mah…
La casina rosa alla fine della salita (non quella in primo piano) è un altro locale famoso, La Maison Rose (ma non mi dire) immortalata da Utrillo in uno dei suoi dipinti.
La salita prosegue per la rue Cortot (la topografia di Montmartre è piuttosto creativa, sembra che le strade girino ognuna per conto suo).
Ed eccomi, sono arrivata al Musèe di Montmartre, Rue de Cortot numero 12 (chiuso il martedì), il palazzo più antico rimasto sulla collina, con un delizioso giardinetto antistante al museo.
Ho scoperto, una volta entrata nella piccola casa settecentesca che fu del pittore Utrillo (uno strano forte, la madre, anche lei pittrice e grande libertina, lo allattava col biberon pieno di vino, e infatti venne su alcolizzato e fuori come un balcone, però geniale) e di Renoir, che è proprio quella alle spalle della vigna, per cui dalle finestre si gode la vista delle terrazze coltivate.
Per tutta la storia di Suzanne e Maurice Utrillo, c’è un capitolo intero, L’impudica Suzanne, sempre nel libro di Augias.
Nel Museo, piccolo e semideserto, in realtà di interessante non c’è moltissimo: manifesti originali dei cartelloni pubblicitari (tipo Steinlen, appunto, e Toulose Lautrec), dei cimeli d’epoca, dipinti, porcellane…
Particolare la ricostruzione, in una stanza, del bar che frequentava un famoso pittore (quale non ricordo, mi pare sempre Toulose Lautrec), con gli arredi originali ed il bellissimo bancone in zinco, un po’ ammaccato dall’uso: ci davano giù di brutto, all’epoca, con l’assenzio (ah, la famosa "fata verde”! Leggete la lunga digressione sempre nel libro di Augias).
Vale la pena, comunque, visitarlo, anche solo per la vista delle finestre e il bancone di zinco.
Tornare indietro per la Rue Saint Rustique, una delle strade più antiche (il sentiero originale risale addirittura all’XI secolo, parte della pavimentazione potrebbe essere dell’epoca): un’altra famosa locanda, l’Auberge de la Bonne Franquette (allora si chiamava Aux Billards en Bois, sembra risalga addirittura al XVI secolo), frequentato da Renoir, Zola, Sisley, Cèzanne e Toulose Lautrec (mi chiedo come hanno fatto a produrre tanti capolavori se passavano la notte bisbocciando da un cabaret all’altro).
A questo punto ritornare verso la Place d’Aymè, in direzione Avenue Junot: proprio qui si trova una singolarissima statua in bronzo, di un signore in abiti antiquati e pettinatura laccata che esce dal muro,che è, appunto, lo scrittore Marcel Aymè, a cui è intitolato il piccolo slargo: la strana statua si chiama Passe-muraille, dal titolo di una sua opera.
Un’altra cosa che tutte le guide consigliano di vedere è la Frazione degli artisti, al numero 11 della lunga Avenue Junot. Questa via è relativamente moderna, sempre del periodo della grossa edificazione della collina, è lunghissima e tutta in discesa.
All’epoca era tutta verde e piena di baracche di legno, e vi erano collocati i famosi Mulini di Montmartre, di cui è rimasto solo il Moulin de la Gallette, che nell’Ottocento diventò un locale molto alla moda dove si beveva e si tenevano delle serate danzanti, insomma ci si divertiva un sacco, immortalato anche da Renoir (non andate a vederlo, è una maledetta scarpinata in discesa ed è chiuso, da sotto praticamente non si vede quasi niente).
La Frazione degli artisti è solo uno dei palazzi di questa via, se non avessi avuto la guida non mia avrebbe colpito assolutamente, anzi, per la cronaca è uno dei più brutti.
Place du Tertre, il cuore del quartiere, è una bolgia infernale di gente che gira in tondo, fa compere, viene irretita da insolenti venditori e strattonata da tutte le parti.
Quella che poteva essere una piazzetta incantevole e suggestiva è praticamente un girone dantesco, in cui non si vede nulla e ci si rimbambisce solamente. Peccato, perché deliziosa.
Ed infine eccola, il mostro bianco che si vede da ogni punto di Parigi: brutta è brutta, inutile negarlo, pretenziosa e arrogante nel suo essere abbagliante, anche se il suo travertino, con la luce calda del sole, prende un bel colore dorato.
Certo che, alla fine, nella sua bruttura diventa affascinante, ormai Montmartre viene associato subito a questa Chiesa, che pure è piuttosto recente, come costruzione, è stata consacrata solo nel 1919.
In compenso la terrazza che si apre davanti offre un panorama spettacolare su tutta la città.
Questa è la bella Rue d’Abrevoir: non viene citata in nessuna delle cinque guide che mi porto dietro, ed invece è un gioiello. Mah…
La casina rosa alla fine della salita (non quella in primo piano) è un altro locale famoso, La Maison Rose (ma non mi dire) immortalata da Utrillo in uno dei suoi dipinti.
La salita prosegue per la rue Cortot (la topografia di Montmartre è piuttosto creativa, sembra che le strade girino ognuna per conto suo).
Ed eccomi, sono arrivata al Musèe di Montmartre, Rue de Cortot numero 12 (chiuso il martedì), il palazzo più antico rimasto sulla collina, con un delizioso giardinetto antistante al museo.
Ho scoperto, una volta entrata nella piccola casa settecentesca che fu del pittore Utrillo (uno strano forte, la madre, anche lei pittrice e grande libertina, lo allattava col biberon pieno di vino, e infatti venne su alcolizzato e fuori come un balcone, però geniale) e di Renoir, che è proprio quella alle spalle della vigna, per cui dalle finestre si gode la vista delle terrazze coltivate.
Per tutta la storia di Suzanne e Maurice Utrillo, c’è un capitolo intero, L’impudica Suzanne, sempre nel libro di Augias.
Nel Museo, piccolo e semideserto, in realtà di interessante non c’è moltissimo: manifesti originali dei cartelloni pubblicitari (tipo Steinlen, appunto, e Toulose Lautrec), dei cimeli d’epoca, dipinti, porcellane…
Particolare la ricostruzione, in una stanza, del bar che frequentava un famoso pittore (quale non ricordo, mi pare sempre Toulose Lautrec), con gli arredi originali ed il bellissimo bancone in zinco, un po’ ammaccato dall’uso: ci davano giù di brutto, all’epoca, con l’assenzio (ah, la famosa "fata verde”! Leggete la lunga digressione sempre nel libro di Augias).
Vale la pena, comunque, visitarlo, anche solo per la vista delle finestre e il bancone di zinco.
Tornare indietro per la Rue Saint Rustique, una delle strade più antiche (il sentiero originale risale addirittura all’XI secolo, parte della pavimentazione potrebbe essere dell’epoca): un’altra famosa locanda, l’Auberge de la Bonne Franquette (allora si chiamava Aux Billards en Bois, sembra risalga addirittura al XVI secolo), frequentato da Renoir, Zola, Sisley, Cèzanne e Toulose Lautrec (mi chiedo come hanno fatto a produrre tanti capolavori se passavano la notte bisbocciando da un cabaret all’altro).
A questo punto ritornare verso la Place d’Aymè, in direzione Avenue Junot: proprio qui si trova una singolarissima statua in bronzo, di un signore in abiti antiquati e pettinatura laccata che esce dal muro,che è, appunto, lo scrittore Marcel Aymè, a cui è intitolato il piccolo slargo: la strana statua si chiama Passe-muraille, dal titolo di una sua opera.
Un’altra cosa che tutte le guide consigliano di vedere è la Frazione degli artisti, al numero 11 della lunga Avenue Junot. Questa via è relativamente moderna, sempre del periodo della grossa edificazione della collina, è lunghissima e tutta in discesa.
All’epoca era tutta verde e piena di baracche di legno, e vi erano collocati i famosi Mulini di Montmartre, di cui è rimasto solo il Moulin de la Gallette, che nell’Ottocento diventò un locale molto alla moda dove si beveva e si tenevano delle serate danzanti, insomma ci si divertiva un sacco, immortalato anche da Renoir (non andate a vederlo, è una maledetta scarpinata in discesa ed è chiuso, da sotto praticamente non si vede quasi niente).
La Frazione degli artisti è solo uno dei palazzi di questa via, se non avessi avuto la guida non mia avrebbe colpito assolutamente, anzi, per la cronaca è uno dei più brutti.
Proprio accanto, al numero 15, la casa di Tristan Tzara: un altro palazzo mostro, creato nel 1926 dal famoso architetto Alfred Loos (si è veramente impegnato molto, i due edifici se la battono per la palma del più brutto). Non li ho neanche fotografati perché non mi pareva ne valesse la pena.
Invece poco più in là, sulla sinistra, al numero 25, si apre una deliziosa stradina di villini colorati e curatissimi che sembrano di zucchero ( e stranamente disabitati), Villa Leandre.
Invece poco più in là, sulla sinistra, al numero 25, si apre una deliziosa stradina di villini colorati e curatissimi che sembrano di zucchero ( e stranamente disabitati), Villa Leandre.
Solo per questo, vale la pena di farsi tutta la discesa, e ovviamente l’interminabile la salita, per tornare sulla sommità della collina.
Place du Tertre, il cuore del quartiere, è una bolgia infernale di gente che gira in tondo, fa compere, viene irretita da insolenti venditori e strattonata da tutte le parti.
Quella che poteva essere una piazzetta incantevole e suggestiva è praticamente un girone dantesco, in cui non si vede nulla e ci si rimbambisce solamente. Peccato, perché deliziosa.
Ed infine eccola, il mostro bianco che si vede da ogni punto di Parigi: brutta è brutta, inutile negarlo, pretenziosa e arrogante nel suo essere abbagliante, anche se il suo travertino, con la luce calda del sole, prende un bel colore dorato.
Certo che, alla fine, nella sua bruttura diventa affascinante, ormai Montmartre viene associato subito a questa Chiesa, che pure è piuttosto recente, come costruzione, è stata consacrata solo nel 1919.
In compenso la terrazza che si apre davanti offre un panorama spettacolare su tutta la città.
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