
Avete comincianciato a pensare ai bagagli, ad organizzare i dettagli, a fare la lista delle cose da mettere in valigia?
Lo ammetto, sono una di quelli che compila liste, abbinamenti, si organizza le giornate in vista della partenza, compra guide e progetta itinerari: è un modo di pregustarsi la vacanza, di assaporarla in anticipo.
La nostra partenza il 26 di luglio per quel del Trentino, anche se per pochi giorni, comporta comunque uno spostamento consistente, nell'ordine, di: bagagli ( in montagna non si può lesinare, meglio un maglione in più che in meno, tanto comunque si va in macchina); gatti con gabbietta personale e buste di scatolame e croccantini da sfamare un reggimento: staranno via un mese, piccolini, e allora si fa un approvvigionamento consono, a loro e in parte anche ai gatti ospitanti, i quali saranno sicuramente contentissimi, come ogni anno, di veder arrivare i loro cuginetti romani ad invadere il territorio. Per tutti loro sarà sicuramente una vacanza mooolto avventurosa e assai poco rilassante.
Quest'anno, poi, avendo curato in maniera particolare i miei davanzali, ho deciso che non posso lasciar morire miseramente le mie verbene e le mie piantine, come gli altri anni: per quanto ci si attrezzi, il sole impietoso del giorno me ne farebbe ritrovare solo gli scheletri rattrappiti, così anche loro partiranno per il fresco.
Insomma, alla fine la nostra macchinetti assomiglierà a quella della famiglia Brambilla in vacanza.
A questo proposito, la mia famiglia non è certo nuova a questo tipo di imprese, abbiamo fatto ben di peggio. Quand'ero piccola, avevamo una piccola 126, prima color verde oliva, poi una color arancione.
Con questo trabiccolo di latta siamo andati in vacanza, era il 1977, fin nella lontana Tarquinia o almeno, a noi ci parve lontanissima, visto che ci mettemmo qualche ora prima di arrivare, stremati, nella nota località balneare.
Siccome dovevamo stare via due mesi, avevamo caricato la Carolina (la 126) fino all'inverosimile: l'addetto allo stivaggio era mio padre il quale, con qualche ora di accorti incastri -bisognava alzarsi all'alba per questo - riusciva a stipare l'angusto abitacolo fino all'ultimo millimetro.
Mi ricordo benissimo di essere stata infilata a forza, tra un bagaglio e l'altro, in uno spazietto minuscolo sul sedile posteriore, con i pacchi anche sotto i piedi, dietro la testa e sulle gambe, e accanto alla gabbia dei bengalini cinguettanti che, ovviamente, portavamo con noi.
Mamma ancora si ricorda che, a forza di infilare roba dappertutto, papà le aveva lasciato a malapena lo spazio per i pedali (ha sempre guidato lei).
Ma il capolavoro veniva raggiunto con il portapacchi sopra il tetto della macchina: tra valigie e altri ammenicoli tutti legati da un intrico di elastici e corde, la piccola 126 era diventata più alta che lunga, rischiando di caracollare e finire fuori strada ad ogni curva e ad ogni alito di vento.
Mi spiace di non avere fotografie di quelle partenze, potevamo finire nel guinnes dei Primati...



Questo periodo, l'ho già detto, sono in un periodo un po' irrisolto, di transizione: oscillo tra progetti e pigrizia, ci sono dei giorni in cui giro, vedo, faccio, incontro gente, e altri in cui galleggio in una pigrizia sognante, incerta sul da farsi.
Così anche in cucina: certi giorni cucino, impasto e spadello a tutto spiano, altri vivrei di pane e latte, al minimo della sopravvivenza.
Però, qualche biscottino mi diverto ad infornarlo, nonostante la temperatura non invogli proprio ma, insomma, ancora si resiste.
In realtà, nelle loro intenzioni, questi
sarebbero dovuti essere degli
scones: li avevo visto sul blog del
Cavoletto, e mi avevano tentato parecchio solo che, per non scopiazzare pedissequamente, avevo trovato una ricetta simile su
questo sito.
Una volta preparati tutti gli ingredienti, forno già acceso, burro morbido e spianatoia pronta, mi sono resa conto con mio sommo raccapriccio che, di tutti i barattoli di farina che riempiono la mia credenza (di mais, di semola di grano duro, 0 normale, Manitoba, semolino etc…), l’unica che mi mancava era proprio la normalissima 00.
Allora ho fatto un pastrocchio dei miei, assemblando la farina di mais Fioretto (quella a grana grossa) con la Manitoba, sperando che venisse fuori qualche di almeno commestibile.
Sicuramente non hanno molto degli scones anche perché, forse, dovevo stender l’impasto ancora più alto: sono cresciuti ma non molto, probabilmente anche perché la farina di mais cresce poco, e la Manitoba è più indicata per il lievito di birra.
Comunque, alla fine, si sono fatti mangiare: sono dei dolcetti morbidi, friabili, non troppo dolci, ottimi soprattutto per colazione nel caffellatte, magari con della marmellata fatta in casa.
E allora, per una teglia grossa:
100 grammi farina di mais fioretto (oppure fumetto)
30 grammi farina 00
120 grammi farina Manitoba
50 grammi di zucchero
50 grammi di burro
125 grammi uvetta
Una presa di sale
Una bustina di lievito
2/3 bicchiere di latte
Poco latte e zucchero a velo
Mescolare, in una ciotola capiente, le farine, il lievito, lo zucchero e il sale.
Cominciare ad intridere il burro morbido, con una forchetta, quindi aggiungere il latte, fino a formare un impasto molliccio.
Aggiungere l‘uvetta, quindi versare sulla spianatoia infarinata (forse dovete aggiungere un po’ di farina, in maniera da avere una pasta non troppo appiccicosa, ma comunque morbida).
Stendere in uno strato alto circa 3 centimetri e cominciare a tagliare i biscotti con una formina piccola, tonda (io ho usato un piccolo bicchiere da liquore, perché una forma semplicemente tonda non ce l’ho, e quelle tipo stella, petalo, quadrifoglio o cuore non vanno bene, la pasta è troppo molle).
Mettere i biscotti sulla teglia coperta di carta forno, facendo attenzione a non metterli troppo vicini perché ricrescono. Spennellarli con un goccio di latte e spolverarli di zucchero a velo.
Nel forno caldo a 200 gradi, terzo ripiano dal basso, con una leccarda al piano di sotto, per circa 20 minuti.


