Ci sono particolarmente affezionata, all’anno, non al film, e per una ragione abbastanza ovvia: ci sono nata, proprio in quella primavera quando, assieme alle promesse di caldo e di fiori, un vento foriero di ben altre promesse cominciava ad agitare gli adolescenti e i giovani del mondo intero, che non sarebbe stato più lo stesso (ahi voglia a scrivere sui manifesti del film No 68 con la vernice rossa, come hanno fatto alcuni imbecilli dalle mie parti: la storia non si cambia, e il mondo non è più stato lo stesso, nel bene e nel male, che loro lo vogliano o no).
Ovviamente, non me ne posso ricordare, essendo all’epoca una neonata, ma qualcosa di quel periodo bello e terribile è rimasto nel decennio a venire, nell’aria di quegli anni difficili che noi bambini assorbivamo, e soprattutto in quella generazione prima della mia che è cresciuta, cambiata, ha perso i suoi sogni ed ora chissà dov’è finita: magari non è mai riuscita ad ottenere neanche un decimo degli ideali in cui credeva, o forse se ne è completamente dimenticata, di quei sogni e di quelle speranze che ora, ai nostri occhi cinici e disincantati, sembrano ingenue e fuori dalla realtà.
Sono andata a vedere il film di Placido con curiosità perché le storie di quegli anni non cessano di affascinarmi, forse proprio per la ingenuità che ci fa difetto adesso: ho amato moltissimo le due storie che mi è venuto istintivo associarvi, lo sceneggiato La meglio Gioventù, che riesce a commuovermi ogni volta, e anche The Dreamers, pur con qualche tentennamento alla prima visione. Del resto, Bertolucci mi fa sempre questo effetto: la prima volta che vedo un suo film proprio non mi piace, non lo capisco, però non mi lascia indifferente.
E allora serve una seconda o una terza visione, per capirlo appieno e per innamorarmene.
E’ successo con Io Ballo da Sola, ed è successo lo stesso con The dreamers e i suoi tenebrosi gemelli francesi.
Credo di aver già raccontato questo aneddoto da qualche parte: la platea con cui condivisi il film era, inspiegabilmente, di signore di una certa età, anche piuttosto anziane. Non essendo solitamente i film di Bertolucci delle storie da educande, la cosa era già curiosa in sé (forse non si ricordavano che il regista era quello dello scabroso Ultimo tango a Parigi, sì sì, proprio lui).
Eppure rimasero senza fiatare per tutto il film poi, dopo una scena particolarmente maliziosa, una distinta signora coi capelli bianchi commentò, ad alta voce:
“Io nel 68 c’ero, ma queste cose mica me le ricordo!”
E’ evidente che c’era, ma in una generazione sbagliata!
Comunque, inizio col dire che alcuni film di Placido come regista mi sono piaciuti moltissimo, come Un Viaggio chiamato amore,che mi ha spinto ad approfondire la vita e gli scritti di Sibilla Aleramo. A parte la bella storia, i costumi e gli ambienti ricostruiti a meraviglia, apprezzo in maniera particolare Laura Morante, in questo film in assoluto stato di grazia, brava come non mai, bella ed elegante.
Molto meno mi convinse Romanzo Criminale, come ho avuto modo di commentare abbondantemente nel post riguardante la serie omonima, per non parlare di Ovunque sei, su cui stendo un velo pietoso sia sulla storia che sugli attori.
Beh, questo Il Grande Sogno mi ha convinto solo a metà, sulla scia del precedente: un film sicuramente ambizioso, molto curato nella fotografia, alcune scene di grande atmosfera; però mi ha dato un senso di irresolutezza, di deja vù, come un tentativo di fare film di genere, mescolando la Meglio Gioventù e il triangolo amoroso del Bertolucci nostalgico in una colorata mistura dai colori retro, senza nessun tocco poetico, una ricostruzione più formale che sostanziale.
Ovviamente, non me ne posso ricordare, essendo all’epoca una neonata, ma qualcosa di quel periodo bello e terribile è rimasto nel decennio a venire, nell’aria di quegli anni difficili che noi bambini assorbivamo, e soprattutto in quella generazione prima della mia che è cresciuta, cambiata, ha perso i suoi sogni ed ora chissà dov’è finita: magari non è mai riuscita ad ottenere neanche un decimo degli ideali in cui credeva, o forse se ne è completamente dimenticata, di quei sogni e di quelle speranze che ora, ai nostri occhi cinici e disincantati, sembrano ingenue e fuori dalla realtà.
Sono andata a vedere il film di Placido con curiosità perché le storie di quegli anni non cessano di affascinarmi, forse proprio per la ingenuità che ci fa difetto adesso: ho amato moltissimo le due storie che mi è venuto istintivo associarvi, lo sceneggiato La meglio Gioventù, che riesce a commuovermi ogni volta, e anche The Dreamers, pur con qualche tentennamento alla prima visione. Del resto, Bertolucci mi fa sempre questo effetto: la prima volta che vedo un suo film proprio non mi piace, non lo capisco, però non mi lascia indifferente.
E allora serve una seconda o una terza visione, per capirlo appieno e per innamorarmene.
E’ successo con Io Ballo da Sola, ed è successo lo stesso con The dreamers e i suoi tenebrosi gemelli francesi.
Credo di aver già raccontato questo aneddoto da qualche parte: la platea con cui condivisi il film era, inspiegabilmente, di signore di una certa età, anche piuttosto anziane. Non essendo solitamente i film di Bertolucci delle storie da educande, la cosa era già curiosa in sé (forse non si ricordavano che il regista era quello dello scabroso Ultimo tango a Parigi, sì sì, proprio lui).
Eppure rimasero senza fiatare per tutto il film poi, dopo una scena particolarmente maliziosa, una distinta signora coi capelli bianchi commentò, ad alta voce:
“Io nel 68 c’ero, ma queste cose mica me le ricordo!”
E’ evidente che c’era, ma in una generazione sbagliata!
Comunque, inizio col dire che alcuni film di Placido come regista mi sono piaciuti moltissimo, come Un Viaggio chiamato amore,che mi ha spinto ad approfondire la vita e gli scritti di Sibilla Aleramo. A parte la bella storia, i costumi e gli ambienti ricostruiti a meraviglia, apprezzo in maniera particolare Laura Morante, in questo film in assoluto stato di grazia, brava come non mai, bella ed elegante.
Molto meno mi convinse Romanzo Criminale, come ho avuto modo di commentare abbondantemente nel post riguardante la serie omonima, per non parlare di Ovunque sei, su cui stendo un velo pietoso sia sulla storia che sugli attori.
Beh, questo Il Grande Sogno mi ha convinto solo a metà, sulla scia del precedente: un film sicuramente ambizioso, molto curato nella fotografia, alcune scene di grande atmosfera; però mi ha dato un senso di irresolutezza, di deja vù, come un tentativo di fare film di genere, mescolando la Meglio Gioventù e il triangolo amoroso del Bertolucci nostalgico in una colorata mistura dai colori retro, senza nessun tocco poetico, una ricostruzione più formale che sostanziale.
Ricorrono lungo tutto il film una serie di clichè d’epoca, già visti in tutte le pellicole che riguardano quel periodo, e che alla lunga rischiano di risultare ripetitivi: gli scontri con la polizia, i capelli lunghi e le barbe incolte, le bandiere rosse, il linguaggio politichese incomprensibile e surreale, le occupazioni, i giovani belli e maledetti, il sesso libero e spensierato, le piccole storie che si intrecciano con le grandi, il tutto con un sottofondo musicale un po’ invadente, in alcuni momenti fuori luogo.
Inoltre, più che al ‘68, in quelle scene vi ho percepito echi di avvenimenti più recenti: l’occupazione sarebbe potuta essere tranquillamente la Pantera del '90 (a quella sì che c’ero, un anno bellissimo e indimenticabile a La Sapienza); i discorsi erano gli stessi, le bandiere pure, gli aspetti vintage e un po’ sciamannati degli studenti di Lettere, l’occupazione della Biblioteca (Scamarcio no, quello non me lo ricordo, purtroppo).
Mentre le scene di carica della polizia, i manganelli e la violenza gratuita mi sono parse scene a cui di questi tempi ci stiamo dolorosamente abituando: dopo gli oscuri anni Settanta, pochi avrebbero pensato di rivederle ai nostri giorni, ma gli accadimenti di Genova sono stati un brusco risveglio anche per la mia di generazione, che non avrebbe mai pensato di vivere quell’incubo, indegno di un paese civile.
Bravi gli attori: Scamarcio, che di solito non mi dice molto, qui si rivela convincente; perfetto Luca Argentero in veste di aitante barricadero, una sorta di Che Guevara dal fascino casereccio. Come attore lo sto rivalutando sempre più, è evidente che anche i bravi critici come me ogni tanto prendono cantonate clamorose: ultimamente non sta sbagliando un film, dalla frizzante commedia Lezioni di Cioccolato, passando per il malinconico Solo un padre fino allo spumeggiante Diverso da chi.
Jasmine Trinca forse è meno brava che in altri film, anche se l'hanno premiata come Attrice emergente, mi aveva convinto più in altri ruoli.
Degli altri, è difficile dire, perchè rimangono tutti sullo sfondo, appena abbozzati, alcuni solamente nel ruolo di comparse mutangole (ma il fidanzato di lei, presente nelle prime scene, che fine fa?).
Capisco che non è facile scrivere una storia su quegli anni, col pericolo di cadere nella retorica o nel rimpianto, ma in definitiva questo film mi è parso un esercizio di stile un po’ manieristico, con personaggi dalle potenzialità interessanti ma tratteggiati in modo troppo superficiale, nonostante il regista si sia ispirato alla sua storia personale.
Forse un’ora e tre quarti sono un tempo ridotto per descrivere bene quegli anni, condensare una generazione in pochi tratti, e anche per farti amare questi ragazzi, per farteli sentire veri, vivi.
Inoltre, più che al ‘68, in quelle scene vi ho percepito echi di avvenimenti più recenti: l’occupazione sarebbe potuta essere tranquillamente la Pantera del '90 (a quella sì che c’ero, un anno bellissimo e indimenticabile a La Sapienza); i discorsi erano gli stessi, le bandiere pure, gli aspetti vintage e un po’ sciamannati degli studenti di Lettere, l’occupazione della Biblioteca (Scamarcio no, quello non me lo ricordo, purtroppo).
Mentre le scene di carica della polizia, i manganelli e la violenza gratuita mi sono parse scene a cui di questi tempi ci stiamo dolorosamente abituando: dopo gli oscuri anni Settanta, pochi avrebbero pensato di rivederle ai nostri giorni, ma gli accadimenti di Genova sono stati un brusco risveglio anche per la mia di generazione, che non avrebbe mai pensato di vivere quell’incubo, indegno di un paese civile.
Bravi gli attori: Scamarcio, che di solito non mi dice molto, qui si rivela convincente; perfetto Luca Argentero in veste di aitante barricadero, una sorta di Che Guevara dal fascino casereccio. Come attore lo sto rivalutando sempre più, è evidente che anche i bravi critici come me ogni tanto prendono cantonate clamorose: ultimamente non sta sbagliando un film, dalla frizzante commedia Lezioni di Cioccolato, passando per il malinconico Solo un padre fino allo spumeggiante Diverso da chi.
Jasmine Trinca forse è meno brava che in altri film, anche se l'hanno premiata come Attrice emergente, mi aveva convinto più in altri ruoli.
Degli altri, è difficile dire, perchè rimangono tutti sullo sfondo, appena abbozzati, alcuni solamente nel ruolo di comparse mutangole (ma il fidanzato di lei, presente nelle prime scene, che fine fa?).
Capisco che non è facile scrivere una storia su quegli anni, col pericolo di cadere nella retorica o nel rimpianto, ma in definitiva questo film mi è parso un esercizio di stile un po’ manieristico, con personaggi dalle potenzialità interessanti ma tratteggiati in modo troppo superficiale, nonostante il regista si sia ispirato alla sua storia personale.
Forse un’ora e tre quarti sono un tempo ridotto per descrivere bene quegli anni, condensare una generazione in pochi tratti, e anche per farti amare questi ragazzi, per farteli sentire veri, vivi.
Ci sono dei personaggi che ti entrano nel cuore, che ti rendono parte della storia, che ti emozionano: beh, nessuno dei tre protagonisti c’è riuscito appieno, nonostante qualche eco dell’emozione del regista si rispecchi nel personaggio interpretato da Scamarcio (che impersona lui stesso).
Forse poco scandagliati i motivi per cui portano ad essere i personaggi quello che sono, a motivare le scelte che fanno, che li portano a scegliere da che parte stare. Forse il taglio documentaristico, con molte scene di genere e troppe figure di contorno veramente evanescenti, se non silenti del tutto, rendono ancora più difficile essere toccati da questa storia, che poteva essere approfondita in altra maniera, da altre angolazioni.
Non basta ricreare scene di cariche, manganelli, slogan politici e liberazione sessuale per trasmettere la magia e l'orrore di quegli accadimenti, magari bisognava pescare un po' più in profondità per trasmettere a noi, che di quegli avvenimenti ne abbiamo solo sentito parlare, tutta l'emozione e la paura di chi c'era, di chi quelle emozioni le ha provate sulla propria pelle.
Insomma, una sufficienza appena, per un regista da cui ci saremmo aspettati un po’ di più, soprattutto per la grande professionalità e il coinvolgimento personale nella sceneggiatura.
Non basta ricreare scene di cariche, manganelli, slogan politici e liberazione sessuale per trasmettere la magia e l'orrore di quegli accadimenti, magari bisognava pescare un po' più in profondità per trasmettere a noi, che di quegli avvenimenti ne abbiamo solo sentito parlare, tutta l'emozione e la paura di chi c'era, di chi quelle emozioni le ha provate sulla propria pelle.
Insomma, una sufficienza appena, per un regista da cui ci saremmo aspettati un po’ di più, soprattutto per la grande professionalità e il coinvolgimento personale nella sceneggiatura.
Analisi puntuale come al solito. Certo che non dev' essere facile parlare del '68 in maniera non scontata. Però un bel film si vede proprio da questo, cioè dall'impronta personale che riesce a mettere in un tema trattato anche da molti altri.
RispondiEliminagrazie mille per i consigli sui libri!!sei stata molto gentile!!
RispondiEliminaqst post è bellissimo!!!un'analisi critica davvero ben fatta!!molto interessante!!!
grazieeee!!
a presto
Io il '68 l'ho quasi vissuto (avevo 11 anni!!), ma ti posso assicurare che anche gli anni che son seguiti gino a tutti gli anni 70 sono stati intensi, emozionanti e trasgressivi, e io nel pieno della mia adolescenza le ho vissute in pieno queste fortissime emozioni. Quindi posso dire 'meno male che c'ero'. Molto interessante il tuo post. Grazie dei consigli. Appena lo vedo ci confrontiamo
RispondiEliminaCiao
Anna
p.s. il diametro per la ciambella è di cm.23 ed è la teglia con cerniera.
Avevo 18 anni nel '68! e l'ho vissuto in pieno, ne sono stato travolto, è stata una "stagione" intensa, bellissima, e anche drammatica. E sentirne parlare così, da te Geillis, che sei nata in quell'anno, e che sei riuscita a coglierne l'influsso, mi emoziona. Ciò vuol dire che in fondo non è stato solo "un grande sogno", ma che qualcosa è rimasto, per sempre.
RispondiElimina@ Mario: ho sentito i racconti di chi aveva la tua età, in quell'anno, e l'emozione che trasmetteva era la stessa...per fortuna la mia generazione era quella subito dopo, e qualcosa è passato
RispondiElimina:-)
Io penso che di quel decenio sia rimasto moltissimo, il mondo sarebbe andato da tutta un'altra parte, per fortuna che c'è stata quella generazione di sognatori, altrimenti...
@ Ivy: infatti mi aspettavo qualcosa di più personale, di più sentito...non dico che sia un brutto film, però...
RispondiEliminaChiara: è bello scambiarsi anche consigli di libri, oltre che di cucina, no?
@ Anna: hai ragione, anch'io sono fortunata ad aver vissuto gli anni Settanta, sebbene fossi piccola me li ricordo benissimo...ma che ricordi avranno questi ragazzi?
Grazie Geillis, non sai quanto mi fanno piacere e mi confortano le tue parole, perchè è ormai consuetudine dare dei quel periodo una versione negativa, come se fosse la fonte di tutti i mali, causa ed origine degli "anni di piombo", ma chi ha vissuto intensamente allora sa che non è così. Abbiamo respirato e sognano una società più libera e abbiamo cercato di infonderla nei nostri figli e nelle generazioni successive. Io sono orgoglioso di averlo vissuto.
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