I miei viandanti
venerdì 31 dicembre 2010
E un altro anno è andato
Ci siamo arrivati di soppiatto, senza alcuna voglia di festeggiarlo.
L'ho già detto, l'ultimo dell'anno è una delle feste che mi sta più antipatiche, soprattutto da quando non è più un giorno di riposo, ma solitamente di lavoro. Quest'anno ce ne staremo tranquilli tranquilli, nella serenità della nostra casa, con i mici un po' nervosi per i rumori che feriscono le loro delicatissime orecchie, qualcosa di buono da mangiare e nessuna invidia per tutti gli altri, in giro per veglioni e concerti.
Quest'anno non ho neanche voglia di bilanci, di progetti, di promesse. Anche perchè, rileggendo quelle degli anni passati, sono più o meno le stesse, senza molte variazioni.
Quest'ultimo è stato davvero faticoso, doloroso, pieno di avvenimenti pesanti. Non so se sono riuscita o meno a superare le difficoltà, oppure ad accantonarle, facendo quasi finta che non esistano, che non siano accadute a me. Spero solo che l'anno che mi aspetta sia meno difficile, che riservi qualche attimo di serenità in più, a me e a tutti quelli che ho intorno, ne abbiamo davvero bisogno.
Per questo ci tenevo, a farvi anche solo un piccolo saluto e un augurio sincero a tutti, di un anno sereno: non felice perchè in fondo la felicità è fatta solo di brevi momenti, di attimi che fuggono velocemente come sono arrivati...preferisco augurare a me e a tutti quelli che passano di qua una lieve serenità nella vita di tutti i giorni, che non possa mai mancarvi l'entusiasmo e la curiosità di scoprire cose nuove, di raccontare e raccontarsi.
E allora, arrivederci a tutti, al prossimo anno!
venerdì 24 dicembre 2010
Auguri di buon Natale a tutti
Dicembre è volato via in un soffio, mi sono ritrovata al 15 con ancora l'albero da fare, ma per fortuna ho recuperato in fretta, anche qualche briciola di spirito natalizio.
Al momento di fare l'albero, con una cassa traboccante di palline nuove e d elegantissimi fiocchi di velo argento e blu, quasi quasi ero pure contenta che fosse arrivato Natale.
Koko ha pensato bene, mentre addobbavo l'abero, di andarsi a nascondere sotto il letto, quasi avesse paura che ci appendessi lui, al posto delle palle. La sera, quando ha capito che non correva più alcun pericolo di essere scambiato per un addobbo, ci si è andato ad accocolare sotto tra le lucette accese, con una espressione soddisfatta sul musetto, neanche fosse un pacchetto coi fiocchi e nastri.
Titti invece ha davvero insistito per darmi una mano, frugando con la zampetta curiosa tra le palline, forse sperando di averne qualcuna per giocare. Ha cercato di svignarsela con un filo in bocca lungo circa due metri, pregustando un nuovo sfrenato divertimento felino ma è stata prontamente disillusa, e allora si è accontentata di rincorrere una pignetta, così, come consolazione per i giochi mancati.
Non ho il tempo di farvi gli auguri singolarmente, quindi scusatemi se non passerò nei vostri blog uno per uno, come del resto non ho avuto il tempo di fare comunque, negli ultimi giorni...ci tenevo però a quest'ultimo post natalizio, per non far apparire del tutto trascurata questa foresta che, ultimamente, sta perdendo un po' di pezzi.
Va beh, tra i propositi del nuovo anno metto anche quello di recuperare l'entusiasmo, di sperimentare al meglio la cucina nuova (che è favolosa, una volta superato i primi, esasperanti intoppi) e di riprendere in mano la macchina fotografica, mai trascurata e negletta come in questi ultimi mesi.
Per augurarvi Buon Natale, vi lascio la ricetta di questo Zuccotto di Ricotta, una vecchia ricetta familiare della sorella di mia nonna, zia Maria (se vi ricordate il post sulla bisnonna Matilde, zia Maria è l'unica ancora viva delle sue tre figlie) : ricordo di averlo assaggiato per la prima volta tanti anni fa, diciamo sicuramente più di trenta...lo abbiamo replicato tante volte, negli anni, con mamma, soprattutto sotto le feste, aggiungendo alla ricetta originale solo le gocce di cioccolata.
Una volta lo feci utilizzando al posto dei Pavesini del panettone appena intriso di caffellatte, venne benissimo, però la copertura originale dovrebbe essere fatta con biscotti sottili e leggeri, appunto tipo i pavesini, appena appena inzuppati di liquore diluito con l'acqua. Mettete un liquore dolce a vostra scelta, io metto la Strega che mi piace molto, così come ci condisco la ricotta.
Come forma, ho utilizzato la confezione di plastica di un semifreddo carte d'Or, a cupola: altre volte l'ho fatto in una forma da budino di vetro, con le scanalature dritte (senza buco, ovviamente), ed è venuto bene lo stesso, però è più difficile da ricoprire di biscotti: con lo stampo a cupola liscio viene molto meglio.
E' un dolce che deve insaporirsi: farlo la sera precedente, sformarlo qualche ora prima di servirlo, e poi lasciarlo in frigorifero a rassodarsi, è la cosa migliore. In questa versione l'ho ricoperto di una glassa di cioccolato (di quelle pronte, solo da sciogliere) ma vi consiglio di farla sottile sottile: io ho abbondato, e poi è stato difficile tagliarlo senza sfracelli. (Perdonate le foto non di altissima qualità, ma ho avuto modo di fotografarlo solo di sera, poco prima di essere mangiato)
Zuccotto di ricotta di Zia Maria
Per una forma da 17 centimetri di diametro (altezza 7.5 cm)
Per la farcia:
600 grammi di di ricotta fresca, di mucca, bella soda (se fsse troppo molliccia, mettetela a scolare un po')
qualche cucchiaio di zucchero semolato, a seconda di quanto la volete dolce
due cucchiai di liquore dolce, tipo Strega
50 grammi o più di gocce di cioccolato, oppure tagliuzzate una tavoletta di cioccolato fondente
100 grammi di canditi misti
Mescolate tutti gli ingredienti, poi mettete il composto in frigo ad insaporirsi.
Bagnate i pavesini con una mistura di acqua e liquore, ma non inzuppateli troppo, altrimenti dopo perdono troppo liquido, e cominciate a foderare il fondo dello stampo, poi fateli aderire alle pareti.
Mettete la farcia di ricotta, riempiendolo bene, poi coprire con uno strato di biscotti.
Coprite con del cellophane per alimenti, mettetelo sotto peso con un piattino, e ponete in frigo per qualche ora.
Al momento di sformarlo, rovesciatelo sul piatto di portata, decorato con glassa di cioccolato oppure con ciuffetti di panna, o come volete voi. Nel caso dovesse perdere un po' di liquido, non preoccupatevi, scolatelo delicatamente, di solito la costruzione regge lo stesso!
Si tratta di un dolce un po' pesante, quindi calcolate che da un piccolo zuccotto si ricavano dalle sei alle otto porzioni.
lunedì 13 dicembre 2010
Ci siamo quasi
Ci siamo quasi.
A Natale, intendo...veramente ancora devo fare l'albero, anzi, mi devo decidere in fretta visto che mancano meno di due settimane. Per quanto riguarda l'argomento regali, sono alcuni anni che abbiamo deciso di non farceli, e con questo abbiamo risolto il problema alla radice.
L'importante è vederci, con amici e parenti, e trovare comunque un modo per stare insieme, che è la cosa importante, il resto è tutto in più.
I giorni sono scivolati veloci, queste due settimane abbondanti di ferie, in cui mi ero prefissa di fare tantissime cose, ed in effetti le ho fatte davvero: giorni pieni di impegni, mobili in arrivo, problemi e intoppi che ti fanno saltare i nervi.
Alla fine, mi sembra di essere più stressata di prima.
E' incredibile come niente possa filare liscio: ultimamente, qualsiasi cosa abbiamo comprato, si è rotta prima ancora di cominciare a funzionare (televisione, frigorifero, forno); ogni installazione è stata difficoltosa, ogni lavoro fatto con approssimazione, magari qualche pecca, niente che possa filare su binari a scorrimento lineare.
Mamma che fatica!! La scorsa settimana mi è arrivato un pezzo di cucina fatto su misura, con forno a gas di alta qualità, fornelli stupendi e tutto il resto, già mi pregustavo le splendide torte lievitate a puntino che avrei sfornato in quantità industriali, e invece sono stata ferma una settimana col forno fermo perchè funzionava malissimo...
Insomma, non capisco se siamo noi perseguitati dalla sfortuna (il che è assolutamente possibile), oppure se è una cosa ricorrente che niente funzioni come dovrebbe, nessuno fa il lavoro come dovrebbe.
Spero, con questa, che sia finita, perchè sono davvero stremata da tanti contrattempi...ero talmente stanca e stufa che non ho messo mano neanche al blog: ormai sta vivendo di luce riflessa, campo di rendita con tutto quello che ho scritto durante questi tre anni, ma così non va bene, assolutamente non va bene.
Questo dolce non è stato fatto col nuovo forno, che sperimenterò solo nel pomeriggio (e speriamo bene perchè, se non dovesse funzionare come dico io, addio bei dolcetti, mi conviene chiudere definitivamente il blog oppure dedicarlo ad altro argomento...), ma è una torta leggera leggera che avevo fatto un po' di tempo fa. Ho preso la ricetta in questa pagina, sul sito di Pane Angeli, dove ci sono tante ricette semplici e leggere. Si tratta di una torta molto delicata, adattissima ad essere farcita, magari con crema pasticcera o marmellata, ma va benissimo anche così. Io aggiungo sempre un cucchiaio di liquore Strega, che secondo me sta benissimo con qualsiasi impasto.
L'impasto di questo ciambellone si fa in maniera leggermente diversa da quello solita, le chiare si mettono quasi subito e non alla fine, con lo zucchero sopra, e poi delicatamente la farina.
Torta Paradiso
100 grammi farina
100 grammi fecola o frumina (io fecola)
150 grammi di zucchero
4 grosse uova
4 cucchiai olio di semi vari (oppure 100 grammi di burro)
1 cucchiaio Strega (ce lo metto sempre)
Mezza bustina abbondante lievito
Limone
Sbattere le chiare a neve fermissima con un pizzico di sale.
Sbattere i tuorli con 100 grammi di zucchero, quindi proseguire con la frusta a mano.
Incorporare l’olio e il liquore, il limone (o vanillina).
Versare il resto dello zucchero insieme alle chiare, e sopra ancora la farina mescolata alla fecola e al lievito, e incorporare il tutto molto delicatamente, fino ad ottenere una pastella gonfia, piuttosto liquida.
Versare in una teglia da 24 centimetri foderata con carta forno per 50 minuti.
Spolverare abbondantemente con zucchero a velo
venerdì 3 dicembre 2010
Divagazioni virtuali
E' ufficiale: ormai passo molto più tempo su Facebook che a lavorare sul blog.
Ho stravolto le mie convinzioni vergate nero su bianco in questo post di oltre un anno fa: mi sono lasciata contagiare clamorosamente, e forse senza speranza. Lo so, lo so, mi rendo conto.
Il tempo passato a fare stupidi giochini rompendo palle di vetro con fragore di cocci infranti oppure quiz e test di tutti i generi è il modo più imbecille per passare un'ora di svago. Molto meglio un libro, o un bel film, oppure riprendere mano al blog e ricominciare a scrivere con continuità.
Il tempo trascorso in questa piazza virtuale, dove si incontrarno amici reali e non, è tempo perso, mi rendo assolutamente conto. Molto meglio una telefonata, una mail, magari un incontro di persona.
Ho ritrovato amici di vecchia e vecchissima data, compagni di liceo, di medie, di elementari e addirittura di asilo. Ci sono persone che ho ritrovato dopo trent'anni e passa che non avevo loro notizie, ho visto le foto, mi sono anche impicciata un po' della loro vita.
Alla fine, però, queste ritrovate amicizie o conoscenze, rimangono sempre un po' nel virtuale, come se il passaggio dal potenziale al reale fosse un gradino troppo alto, uno sforzo che va al di là del commento o del cliccare sul malefico tastino del Ti piace. E' facile leggere i pensieri e lasciare un commentino lieve, facile e innocuo.
Si lascia scorrere la bacheca con indolenza, leggiucchiando una nota di qua, una notiziola di là, mentre si pensa "adesso basta, vado a fare qualcosa di socialmente più utile che stare a leggere i pensieri altrui", non di rado piuttosto banali, incomprensibili e ripetitivi,e poi ti incuriosisci per una notizia condivisa da un giornale, un video musicale postato da un'amica, le foto delle vacanze caricate da un'altra.
Ultimamente poi, sono entrata nel magico mondo dei giochi di ruolo.
Eh già, perchè Facebook non è solo una piazza virtuale, una vetrina, ci sono anche dei gruppi agguerritissimi di tutti i tipi. Sono entrata prima in un gruppo che segue con trepidazione, ogni venerdì, l'uscita delle puntate di una serie americana, The Vampire Diaries, una specie di epidemia di cui una dopo l'altra si sono ammalate decine di persone, senza scampo alcuno. Dopo esserci ritrovate per mesi a commentare le puntate, sempre le stesse persone , abbiamo deciso di scegliere ciascuna (non c'è neanche un maschietto, tra noi) un ruolo tra i personaggi del telefilm, e di commentare come fossimo quel personaggio, un giochino divertente e assolutamente non impegnativo.
Da qui ad entrare in un vero gioco di ruolo, il passo è stato abbastanza breve, anche se in realtà il gioco ha delle regole che bisogna rispettare, ed è molto meno facile di quanto si possa pensare.
In realtà, è una specie di esercitazione letteraria on line, come scrivere un copione o una sceneggiatura però in tempo reale, interagendo con qualcun altro (di cui spesso conosci solo l'identità fasulla).
Ovviamente ci sono i giocatori bravi e quelli meno dotati, quelli con cui è più facile entrare in sintonia e che magari scrivono meglio, con più fantasia e mestiere.
E' piuttosto divertente ma anche impegnativo, perchè non si può rimanere fuori dal gioco per più di una settimana, e ogni volta che si entra in uno dei ritrovi condivisi dai veri membri del gioco, non è mai facile andare via, la conversazione scivola veloce, così come la trama, che dovrebbe seguire quella dei libri o del telefilm e invece se ne va spesso per conto suo, sul filo dell'improvvisazione.
C'è sempre qualcuno in giro per questa cittadina della Virginia infestata da vampiri centenari, e non sai mai chi incontrerai, quando vai a spasso per Mystic Falls.
In questi giorni sono presa da una strana euforia natalizia, che si traduce in una iperattività decorativa riguardo alla casa.
In un impeto di entusiasmo ho fatto una cernita accurata di tutti gli addobbi, eliminando senza remore quelli dorati e quelle rossi, le palle vecchie, i fili spelacchiati, poi sono andata ad un grande negozio di articoli per la casa e sono uscita con una grossa busta di palle, fili, di fiocchi di velo tutto in argento e blu, perchè quest'anno ho deciso che il nostro albero sarà su questa tonalità.
Ho poi comprato delle rose di seta bellissime, dai colori sfumati e dalle corolle lussureggianti, carnose, e ho fatto due composizioni sontuose, quasi barocche. Non ho mai amato i fiori finti, tutt'al più quelli secchi, magari raccolti in campagni, grano, avena, bacche e cardi: invece ho visto da un fioraio questi tralci e non ho resistito. Non so, quest'anno mi sto facendo contagiare dallo spirito natalizio?
Può darsi, o forse è quest'inverno grigio e piovoso che mi fa desiderare di avere intorno bellezza e colori a profusione, quasi volessi portare un po' di luce e colore anche dentro di me.
domenica 28 novembre 2010
Primi sentori di atmosfere natalizie
Niente ricetta, oggi. E non perchè non ne abbia in archivio, anzi, alcune rischiano anche di fare la muffa, se non mi decido a pubblicarle.
Semplicemente un po' di chiacchiere in libertà, come ho fatto poco, negli ultimi tempi, quasi fossi presa dal timore di non riuscire sempre a fare post interessanti, con foto perfette, ricette accattivanti. Alcune volte si ha solo voglia di chiacchierare senza pretese, senza dover essere a tutti i costi il massimo dell'intelligenza o della professionalità. Mi rendo conto di aver perso un pizzico dell'ingenuità dei primi tempi, in cui scrivevo spessissimo e di tutto un po', senza pormi troppi problemi di gradimento, visite, commenti e tutto il resto. Forse è per questo che sto scrivendo sempre di meno?
Mah, chissà...
A Roma, in questi giorni, comincia a respirarsi una timida atmosfera natalizia, a dispetto della pioggia incessante che rende le strade un pantano e le giornate grigie, sempre lievemente spente.
I negozi stanno addobbando le vetrine con decorazioni scintillanti, ghirlande e luminarie, quest'anno in leggero ritardo rispetto all'anno passato quando, già il 2 novembre, sembrava già tutto pronto per il Natale, mentre invece ancora mancavano due mesi e non faceva per niente freddo.
Quest'anno hanno avuto la decenza di aspettare un po', anche se non mi sembra ci sia in giro ancora grande sfarzo, nè la fila fuori dai negozi. Addirittura nei supermercati, al posto delle montagne di panettoni e pandori degli anni passati, di tutte le forme e farciture, stanno in attesa quantità moderate di scatole, forse in virtù del fatto che lo scorso Natale abbiamo mangiato dolci natalizi in supersconto fino a Pasqua.
Beh, la cosa in fondo neanche mi dispiace. Negli ultimi anni ha cominciato a darmi veramente sui nervi questa atmosfera natalizia un po' indotta, finta: non so, sarà che fino ad una certa età il Natale ha una magia tutta sua, che va oltre il fenomeno commerciale, più come un rito che si ripete ogni anno uguale, rassicurante. Piccole tradizioni che si tramandano in famiglia: il solito vecchio albero ogni anno più spoglio, le statuine del presepe di almeno due generazioni, magari sempre più acciaccate e ogni anno con qualche pezzo di meno ma a cui in fondo si è affezionati, neanche fossero parenti stretti o amici che si rincontrano ogni dicembre, le palle di vetro soffiato che pure loro diminuiscono sempre di più, i piatti che si mangiano tutte le Vigilie, il dolce del pomeriggio del 25 e così via.
Poi le cose cambiano, le famiglie si sfilacciano, se ne perde magari qualche pezzo, la vita stressante di tutti i giorni rende stancanti anche i giorni di festa, la corsa al regalo sempre più affannosa: sembra quasi che si perda la gioia di stare insieme (che dovrebbe essere il vero scopo del Natale), che per la fatica di incastrare lavoro, parenti, regali e giorni di festa alla fine se ne esca fuori solo stanchi e con lo stomaco duramente provato.
Potrebbe sembrare, dalle mie parole, che io non ami il Natale, ma non è assolutamente così. Forse ho solo nostalgia del tempo in cui il 23 dicembre si tiravano fuori gli addobbi e cominciava veramente la magia, un'attesa emozionante che non vedevi l'ora che arrivasse la sera della Vigilia, i pacchetti tutti pronti sotto l'albero, il solito film che davano tutte le vigilie pomeriggio (era Sette spose per Sette Fratelli, non mi ricordo neanche più quante volte l'ho visto).
Sicuramente non è cambiato il Natale e neanche i suoi riti, forse siamo semplicemente cambiati noi, e l'incantesimo che si provava negli anni della fanciullezza o dell'adolescenza è lentamente evaporato, per lasciar posto ad un lieve disincanto, appena venato di malinconia. L'unico rito che ho rigorosamente mantenuto è il film della Vigilia, solo che ho cambiato anche quello: da Sette Spose per Sette Fratelli a Canto di Natale, un film che adoro e di cui, se non avessi la veneranda età che invece ho, canterei a squarciagola tutte le canzoni assieme alla rana Kermit e a terribili vecchietti Marley (ho un debole per i Muppets, voi no?).
Una cosa che mi fa molta tristezza è la quantità di brutti addobbi in vendita nei casalinghi, a meno di non andare nei negozi un po' di lusso o da Coin, ma lì ci vorrebbe tutta la tredicesima solo per addobbare l'albero: sembra quasi che il monopolio del Natale ormai sia delle fabbriche cinesi, che esportano nel resto del mondo valanghe decorazioni a poco prezzo ma spesso dal gusto piuttosto discutibile.
Non nego di averne comprati anche personalmente una discreta quantità, ma ogni tanto mi incanto a guardare nelle vetrine le decorazioni in stile nordico, magari di legno, le ghirlande ben fatte, gli alberi addobbati con gusto, come nelle illustrazioni di quei giornali che io sfoglio sognante sul divano (sono una fan accanita di Vivere la Casa, non ne ho perso un numero dalla prima uscita).
Quando rimiro quelle case piene di atmosfera, di rose barocche che esplodono dai vasi, cuscini e divani di stoffe country, tappeti, mobili antichi, quadri floreali e pavimenti in cotto, abeti carichi di candele e vassoi di biscotti fatti in casa, i paesaggi innevati fuori dalla finestra e magari un bel gatto addormentato davanti a camino (ma solo i miei sono dei vandali che distruggono tappeti e divani come fossero loro giocattoli personali?), mi verrebbe proprio voglia di riempire la casa di candele e ghirlande di abete, di preparare montagne di dolcetti speziati gorgheggiando le carole natalizie, insomma, di ricominciare a sentire davvero lo spirito festoso del Natale.
Non so, ancora non ho perso del tutto le speranze...e voi?
P.s. sto lavorando ad un nuovo header, tutto natalizio, per addobbare a dovere questo blog e cercare di evocare un po' di magia anche nel mio spazio virtuale...
(L'immagine in alto è presa da Free Christmas wallpapers )
giovedì 18 novembre 2010
Il Parque Maria Luisa: i Musei
E' l'ultimo post su Siviglia, lo giuro!!
Ormai ve l'ho mostrata in tutte le salse, vi ho raccontato angolo per angolo questa bella città andalusa, l'ultima visita è questa, nei Musei che si affacciano sulla Plaza de America, dentro il grande Parque Maria Luisa.
Veramente non avevo assolutamente intenzione di entrarci dentro, convinta che non avrei avuto il tempo. Invece, dopo un'oretta a gironzolare per il parco, con la mattina ancora tutta davanti, sono entrata in tutti e due i musei, apprezzando il fatto che anche questi sono gratuiti, come gli altri della città (tranne quello del Flamenco, privato e anche costoso)
Del primo, il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, una parte comunque è chiusa, tutto il secondo piano è in restauro, alla fine quello che rimane è poca cosa.
Rimane il primo piano e il sotterraneo, e anche quello con una mezz'oretta si visita comodamente, posto che alcune sale espongono solo pizzi, centrini, bavaglini, scialli ed altri manufatti che sono bellissimi, d’accordo, ma alla decima vetrina viene voglia di girare i tacchi e ammirare qualcosa di più movimentato che centinaia di centrini fatti al tombolo.
In pratica, tutto il piano espone oggetti, mobili e suppellettili appartenenti ad una famiglia di ricamatori e merlettaie, i Diaz Velazquez, con arredi originali disposti in modo da ricostruire gli ambienti della casa borghese di fine Ottocento, assieme ai ricami e agli attrezzi della fabbrica dismessa. Ho visitato tutte le sale nel silenzio più assoluto, sotto una luce mortifera e sonnolenta, poi ho deciso di averne abbastanza di bavaglini, trine e ricami e sono scesa di sotto.
Il museo è talmente deserto che anche i custodi sembrano aggirarsi smarriti, quasi chiedendosi vagamente perplessi cosa ci fate lì, e forse cosa ci fanno anche loro, in quelle sale oscure e deserte.
Il piano sotterraneo invece è formato da una serie di stanze che ricostruiscono i vari ambienti di lavoro tra Ottocento e primo Novecento con attrezzi e macchinari originali: il falegname, il fabbro, il frantoio, il vasaio, il sellaio, macchine e utensili utilizzati in agricoltura e così via.
Poi c’è una piccola ma pregevole esposizione di produzione ceramica, dal rinascimento in poi, con dei pezzi veramente notevoli in stile Art Nouveau.
Uscita dal Museo, mi sono diretta in quello opposto, tanto dovevo arrivare all’ora di pranzo e ancora mancava parecchio. Il Museo Archeologico espone opere essenzialmente di epoca romana, di cui alcuni pregevoli statue, oltre ad una parte dedicata a Preistoria e Protostoria.
Il fatto di aver ammirato le sterminate collezioni di Roma e Parigi non aiuta ad apprezzare adeguatamente questo poderoso esternamente ma scarno museo, ho esaurito anche lì brevemente la mia curiosità, uscendo di nuovo per un ultimo giretto per il parco sotto un cielo improvvisamente cupo, solo a tratti illuminato da un sole velatissimo, che riesce a stento a mitigare un vento fastidioso e gelido.
Siviglia ha deciso di salutarmi sotto la sua veste più grigia, anche se il caldo sole dei giorni passati mi ha comunque permesso di ammirare le sue bellezze al meglio, colori caldi e squillanti che si stagliano contro un limpidissimo cielo turchese.
Non avevo alcuna voglia di tornare verso il centro, dopo quella passeggiata indolente dentro il parco, allora ho seguito le indicazioni della guida su Viktor, un piccolo ristorante decentrato, in uno di questi vialoni immensi stile Serafico (un quartiere moderno di roma, confinante con l'Eur) che costeggia il Parque, l’Avenida Felipe II: mi sono seduta fuori ed ho ordinato un piatto unico, per la modica cifra di 6 euro e 50.
Due uova fritte, morbide al punto giusto, vere patate fritte, friarelli arrosto (piatto tipico di queste parti), panino caldo da intingere golosamente nel tuorlo quasi liquido, taralli e Coca Cola: tutto semplicissimo ma gustoso, sicuramente meglio di qualunque McDonald’s.
Mi sono gustato il mio semplicissimo pranzo, cercando di imprimermi nella memoria ogni particolare, ogni sapore dei miei ultimi momenti a Siviglia.
Accanto a me, le guide ormai spiegazzate e consunte da tante letture, un quaderno pieno di appunti, pensieri, annotazioni, una valanga di immagini ancora di organizzare, soprattutto nella testa, e un intero viaggio da ricordare, momento per momento, emozione dopo emozione.
giovedì 11 novembre 2010
Ciambella Marmorizzata al Cacao e Giornate Evanescenti
Vorrei raccontarvi qualcosa più di me, davvero. Mi rendo conto di voler sempre meno scrivere solo di ricette, perchè questo blog non è un libro di cucina, mi sto staccando sempre di più dalla definizione di foodblogger, semmai lo sia mai stata.
Vorrei raccontarvi di più delle mie giornate, magari sfogarmi dei miei momenti nervosi, lamentarmi della noia del lavoro, oppure descrivervi con parole vivaci una serata divertente tra amici.
Invece mi sento come immobile nell'acqua stagnante, congelata, pigra e inconcludente, anche nello scrivere.
Come annoiata, ecco.
Certe volte arrivo alla fine della giornata e mi chiedo cosa ho combinato, durante quelle lunghe ore. Dopo aver sbrigato le cose necessarie alla sopravvivenza e all'andamento della casa, comincio a girare su me stessa, tra computer, film, un po' di lettura, poi magari una passeggiata e qualche compera, sull'estro del momento.
Voi direte, e che c'è di male nel passare i propri giorni liberi facendo che ti passa per la testa, senza un programma preciso? in teoria nulla, è solo che vorrei organizzarmi di più, fare per la casa tante cose che sempre rimando, oppure andare al cinema, fare una passeggiata in centro.
Mi rendo conto che, pur non abitandone lontano, ci vado raramente, anche se per arrivare a Piazza di Spagna ci metto dieci minuti con la Metro.
Sono mesi (in qualche caso addirittura anni) che non vado in alcuni luoghi che, invece, quando abitavo a Trastevere, erano una meta pressocchè quotidiana, come fosse un'altra città, come se aver cambiato quartiere avesse cambiato anche la prospettiva della mia vita. Mah, ci vorrebbe così poco a prendere un autobus e ripercorrere più spesso i luoghi a me così cari e familiari...
Sono diventata una campionessa nel fare programmi la mattina e disfarli progressivamente durante il giorno, come una tela che si va facendo sempre più rada ed evanescente col passare delle ore. Tanti progetti in testa, che rimando di giorno in giorno, poi di settimana in settimana, per finire poi nella lista di cose da fare nel futuro prossimo...
E' così anche per i dolci, in questo periodo. La mattina, ottimisticamente, progetto un nuovo esperimento pasticcero, poi col passare delle ore mi sgonfio, come un sufflè, puff, e alla fine ci sono sempre i biscotti nella scatola di latta, per i momenti di emergenza.
Qualche volta però qualcosa mi riesce ancora di portare avanti, e allora mi sembra di aver fatto qualcosa di produttivo, di soddisfacente.
Questo bel dolcetto (devo ammetterlo, mi è riuscito davvero grazioso) è stato assemblato per il famoso stampo da Kugelhupf già sperimentato per la Ciambella al Miele.
Viene davvero carino fatto così, ma potete anche usare uno stampo normale da ciambella, diciamo massimo 22 centimetri, però vi verrà più basso.
Ciambella marmorizzata al cacao
(stampo da Kugelhupf da 18 centimetri)
220 grammi farina
40 grammi fecola di patate
100 grammi di zucchero semolato
2 uova medie
125 ml di yogurt
3 cucchiai olio evo
1 bustina Lievito Paneangeli
3 cucchiai di cacao da aggiungere a metà impasto
Zucchero a velo
Battere le uova intere con lo zucchero con la frusta elettrica, fino a che non siano ben gonfie, quindi aggiungere lo yogurt e l'olio.
Aggiungere la farina e la fecola mescolate col lievito.
Imburrare lo stampo e versare metà dell'impasto, quindi aggiungere il cacao al resto e mescolare bene.
Versare l'impasto scuro nello stampo, mescolandoli solo un po' con la forchetta.
Mettere nel forno caldo a 180 gradi sul secondo ripiano dal basso per circa 45 minuti.
Spolverare con zucchero a velo.
giovedì 4 novembre 2010
Terzo blogcompleanno, tra una dimenticanza e l'altra
Non ho saltato solo Halloween, con mio sommo raccapriccio mi sono ricordata che ho saltato il mio terzo blogcompleanno!! Accidenti, mi è proprio passato per la testa...era il 27 ottobre di tre anni fa, un sabato pomeriggio freddo e un po' deprimente...mai fatto un blog in vita mia, è stato un capriccio momentaneo, una curiosità subito portata a compimento (grazie anche alla facilità con cui si apre un blog), una strada incerta e ancora tutta da inventare, ed invece sono ancora qui, non ci posso credere...
E' vero, ogni tanto comincio a mostrare segni di stanchezza, le idee che prima sprizzavano da tutti i pori, ora rotolano fuori con qualche sforzetto: diciamo che un pizzico di entusiasmo da neofita l'ho perso, anche perchè gli argomenti, prima o poi, si fanno sempre più difficili da trovare.
Ma alla fine, non è un romanzo giallo in cui bisogna trovare a tutti i costi il colpo di scena, quello che racconto è la mia vita, fatta di cose piccole, qualche volta noiose, qualche volta più entusiasmanti.
Forse è per questo che questo blog ancora continua a vivere, ad evolversi, a raccontare, anche quando talvolta si avrebbe voglia di lasciar perdere tutto.
Quello che mi conforta sono tutte le persone che passano di qui, tutte quelle che commentano e, spesso, mi scrivono privatamente, oppure mi cercano su Facebook :davvero le vostre lettere e i messaggi mi fanno un enorme piacere.
E allora, ecco una nuova ricetta, anzi, proprio nuova non direi, visto che si tratta dei classici Occhi di bue: ma per me è nuova, visto che non li avevo mai fatti.
In questo periodo mi sto cimentando, più del solito, con gli impasti di frolla e simili. Non è che adori la spianatoia, la farina che vola dappertutto, la sensazione del burro scivoloso tra le dita, però ammetto che poi mi piace molto mangiarli, crostate e biscotti.
Avevo della marmellata aperta, nonchè un fantastico vasetto a forma di orsetto, pieno di cioccolato e miele, proveniente dall'Abruzzo, regalo della mia amica Pina. Mi sembrava un peccato mangiarlo sul pane, semplicemente, e poi una volta che comincio, mi è assolutamente difficile smettere, rischio di infilare pure le dita nel barattolo, proprio come un orsetto goloso ( e i risultati si vedono, ahimè).
Allora ho pensato di fare questi biscotti a Occhio di bue, visto che mi sono rifornita di stampi di fogge svariate, di cui appunto uno a forma tonda e uno più piccolo a cuore. Sono piena di formine e stampini (però mi mancano quelli dei muffins, mannaggia), che non uso mai, stanno nella credenza insieme alla mia collezione di teglie e stampi per dolci, che sta diventando sempre più ingombrante.
Per l'impasto, ho scelto quello che la Golosetti, nell'Enciclopedia Mille Dolci, fornisce per i biscotti semplici (ho dimezzato le dosi), perchè mi sembrava friabile ma non eccesivamente burroso. Tra l'altro, nell'impasto originale figura anche la farina di mais e la fecola e, siccome ne avevo un rimasuglio di ambedue nella credenza, le ho utilizzate volentieri. La frolla è ottima, friabilissima, per niente burrosa, probabilmente la userò anche per fare altri biscotti oppure per una crostata.
Biscotti Occhio di Bue con marmellata di Fragole e Cioccolato-Miele
Per 12 Biscotti completi (grandi):
1 uovo medio piccolo
150 grammi di farina 00
80 grammi di farina di mais finisssima
60 grammi di fecola di patate
90 grammi di burro
90 grammi di zucchero semolato
2 cucchiai di latte
un pizzico di lievito vanigliato
Sciogliere il burro rendendolo morbido, quasi sciolto.
In una ciotola mescolare bene le tre farine e il lievito: al centro mettere l'uovo intero e lo zucchero, aggiungere il burro mescolando con la forchetta.
Aggiungere un paio di cucchiai di latte, e formare un impasto tipo frolla, risulta solo leggermente più appiccicosa.
Mettere nel cellophane una mezz'ora in frigorifero.
Stendere la pasta sulla spianatoia infarinata (tende un po' ad appiccicarsi, bisogna infaririnare spesso) e cominciare a ritagliare le forme tonde. Posizionarle sulla teglia foderata di carta forno poi, una volta fatte tutte, tagliare con la forma a cuore metà dei tondi (conviene direttamente sulla teglia, così il biscotto bucato non si deforma muovendolo).
Cuocere per circa 15 minuti sul terzo ripiano dal basso a 180 gradi, con una teglia al piano di sotto per attenuare il calore (altrimenti si bruciano sotto).
far raffreddare i biscotti, cercare di fare le coppie con biscotti di dimensioni uguali, visto che tendono un pochino a deformarsi, con la cottura.
Farcire quelli tondi, capovolti (cos' la parte bombata va sotto) con la marmellata, la Nutella o quello che volete. Chiudere con il biscotto con il compagno bucato, spolverare di zucchero a velo.
lunedì 1 novembre 2010
La Torta di Nonna Papera
Ho saltato il week-end, ho saltato la notte di Halloween, ho saltato la festa di Ognissanti, insomma, un vero disastro. Col fatto che ho lavorato tutto il lungo finesettimana, non ho avuto neanche tempo di venire a sbirciare nei vostri blog cosa avete preparato di speciale.
Come ho già avuto modo di disquisire qui, in questi ultimi anni sta prendendo piede questa usanza tutta americana della notte di Halloween, che mi lascia francamente un po' dubbiosa, visto che i significati più profondi, quelli che derivano dalle antiche tradizioni legate all'unica notte dell'anno in cui il confine tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti si annulla (e ne abbiamo anche noi, di molto più antiche e anche più interessanti di quelle americane), sono spariti per fare posto a feste e balli con streghe, teschi, pipistrelli e zucche stregate, molto più simile ad un Carnevale fuori stagione.
D'altra parte, anche feste molto più dense di significati, come il Natale, sono diventate più un business per vendere merce, per cui non mi stupisco più di tanto.
E quindi, niente zucche, dolcetti o scherzetti, per il mio Halloween però, siccome questi giorni ero in vena di sperimentazioni di ricette d'oltreoceano, ho pensato di fare una Apple Pie, ovvero la classica Torta di Nonna Papera! Chi di voi, da piccoli, non ha avuto almeno uno di quei bellissimi manuali tipo il Manuale delle Giovani Marmotte, o appunto quello di Nonna Papera? Io li avevo tutti e due, lo ammetto, ma da piccola preferivo senza rimorsi quello più avventuroso delle Giovani Marmotte. Non so che fine abbiano fatto, questi volumetti dalla copertina rigida, un po' consunta dopo tante letture...credo di averli regalati a qualcuno, anche se recuperare quello di Nonna Papera, adesso, non mi dispiacerebbe.
La tipica torta americana, quella che la simpatica nonnina metteva a raffreddare fuori dalla finestre, mi ha sempre incuriosito ma non mi è mai capitato di assaggiarla, allora ho deciso di cimentarmi.
Leggiucchiando qua e là (questa ricetta di GialloZafferano è molto ben spiegata, e qui ce n'è un'altra simile) , mi sono fatta l'idea che la pasta fosse più sottile e meno dolce della nostra frolla: in quasi tutte le ricette che ho trovato non contiene nè uova nè zucchero, ma solo farina, burro e acqua fredda, tra un impasto di brisè e di strudel, penso.
Nelle istruzioni c'è la raccomandazione di fare la cupola al centro, per farla venire bella bombata, proprio come nei fumetti di Paperino, cosa che ho fatto ma evidentemente non abbastanza, perchè si è inesorabilmente abbassata, durante la cottura.
Questo non ha alterato assolutamente il sapore, molto molto meloso, e non burroso come pensavo (la pasta è delicata, per niente pesante).
Insomma, questa è la ricetta della sperimentazione, ispirata prevalentemente dalla ricetta di GialloZafferano di cui sopra:
Apple Pie
Per una teglia da crostata da 22 centimetri di base e 25 di diametro massimo (se la volete più alta, aumentate le mele)
300 grammi di farina 00
150 grammi di burro
75 ml di acqua fredda
1 cucchiaio di zucchero
un pizzico di sale
950 grammi di mele non sbucciate
1 cucchiaio di farina
6 cucchiai di zucchero
qualche fiocchetto di burro (facoltativo)
succo di limone
cannella
Impastare la farina col burro molto morbido (io l'ho impastata con la forchetta, all'inizio dentro una ciotola e poi sulla spianatoia) aggiungendo lo zucchero, il sale e l'acqua, fino a formare un impasto piuttosto sodo.
Metterla in frigorifero per almeno 30 minuti, nel cellophane.
Nel frattempo tagliare le mele a fettine sottile, irrorarle col limone, mescolare bene con lo zucchero e la farina (serve ad assorbire l'umido delle mele).
Stendere la metà abbondante della pasta sulla carta forno, di dimensioni poco più grandi della teglia.
Rovesciare l'impasto sulla pasta, cercando di mettere più mele al centro, una spolverata di cannella e qualche fiocchetto di burro, se volete. Io non ho esagerato con la cannella perchè mi piace, però non troppa.
Stendere il resto della pasta e coprire la torta, ritagliando quella in eccesso.
Chiudere la torta con i rebbi della forchetta, facendo qualche buco qua e là per far uscire l'umidità ( anche se a me un po' di liquido è fuoriuscito sotto).
Con la poca pasta che vi avanza fate qualche piccola decorazione (io ho usato uno stampino da biscotti a forma di cuore). Spennellate di latte la torta, applicate le decorazioni.
Io ho messo la torta sul terzo ripiano dal basso, dove metto le crostate.
I tempi di cottura sono stati:
20 minuti a 190 gradi
50 minuti a 180 gradi (non si cuoceva mai)
Ho tolto la torta, l'ho spennellata con un uovo sbattuto, cosparsa di zucchero a velo e messa di nuovo nel forno spento per altri dieci minuti.
mercoledì 27 ottobre 2010
Tempo di minestre
E' un periodo che ho voglia di cose morbide, vellutate, calde. Se c'è una cosa che mi piace dei mesi freddi, è proprio la varietà di piatti coccolosi, che riscaldano, come il purè, la minestrina, il the alle cinque di pomeriggio.
Soprattutto in queste serate fredde, non c'è niente di meglio di un bel brodo caldo, una minestra, o una zuppa. Due anni fa ne ho sperimentate parecchie, l'anno scorso quasi niente, chissà perchè. Eppure ci piacciono molto, con o senza pasta. Anche stavolta avevo voglia di qualcosa di minestroso, ma diverso dalla solita zuppa di fagioli che faccio solitamente.
Ho comprato un pezzo di zucca, attirata dal colore allegro e dal gusto dolce, e l'ho usata per fare questa minestra di latte e riso, riciclando anche un avanzo di cavolfiore lesso. Non so perchè, ma mentre il broccolo ripassato in padella mi piace molto, in un piatto di pasta, con le salsicce o anche da solo, il cavolfiore lesso mi fa un po' tristanzuolo. Dopo averne mangiato un po', comincia a girare per il frigorifero, alla ricerca di una collocazione migliore.
In questo caso ne era avanzato un po' dalla sera prima, e ce l'ho infilato in mezzo, spezzando il gusto broccoloso con la zucca e il latte.
Il resto della zucca l'ho messo dentro una semplice minestra di fagioli e patate, anche quella saporita e piacevolissima. Mi piacerebbe fare altre sperimentazione con questa cucurbitacea, che invero a casa mia si è sempre usata pochissimo, per non dire mai. Chissà, magari la prossima volta provo a farci una torta!
La ricetta di questa minestra l'ho presa dall'Enciclopedia della Cucina Italiana, stavolta con pochissime variazioni.
Minestra di Latte e Riso con Zucca e Cavolfiore
Per due persone, abbondante:
750 ml di latte
750 ml di acqua
450 grammi di zucca al netto
circa 200 grammi di cavolfiore lesso
un pezzetto di burro
parmigiano
100-120 grammi di riso
Tagliate la zucca a pezzetti, mettetela nella pentola con acqua e latte e fatela bollire dolcemente per circa 15-20 minuti, fino a che sarà tenera. Unite il cavolfiore lesso, salate.
Frullatela pochi secondi col mini pimer ad immersione (non deve essere del tutto frullata), poi riprendete il bollore e aggiungete il riso.
Fate bollire dolcemente circa 20 minuti ( o quando il riso sarà cotto), girandola ogni tanto per non farla attaccare. All'ultimo aggiungere il burro, mantecare, spegnere e farla riposare qualche minuto.
Servire con una bella spolverata di parmigiano grattugiato.
venerdì 22 ottobre 2010
Museo del Baile Flamenco, Siviglia
La mia passione per il Flamenco, ormai la conoscete bene, se frequentate questo blog da un po’ di tempo…ho studiato baile (non da professionista, ovviamente) per nove anni, facendo delle esperienze bellissime in varie scuole, ho ballato in tanti teatri e conosciuto tanta gente interessante. E’ una fase della mia vita che si è conclusa, vuoi per ragioni di tempo, di stanchezza, vuoi ragioni d’età!
Quando ho iniziato, lo ammetto, ho passato una fase di entusiasmo ossessivo durata qualche anno: anni in cui non ascoltavo che flamenco, andavo a vedere solo spettacoli di flamenco, mi allenavo davanti allo specchio, passavo ore a cucirmi gonne piene di volants, e ovviamente a parlare con persone fissate come me (ad esempio la mia amica Marta o il mio amico Marco Rosas, lui sì un vero talento naturale).
Molti miei amici hanno avuto occasione di andare a Siviglia per fare stages di danza, e magari vedere spettacoli nei tablaos andalusi o madrileni…io purtroppo, nei miei giorni sivigliani, ho fatto di tutto tranne che vedere flamenco. Ero da sola, e girare a tarda sera da soli in una città straniera non è il massimo….sarà per la prossima volta! Ho visto tanti vestiti e tante scarpe, e questo già mi ha fatto rientrare nell’atmosfera colorata di quel mondo: passeggiando per Triana, oltre all’atmosfera inconfondibilmente andalusa, non è infrequente ascoltare le note cristalline di una bulerìa o di una sevillanas che rieccheggiano nei patios ombrosi.
Visto che ero qui, non potevo mancare però di vedere il Museo del Baile Flamenco, installato dalla famosissima bailaora Cristina Hoyos (di cui ricordo i film Carmen Story, Bodas de Sangre e L’amor Brujo, tutti con Antonio Gades) in un antico palazzo nel Barrio di Santa Cruz.
Vi dico subito che, a differenza di tutti gli altri musei sivigliani, gratuiti, questo è l’unico che si paga per automantenersi, visto che non è un museo statale o comunale.
E’ piuttosto piccolo, ammetto che mi aspettavo qualcosa di più, di più grande e più esaustivo…la parte più interessante è forse la stanza iniziale, quella con lo schermo dove scorrono senza interruzioni vari filmati di coreografie dei vari balli anche se, se non siete esperti, difficilmente riuscirete a capire la differenza tra una bulerìa e un tango gitano, tra una alegrìa e una milonga.
Poi cominciano una serie di sale, tutte assolutamente buie (difficilissimo fare le fotografie in quella penombra, ma qualcosa sono riuscita a catturare comunque), con locandine, altri filmati e materiale di repertorio, ed una più grande dalla cui ombra densa emergono costumi di scena, oggetti d’epoca e specchi. L’insieme non è privo di una certa suggestione ma, per quanto riguarda i vestiti, se ne vedono di molto più belli nei negozi e negli spettacoli in generale…i vestiti da ballo e da feria possono essere stupendi e originali, oppure striminziti o kitch, si trova un po’ di tutto, anche se solitamente quelli usati per la danza sono più sobri e lineari rispetto a quelli indossati per le feste…diciamo che questi non mi hanno fatto impazzire.
Questi sono i corridoi del museo, su cui sono affissi grandi pannelli in bianco e nero, fotografie e locandine dei grandi artisti del mondo flamenco e, ovviamente, foto di scena di Cristina Hoyos e dei suoi spettacoli.
Una delle ultime stanze che ho visto contiene delle belle tele ad olio che ritraggono la bailaora: nella prima con la Bata de Cola (la gonna a strascico, usata solo dalle ballerine esperte), negli altri due è invece ritratta assieme ad Antonio Gades.
E’ un piccolo museo, forse più pretenzioso nella forma che nella sostanza difficile da apprezzare, se proprio non siete degli aficionados.
Se volete approfondire,
Museo del Baile Flamenco
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