I miei viandanti
giovedì 16 aprile 2009
I colori della città
Terzo giorno:
Umido come il primo, una pioggia aerea, quasi vaporizzata, ma che minaccia ad ogni passo di trasformarsi in scroscio, in tempesta tuonante, senza scampo.
Oggi è in programma la visita al quadrante meridionale della città: la meta prevista è il palazzo rinascimentale di Schifanoia, ma la strada da fare per arrivarci induce al vagabondaggio ozioso e sognatore. Dalla Cattedrale si dipartono della stradicciole assai graziose, che attraversano l’antico ghetto e poi scivolano dolcemente verso una periferia quieta, fatta di viottoli tranquilli, deserti, molto simile a quella dell’altro quadrante, dove ero passata il primo giorno.
Ogni vicolo, ogni incrocio invita alla scoperta, scenari aggraziati, prospettive invitanti, portoncini colorati e finestre piene di fiori: ogni angolo riserva delle sorprese, e ad ogni nuova stradina che si prospetta davanti agli occhi, si continua a camminare, col naso all’aria, per osservare tutto, per abbeverarsi di questi colori e di questi scorci antichi e curati.
Ferrara, come molte città del nord, è un luogo dai colori freddi e pallidi, soprattutto d’inverno: il cielo, l’aria stessa, la nebbia, il verde della campagna umida, il grigio limaccioso del fiume.
Forse è per questo che, su al nord, costruiscono case colorate, dai toni squillanti, persiane e infissi rossi o turchesi, intonaci gialli, arancio o azzurro mare, portoni in legno dipinto e cascate di fiori alle finestre.
Le città del sud, con i loro cieli tersi, il sole accecante, la vegetazione selvaggia che lussureggia ad ogni angolo della strada, non hanno bisogno di altro colore, e allora le case non possono che essere candide, quasi abbaglianti, nelle luminose estati meridionali.
Ferrara è una città dai colori caldi e saturi, usati in tutte le declinazioni: il ruggine, nocciola e rosso veneziano delle cortine laterizie che rivestono la maggior parte delle case, il rosso pompeiano delle tende a pacchetto (tutte uguali, in tutta la città, chissà perché), il giallo in tutte le sue mille sfumature: il giallo carico delle Forsizie che grondano dai suoi muri, quello dorato dell’ottone che luccica al sole, e poi i toni vividi dell’intonaco delle facciate, dal caldo arancio passando per l’ocra, il senape, il paglierino, fino al giallo squillante e freddo del limone, e ancora il legno dipinto dei portoni, rosa fragola, rosso rubino e vermiglione, le sue mille cassette postali, che spiccano vivide sui muri intonacati, e le biciclette, coloratissime anch’esse, quasi facessero parte dell’arredo urbano.
Le vie che ho incontrato hanno nomi poetici, antichi e originali come via Belfiore, via Madama, via del Giuoco del Pallone, via del Paradiso, via della Luna.
Sia i nomi sia il tipo di architettura e di articolazione stradale sono legati al passato medievale e rinascimentale della città. Poche testimonianze del barocco o del Settecento, almeno nel tipo di costruzione e decorazione, troppo leziosi e ridondanti per questi palazzi dalle linee semplici, rigorose e tuttavia aggraziate.
Maggiori gli interventi ottocenteschi, alcuni pezzi Art Nouveau di gran pregio, e poi un tipo di edilizia in stile, che richiama il periodo d’oro di Ferrara, e che viene chiamata “Neo-estense” per la fedeltà ad un modulo architettonico e decorativo che è rimasto praticamente immutato dal Quattrocento: piccole palazzine in cortina laterizia, finestre e portoni incorniciati da archi acuti o a tutto sesto, piedritti in pietra o cotto con decorazione scolpite, piccoli balconi in ferro battuto, logge, portici, colonne, decorazioni in terracotta.
Passeggiare per Ferrara è, invero, come fare un viaggio indietro nel tempo; difficile dire quanto ci sia di antico e quanto di moderno, in queste strade: perché i ferraresi sono riusciti, miracolosamente, a far convivere a meraviglia passato a presente, costruendo il moderno in maniera da fondersi col preesistente, riuscendo a mescolare sei secoli e più di storia, in maniera assolutamente armonica e ammaliante.
Ferrara e i suoi lampioni a lanterna, che evocano atmosfere ottocentesche, buie e brumose, vicoli deserti immersi nella nebbia, che pare quasi di udire rumori di zoccoli e ruote di legno che scivolano, di notte, sull’acciottolato sconnesso, e vedere misteriosi figuri intabarrati di nero aggirarsi per queste strade senza tempo.
Ferrara e i suoi caseggiati bassi, con le finestre piccole, le persiane dipinte a colori squillanti, ringhiere di ferro battuto ingentilite da graziose tendine e vasi di primule in fiore, edere e cascate di piante grasse. Ferrara città dai mille giardini, dai cortili segreti, orti e angoli nascosti dietro cortine impenetrabili, dalle lunghe mura di laterizi ricoperti di edera, le vecchie chiese sconsacrate e le piazzette caratteristiche, in cui è meraviglioso sedersi ad osservare il quieto viavai dei rari passanti, assaporando in pace la bellezza di questi vicoli carichi di storia.
Ferrara dalle mille biciclette, parcheggiate in ogni dove.
Biciclette di tutti i generi, piccole, grandi, moderne e lucidissime, oppure vecchie Grazielle dai colori pastello scoloriti, desueti modelli anni 40, con la vernice nera scrostata e il metallo corroso dalla ruggine, biciclette nuovissime oppure vecchie ferraglie d’altri tempi, perché anche qui, come dappertutto, ci sono le Ferrari e le utilitarie, ma poi la fatica è la stessa, in fondo la bicicletta è un mezzo democratico, egualitario.
E quanta invidia per i ferraresi ciclisti, veri equilibristi delle due ruote, che sembrano scivolare senza fatica sull’acciottolato traditore, e riescono a destreggiarsi, in caso di pioggia, con l’ombrello in una mano e guidare con l’altra, con invidiabile disinvoltura che deriva dalla lunga pratica, una pratica che inizia fin da bambini.
Non c’è via della città in cui non li vedi pedalare, questi fuoriclasse delle due ruote, imperiosi e sicuri, quasi spericolati, in pieno centro, nei parchi, nei viali della Certosa e lungo i terrapieni delle antiche mura, e di tutte le età: uomini in completi eleganti e borsa di cuoio, mamme con frugoletto montato sul seggiolino, universitari di tutte le etnie, ragazze alternative dalle sciarpe di lana fatte in casa, tessute in colori vivaci ed enormi borse a tracolla, giovani donne in gonna e tacchi a spillo, vecchie signore con stravaganti cappelli e busta della spesa, ed un anziano signore in pensione fermo colla sua vecchia bicicletta sotto il castello, quasi in contemplazione e che, occhieggiandomi curiosamente mentre fotografo quella meraviglia architettonica, mi confessa candidamente che abita a mezzo chilometro di distanza ma che, ogni giorno, passando qui davanti, non riesce a fare a meno di fermarsi, per ammirarlo come fosse la prima volta.
Sulla strada per Schifanoia, un’altra deviazione, seguendo l’ispirazione del momento: a fronte ad una costruzione recente, un fabbricato di vetro e metallo piantato su piloni di cemento, di un grigio deprimente ( si tratta della scuola Media Dante Alighieri), una visione anacronistica, un'abside in rovina e una parte della navata di una chiesa: sono tutto quello che rimane della Chiesa di sant'Andrea, distrutta dai bombardamenti del '44 e mai più ricostruita.
Rimasta in macerie, ormai invasa da vegetazione incolta ed edera avvinghiata alle antiche colonne, che le dona un fascino da abbazia dei racconti gotici, sembra una specie di memento mori per le generazioni successive, e chissà se i ragazzi di quella brutta scuola media di cemento, che abbandonano con disinvoltura le loro biciclette colorate all'ombra delle cupe rovine, le gettano mai più che uno sguardo distratto, ormai assuefatto alla visione di quello spettacolo di devastazione.
Schifanoia, cioè Schiva la noia, delizia destinata alla gioia dei signori della città, un piccolo divertissment estivo, entro le mura della città eppure, all’epoca, immerso nella campagna. A fronte dell’esterno, assai suggestivo e conservato alla perfezione, dell'interno, trasformato in Museo, non c'è rimasto poi molto, mura e affreschi a parte, nè arredi nè oggetti.
Quello che è rimasto, però, è stato riconosciuto nell'Ottocento come una pietra miliare del Rinascimento ferrarese, e cioè il famoso Salone dei Mesi, un ciclo pittorico portato a termine da artisti del calibro di Ercole de Roberti, Francesco del Cossa e che, da solo, vale la pena una visita (assolutamente vietato fotografarlo, mi spiace).
Sarebbe stato bello anche fare una capatina nel bel fabbricato detto di Ludovico il moro,che ospita il Museo Archeologico, ma anche questo aspetterà una prossima visita perchè ultimamente, pur con i miei studi di Archeologia e Arte come bagaglio culturale, mi sento inspiegabilmente più attratta dalla città vera, viva, coi suoi vicoli e le sue particolarità quotidiane, piuttosto che da muti reperti chiusi un teche di vetro.
Pranzo frugale in una friggitoria greca, una bettolina assolutamente fuori luogo in questi vicoli medievali: pavimentazione a grandi piastrelle blu mare e giallo sole, pareti candide trattate a calce e tavolini blu elettrico, nomi di piatti (Tzatziki, Moussakà, Pita, Baklava) che evocano il caldo, il mare e freschi pranzi estivi, alle pareti grosse fotografie dai colori saturi, il blu del cielo e del mare che si fonde col rosso acceso dei gerani e il bianco delle case candide di Santorini, proprio un sogno ad occhi aperti, in questa città grigia e bagnata, dai colori spenti e invernali.
Mi sono infilata in questo buchetto per sfuggire alla pioggia battente che mi ha investito subito uscita da Schifanoia.
Ero decisa a tornare alla Cattedrale per infilarmi vigliaccamente nel MacDonald’s, e passare un’oretta sgranocchiando patatine fritte e bisunte tra gli schiamazzi delle scolaresche che imperversano in città.
Poi, il pavimento così blu e i nomi evocativi nel menu esposto all’esterno, mi hanno convinto ad infilare la porticina di questo minuscolo bistrot dove, sul sottofondo di musica greca di sapore arabeggiante (una specie di versione locale di Gigi d’Alessio, più o meno), ti cuociono le patatine espresse, fritte e bisunte anch’esse, e crocchette di formaggio bollenti, delle palline di un formaggio misterioso, molliccio e salato, e allora per qualche minuto ti scordi del grigiore che avvolge ogni cosa e delle gocce che continuano a rigare i vetri appannati, e ti sembra di essere in un altro mondo, estivo e colorato.
Purtroppo, l’illusione dura un attimo.
La fidata Moleskine, compagna di tanti viaggi e peregrinazioni, mi ha abbandonato.
Mi ha seguito fedelmente per tutti e 3 i viaggi a Parigi, e poi le Dolomiti, la Toscana e l’Egitto: non grandi viaggi, d’accordo, però vissuti e sentiti più dei precedenti, forse per una nuova maturità e consapevolezza che mi sento di aver conquistato in questi anni e che mi fanno vedere le cose sotto una luce diversa, uno dei pochi pregi dell’età.
Mi spiace molto non avere ricordi scritti dei viaggi precedenti, sicuramente più lontani ed avventurosi. Ho molte fotografie, questo sì, e ancora una buona memoria, chissà che prima o poi non cominci a buttar giù qualcosa….nel frattempo, ho scritto le ultime pagine bianche sulla piccola e malconcia agendina, che verrà archiviata dopo un onorevole servizio.
Pensavo di comprarne un’altra identica, poi in una cartoleria in via Contrada della Rosa ho visto un volumetto di quelli in carta e cuoio, dal fascino un po' retro, e mi è sembrato, con la sua copertina delicatamente acquerellata a rose e scritte francesi in color seppia, adatto ai miei racconti un po’ sognanti, vergati con una scrittura un po’ tremolante, disordinata, visto che li scrivo al momento, sul posto, in posizioni solitamente poco comode, ma è l’unico modo per appuntare una visione, un’emozione nel momento stesso in cui la si prova, prima che ci sfugga dalla memoria.
Pomeriggio ozioso, senza una meta precisa.
Sono tornata in albergo con le patatine ed il formaggio che ballavano il sirtaki nel mio stomaco (forse era meglio un pranzo più leggero), bagnata come un pulcino e stanca.
Sono rimasta a poltrire sotto le coperte fino alle quattro, col caldo dei termosifoni che scongelava le mie membra infreddolite e doloranti, e sperando che la pioggia fuori dalla finestra si affievolisse, quanto meno; poi, sfidando le intemperie, sono uscita di nuovo. Lo scopo era passare il resto del pomeriggio con meno danni possibili, vagabondando senza una meta precisa, senza macchina fotografica e neanche la guida, solo una mappa per non vagabondare a vuoto in una zona sconosciuta anche se, per perdersi definitivamente a Ferrara, bisogna impegnarsi sul serio.
Ho preso una direzione insolita, invece di andare verso il centro ho attraversato il Viale Cavour e sono scesa verso la Darsena, verso il fiume.
Chiamano Ferrara città di terra e acqua: io sì di acqua ne ho vista tanta, ma tutta venire giù dal cielo, non mi pare che la città abbia un grande rapporto col suo fiume.
Ero curiosa di vederlo, invece, questo fiume, immaginandolo romanticamente come appare nella serie Nebbie e Delitti ( una delle poche fiction che adoro, ben fatta, con una fotografia fantastica ed atmosfere suggestive): però deve essere girata in luoghi diversi da quelli in cui sono andata io, perché di atmosfera suggestiva ne ho vista ben poca. Quel minimo che sono riuscita vedere, infatti, complice l’acquerugiola incessante e un grigiore plumbeo che incombeva minaccioso, è stato veramente deludente, se non squallido.
Della Darsena, il cosiddetto porto turistico, si vede solo un minimo affaccio sull’acqua, da cui si ammirano brutti palazzi sugli alti argini della riva opposta, che si specchiano sul canale burbero e limaccioso.
La via che costeggia il fiume è un susseguirsi di piccoli condomini di periferia, parcheggi, magazzini in disuso e capannoni in rovina, tra prati abbandonati ed incolti, reti divelte e ristoranti chiusi, quasi desolati: aria di abbandono che mi ha ricordato, in qualche modo, la malinconia del mare d’inverno, con le sue serrande abbassate, i locali dalle finestre sprangate, il colore metallico dell’acqua, il vento umido e l’aria gonfia di pioggia, ma senza averne quell’atmosfera romanticamente charmante.
Ho passeggiato mestamente sotto l’ombrello, a passo svogliato, avvertendo una malinconia incombente salirmi da dentro, forse a causa delle scarpe bagnate e i vestiti umidicci, e sono tornata velocemente verso il centro. Centro quasi deserto, tranne qualche frettoloso passante, luci ed insegne spente, solo qualche rara, coraggiosa bicicletta che rotola veloce verso casa, e sparuti gruppi di studenti in gita che cercano di ripararsi sotto i portici, dentro un MacDonald’s affollatissimo oppure infilati dentro caffè e bar, chiassosi, annoiati e anch’essi bagnati.
Ho vagolato sotto il mio ombrello sull’acciottolato viscido, scivoloso, zigzagando tra enormi pozzanghere, e prima delle sei ho deciso di tornare nella mia stanza, ormai vinta, a riposo, al riparo, solo in attesa di fare i bagagli, per il mio ultimo giorno di vacanza in questa bella città.
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che bellissimi posti!!!
RispondiEliminaA parte il testo, come sempre affascinante, ma molti molti complimenti per le foto!!
RispondiEliminaSo che sono un po' lontani da te, Mirti, però capitaci, una volta...
RispondiEliminaCaro Mario, ero alla ricerca di ispirazione, a Ferrara ne ho trovata tantissima, non sapevo dove girarmi per fotografare tanta bellezza...e la mia fida Nikon è stata un aiuto prezioso, come sempre
:-)
Che bei colori!!!
RispondiEliminaCarissima, vedo che anche tu, come avevi detto, hai realizzato il sogno del tuo viaggio, che a quanto pare è stato bellissimo. Anch'io son riuscita a raggiungere la tua adorata Andalusia con la macchina e la famiglia. E' inutile dirti che dire uno spettacolo è poco. Quanto ti ho pensata guardando il flamenco!!!
RispondiEliminaCerca di andarci appena possibile, magari durante la feria di primavera. Sarà indimenticabile.
Ci sentiamo presto, Il prossimo post riguarderà proprio Siviglia...
Ferrara, che posto straordinario. Ho splendidi ricordi legati a questa città, girata in lungo e in largo con le biciclette e i nostri figli piccoli....Che brava che sei a raccontare e a fare le foto!!!
A presto.
Anna
Grazie serena!
RispondiEliminaCara Anna, Ferrara è bella, però Siviglia è proprio un sogno ad occhi aperti!!!Altro che blog, ci si potrebbero scrivere romanzi interi, devo proprio riuscire ad organizzarmi, prima o poi. Aspetto il resto del racconto...
hai scattato delle foto stupende!!
RispondiEliminabellissime le tue foto, sei bravissima anche nel raccontare i luoghi e le tue sensazioni un bacio
RispondiEliminaChe splendide foto! Mi hai riportato di colpo in quella città che come già ti dissi amo proprio tanto. Un abbraccio Laura
RispondiEliminaChe belle foto! sono capitata qua attirata dalla foto della bicicletta sotto la finestra che ho visto mentre curiosavo altri blog, sembra un quadro!
RispondiEliminaSe ti va vieni a trovarmi. Il mio è un po' un blog mischione :)))
A presto.
Sono rimasta incantata dagli scorci che hai saputo cogliere...che foto emozionanti!
RispondiEliminadevo dire che hai colto davvero momenti colorati di questa città che ho sempre visitato nei mesi caldi e che forse per questo poco mi invitava a coglierne questi particolari.bellissime foto!
RispondiEliminafoto meravigliose...poesia e colore...un abbraccio grande
RispondiEliminaGrazie a tutti per l'apprezzamento sulle fotografie, anch'uio non pensavo di riuscirne a fare tante e così colorate, ferrara è riuscita a stupire anche me!
RispondiEliminarimango sempre più rapita, sia dal racconto che dalle foto che hai scattato... mai stata a Ferrara, ci devo andare assolutamente!!
RispondiEliminaSpettacolo il cinquino!! ^_ì
I colori che hai catturato hanno proprio un che di magico... a me i palazzi di Ferrara ricordano molto quelli di Bologna (altra città che amo molto) per quanto riguarda la tinta delle pietre.
RispondiEliminaCiao, sono capitata su questo blog per caso ed è...bellissimo. C'è molto da leggere e molto da vedere. Lo inserisco nei miei preferiti. Da visionare con calma.
RispondiEliminaA presto
Mysteryhunter
Ciao mystery, benvenuta! sono contenta di averti tra i miei lettori, ricambio senz'altro
RispondiElimina@ Ivy: infatti ero indecisa se tornare a Ferrara oppure vedere Bologna, perchè so che è molto carina...la prossima volta non me la perderò!
@ Susina: bello averti incuriosito, la città lo merita proprio
Caspita, proprio una bella città...non ci sono mai stato!
RispondiElimina:-)
Una narrazione perfetta per una domenica mattina pigra e sonnacchiosa, con sottofondo di Rondò Veneziano e tanta voglia di sognare.
RispondiEliminaI miei ricordi di Ferrara sono pochi e lontani nel tempo e certo non l'avevo mai vista con i tuoi occhi di artista: una narrazione lieve e coinvolgente, foto meravigliose.
Grazie davvero! :)
Patt
(Relatività: per me, Ferrara è "giù a sud" ;-)
Sono felice che tu sia arrivata a me così io sono arrivata a questo splendido blog. Complimenti davvero!
RispondiEliminaGrazie Alchemilla, sono contenta di questo incontro!!
RispondiEliminaCiao abiti a Ferrara? Anch'io...
RispondiElimina