Ed eccoci arrivati all'ultimo torrione, il luogo forse più suggestivo di tutto il cimitero: qui si trova
l'Angelo del Dolore e la tomba del grande poeta
Shelley (rispettivamente al centro della foto e sotto il torrione, a destra)
Durante la salita del viale medio, le
ciocche invermigliate degli oleandri fanno da quinta alla grande piramide.
I resti del torrione si ergono ancora maestosi, ancora inviolati. Lo stile neoclassico di queste tombe primo Ottocento è inequivocabile.
Ed eccolo, l'angelo affranto sulla tomba di
Emelyn Story, nata a Boston e morta a Roma nel 1894: vi è sepolta assieme a suo marito, lo scultore
William Wetmore Story.L'artista scolpì il suo dolore eterno, come ricordo imperituro dell'amata moglie: non poteva sapere che l'avrebbe seguita nel suo sonno senza risveglio appena un anno dopo, nel 1895.
Ora l'Angelo piange ambedue, uniti per l'eternità.
Notate come la stessa fotografia in ora diverse possa rendere in maniera diversa il fascino dell'Angelo caduto. La luce proveniente da dietro mette in risalto i colori degli oleandri, e dona al marmo candido un bagliore trasparente, come di alabastro.
La luce del pomeriggio illumina solo la statua, lasciando in ombra tutto il resto, e la fredda pietra si riscalda di una luce quieta, carezzevole.
L'Angelo ha un vicino assai illustre: si trova proprio accanto alla tomba di Shelley, sotto il torrione.
Questa celeberrima statua, forse una delle più belle al mondo nella statuaria funeraria, è stata più volte copiata (soprattutto in America ed Inghilterra); più recentemente è stata utilizzata come copertina da alcuni famosi gruppi di musica rock: ricordiamo
Once del 2004, del gruppo opera-metal dei
Nightwish, con la scritta Once al posto di Emelyn Story, ed anche un EP del gruppo
Evanescence.
Il sole al tramonto lascia lentamente spazio all'ombra, che scivola sul marmo come un mantello, avvolgendo l'angelo affranto nell'oscurità della notte.
Mi sono chiesta perchè
Gabriele D'Annunzio, descrivendo la scena di Andrea e Maria in questo luogo, sulla tomba di Percy Shelley, non abbia fatto neanche un cenno all'Angelo, così romantico e decadente. Poi, la risposta: nel 1889, quando D'Annunzio scrisse
Il Piacere, l'Angelo ancora non c'era. Fu collocato qui solo nel 1895, sei anni dopo.
Ed ora facciamoci avvolgere dalla descrizione suggestiva dello scrittore, per ammirare il luogo dove riposa Shelley.
"In vicinanza del cimitero, discesero; percorsero un tratto a piedi, taciturni. Maria sentiva in fondo all'anima ch'ella non andava soltanto a portar fiori sul sepolcro d'un poeta ma che andava a piangere, in quel luogo di morte, qualcosa di sè, irreparabilmente perduta.
Il frammento di Percy, letto nella notte, le risonava in fondo all'anima, mentre guardava i cipressi alti nel cielo, oltre la muraglia imbiancata.
"La Morte è qui, e la Morte è là; da per tutto la Morte è all'Opera; intorno a noi, in noi, sopra di noi, sotto di noi è la Morte; e noi non siamo che Morte.
La Morte ha messo la sua impronta e il suo suggello su tutto ciò che siamo, e su tutto ciò che sentiamo e su tutto ciò che conosciamo e temiamo.
Da prima muoiono i nostri piaceri, e quindi le nostre speranze, e quindi i nosri timori; e quando tutto ciò è morto, la polvere chiama la polvere enoi anche moriamo.
Tutte le cose che amiamo ed abbiam care come noi stessi devono dileguarsi e perire. Tale è il nostro crudele destino. L'amore, l'amore medesimo morirebbe, se tutto il resto non morisse..."
Andrea, indicando il sommo dell'altura:
-Il sepolcro del poeta è lassù, in vicinanza di quella rovina, a sinistra, sotto l'ultimo torrione.-
(...)
(ricordatevi che l'angelo, sotto l'oleandro, i due non potevano vederlo).
Giunsero, tra le siepi basse di mirto, fino all'ultimo torrione, dov'è il sepolcro del poeta e del Trelawny. Il gelsomino, che si arrampica per l'antica rovina, era fiorito; ma delle viole non rimaneva che la folta verdura.
Le cime dei cipressi giungevano alla linea dello sguardo e tremolavano illuminate più vivamente dall'estremo rossor del sole che tramontava dietro la nera croce del Monte Testaccio. Una nuvola violacea, orlata di oro ardente, navigava in alto verso l'Aventino.
"Qui sono due amici, le cui vite furono legate. Che anche la loro memoria viva insieme, ora ch'essi giacciono sotto la tomba; e che l'ossa loro non sieno divise, poichè i loro due cuori nella vita facevano un cuore solo: for their two hearts in life were single hearted!"
Ella avvolse al velo nero gli steli delle rose, annodò le estremità con molta cura; poi aspirò il profumo, quasi affondando il viso nel fascio. E poi depose il fascio su la semplice pietra ov'era inciso il nome del poeta. E il suo gesto ebbe una indefinibile espressione, che Andrea non potè comprendere.
(Gabriele D'Annunzio, Il Piacere, Mondadori 1965)
Sulla lastra, oltre alla scritta Cuore dei Cuori, sono scolpiti tre versi di Shakespeare: il canto di Ariel, tratto da La Tempesta.
Apro una breve digressione su questo grande della poesia. Non tutti sanno che anche sua moglie fu una famosa scrittrice: ella era infatti
Mary Godwin Wallstonecraft in Shelley. Se il suo nome non vi suona del tutto sconosciuto, vi spiegherò il perchè.
Narrano le cronache che una comitiva molto particolare si riunisse, ogni sera, in una villa sul Lago di Ginevra: era l'estate del 1816, un'estate fredda e piovosa.
Percy Shelley e
Mary, poco più che ventenni e non ancora sposati nonostante avessero già due figli (Shelley era già sposato, riuscirono a regolarizzare la loro unione solo poco dopo, alla morte della moglie), un certo Lord
Byron e il di lui segretario, l'inquietante
John William Polidori.
Era una notte buia e tempestosa, come ogni romanzo dell'orrore che si rispetti.
Come racconta la stessa Mary, fu Byron a proporre di scrivere una storia di spettri: i quattro amici si lasciarono, alla fine della serata, con la scommessa di scrivere ciascuno un libro di terrore, come andava di moda all'epoca.
Ma sorprendentemente Byron e Shelley, i due grandi, non portarono mai a termine il compito, gli altri due invece sì, e alla grande.
Mary compose quello che è considerato il capolavoro della narrativa gotica:
Frankenstein, di cui
Sheridan Le Fanu (Autore del celeberrino
Carmilla, un altra perla della narrativa gotica), scrisse:
Nel racconto di Mrs. Shelley si aprono porte che avrebbero dovuto restare chiuse, e il mortale e l'immortale fanno prematura conoscenza.
John Polidori, invece, si ispirò al suo datore di lavoro, amato ed odiato, per tratteggiare l'archetipo di tutti gli incubi di fine ottocento: scrisse infatti
Il Vampiro, la cui immagine di dandy elegante e crepuscolare, affascinante e dannato, fu di ispirazione per tutti i vampiri seguenti, Dracula compreso (ah, il fascino del male...)
(cfr.
Riccardo Rein, Introduzione, in M. Shelley, Frankenstein, Newton Compton 1994)
Un infausto destino, quasi una maledizione, si accanì contro di loro.
Polidori si suicidò nel
1821.Shelley morì l'anno seguente, annegato in una tempesta al largo della costa Toscana, nel
1822.
Lord Byron li seguì nella tomba nel
1824, ammalatosi di febbre mentre combatteva a Missolungi nella causa per la liberazione della Grecia.
Mary sopravvisse a tutti, essendo morta solo nel
1851, dopo aver curato e pubblicato appassionatamente l'opera del marito.
Mary Shelley fu sepolta nel Dorset, accanto ai genitori e al cuore del marito, ivi portato dal suo amico fedele Trelawny, morto molto tempo dopo, nel 1881, e che invece riposa accanto a lui, sotto l'ultimo torrione.
Vi lascio con una delle poesie più belle di Shelley (traduzione di Roberto Senesi, in "Poeti Romantici Inglesi", Milano 1984)
Lamento Funebre
Aspro vento che gemi un dolore
troppo triste per essere cantato;
vento selvaggio dalle cupe nuvole
che tutta la notte risuonano a morto;
triste bufera di lacrime inutili,
nude foreste dai rami protesi
grotte profonde e mare pauroso,-
per tutto il male del mondo, piangete!
Sir Percy Bisshe Shelley scrisse quest'ode nel 1822, lo stesso anno in cui annegò, quasi un presagio di morte.