Gli ultimi post sono stati quasi tutti di ricette e dolci, ho un po’ tralasciato sia Parigi che altri argomenti, ma insomma, la mia vita mica è fatta solo di quello!
Per cui, riprendo con qualche piacevole passeggiata, stavolta non per Parigi (di cui ancora ho tanto da dire, peraltro) ma per
Roma, continuando sulla scia del Post su Porta Portese: voglio far conoscere un po’ meglio, a chi non è di queste parti, quel meraviglioso quartiere che è
Trastevere. Ovviamente non voglio fare la guida tustistica, per quello potete comprarvi quella del Touring che sicuramente è più completa e dettagliata. E’ ovvio che, avendoci abitato per quasi trent’anni, ogni angolo, piazza, negozio è legato a dei ricordi, degli aneddoti, e non potrò evitare di raccontarveli, mi spiace.
Chi è di Roma conosce principalmente
Trastevere perché è pieno di pizzerie e locali, ed è un peccato, perché Trastevere è molto di più.
Innanzi tutto, è il
mio quartiere, e questo già basterebbe. Inoltre, è un luogo pieno di storia, misconosciuta ai più, soprattutto a quelli che lo animano di notte, e sono completamente all’oscuro della sua lontana origine e delle trasformazioni che ha subito nell’arco di quasi duemila anni di storia.
Solo un paio di accenni alla storia del rione, che nasce in epoca romana come quartiere periferico e commerciale (Trans Tiberim), abitato prevalentemente da immigrati di origini orientali: di questo passato rimane ben poco, tranne i resti della VII coorte dei Vigiles, su Viale Trastevere e una latrina romana sul Gianicolo (l’ho letto su un libro, ma non so dov’è, sorry, ma se vi interessa mi informo).
Nei primi secoli dopo Cristo vi sorsero alcune importanti chiese, come Santa Maria in Trastevere (che è l’argomento del post), San Crisogono e S. Cecilia, splendidi esempi di architettura romanica. Per tutto il Medioevo vi fu una fiorente comunità ebraica, che poco più tardi si trasferì dall’altra parte del Tevere, a poca distanza, in quello che ancora adesso viene chiamato il Ghetto, e in cui gli ebrei furono segregati fino alla presa di Porta Pia.
Di epoca medievale non rimane quasi nulla, tranne qualche sporadico resto, difficile da individuare, incastonato perfettamente nell’ impianto secentesco del rione, caratterizzato da vicoli stretti, palazzi di pochi piani, strade selciate piuttosto sconnesse, cantine, vecchie stalle, abitazioni con finestre piccole e soffitti molto alti. Tutta la zona, però, fu pesantemente rimaneggiata alla fine dell’Ottocento, interventi devastanti che stravolsero tutto l’assetto urbanistico del quartiere, a partire dallo sventramento per la costruzione del Viale del re, oggi Viale Trastevere, una lunga strada stile boulevard che dal fiume arrivava fino alla nuova Stazione ferroviaria di Trastevere.
Questo taglio ha diviso in due il quartiere, dando il via ad una serie di trasformazioni che ne hanno alterato profondamente sia la topografia che l’ampiezza, ed infatti molte delle parti che noi consideriamo tipiche, come la salita al Gianicolo (Via Goffredo Mameli, via Enrico Dandolo ), Piazza San Cosimato, il quartiere Mastai, risalgono solo alla fine dell’Ottocento: anche lo stile dei palazzi è piuttosto diverso, uniformandosi allo stile che i piemontesi portarono a Roma per la costruzione dei grandi assi di scorrimento della città (Corso Vittorio, Corso Rinascimento, Via Nazionale etc…)
Tutta la parte verso il Gianicolo, invece, ebbe sempre un carattere campestre, suburbano, con grandi ville e giardini fin dall’età Romana. Questa tradizione continuerà anche in epoche più recenti con la costruzione , in epoca rinascimentale, della Farnesina e di Villa Corsini. Tutt’ora vi è collocato l’Orto Botanico e l’ottocentesca Passeggiata del Gianicolo, da cui si gode un bel panorama della città (sorvoliamo sul fatto che in questa zona la sera ci sono macchine parcheggiate un po’ ovunque, e non per ammirare il panorama).
Diciamo, comunque che, della Trastevere che poteva vedere Ettore Roesler Franz, e che ha ritratto nei suoi celebri acquerelli della Roma Sparita, noi possiamo ammirare una minima parte, purtroppo. Ma le trasformazioni di Trastevere non si limitano alla topografia e la toponomastica.
Fin dall’antichità, questa zona non ebbe mai un carattere residenziale, di lusso, anzi: il suo carattere schiettamente popolare rimase una caratteristica del quartiere fino a tempi recenti, diciamo fino alla fine degli anni Settanta: la tipologia del trasteverino è andata radicalmente trasformandosi solo da trent’anni a questa parte.
Ancora negli anni Settanta, l’aggettivo trasteverino non era proprio un complimento, i veri trasteverini essendo popolani dal dialetto spinto e modi piuttosto rozzi (e lo dico con cognizione di causa, visto che ero bambina, in quegli anni, e me lo ricordo bene). Bande di ragazzini imperversavano per i vicoli, giocando a palla, a campana e ad elastico per strada (mia madre non voleva che rimanessi tutto il giorno per strada con loro, che mi mescolassi alla plebe, ma era l’unico modo di giocare, essendo da noi i giardini e i parchi non proprio vicinissimi).
A partire dagli anni Novanta, i veri trasteverini cominciarono a lasciare il rione per trasferirsi altrove, lasciando posto ad un nuovo genere di abitanti, quasi sempre alta e media borghesia, professionisti, commercianti, e i prezzi delle case cominciarono a salire, le vecchie botteghe a chiudere, e proliferarono pizzerie e locali.
Oggigiorno, il quartiere popolare e verace di allora si è trasformato in un’immensa sala gioco, in cui nuovi locali di tendenza spuntano come funghi (una mia amica sostiene che c’è addirittura un locale di scambisti vicino al convento dove ho fatto le scuole, vorrei sapere come l’ha saputo). Aggirarsi per i vicoli di Trastevere la sera è come immergersi in un girone infernale, l’intero quartiere è invaso da una folla sporca, rumorosa e invadente, fino a tarda notte.
In tutto questo, nonostante l’invasione di turisti e nottambuli, le bellezze architettoniche della zona, a parte qualche recente intervento di restauro (Piazza San Cosimato, ad esempio), sono state trascurate in maniera vergognosa: invece di pulirlo e lustrarlo come un gioiello, l’intero rione è praticamente abbandonato a sé stesso, con palazzi fatiscenti dalle facciate scrostate, muri cosparsi di scritte e macchine parcheggiate creativamente ovunque, per non parlare dell’invasione serale di venditori ambulanti, stile suk del Cairo.
Non voglio sembrare una vecchia brontolona ma, per me che ricordo quegli anni, la volgarizzazione progressiva del quartiere è veramente una profanazione! Insomma, lasciatemi brontolare un po’, sguazzando nella visione idilliaca della mia Trastevere…
Tutto questo lungo e nostalgico preambolo, per cominciare il nostro giro turistico (che durerà un bel po’, purtroppo per voi) alla scoperta degli angolini più nascosti di questa bellissimo e fatiscente rione.
E allora cominciamo dalla perla del quartiere, Piazza Santa Maria in Trastevere e l’omonima Chiesa, la prima basilica sorta a Roma, nel IV secolo dopo Cristo.
A questa piazza sono personalmente affezionatissima: abitando da queste parti, ci sono transitata mediamente almeno due volte al giorno per circa undici anni in direzione Via della Lungaretta (andavo a scuola al Convento di Santa Rufina, dai tre ai quattrodici anni), e in seguito in direzione Via Giulia, Liceo Virgilio, per i successivi cinque.
La fontana al centro della piazza sembra risalga addirittura all’epoca di Augusto (non in questa posizione, però), fu rifatta a varie riprese, ma l’impianto attuale è della fine del Seicento; pesantemente restaurata nell’Ottocento, è formata da una vasca ottogonale con conchiglie, su progetto dell’architetto Carlo Fontana.
Se fosse piena sarebbe anche più bella, ma non si può avere tutto dalla vita.
Questa bella fontana è stata più volte considerata
degna di fare da sfondo ai miei ritratti, come si può vedere dalle varie foto scattate da mio padre con la
6 per 6 (se poi avesse azzeccato le inquadrature, le foto sarebbero state anche più belle).
Oggigiorno la piazza non ha perso nulla del suo fascino.
Evitando come la peste la folla delirante che l’invade la sera, il giorno (e soprattutto la mattina) è ancora bella e quasi deserta com’era quando, con la cartella in spalla, mi trascinavo verso le mie sudate carte.
L’impianto della piazza risale al Seicento ma conobbe numerosi interventi di restauro fino al Novecento: questo imponente palazzo è denominato di San Calisto (dalla Chiesetta posteriore a cui è appoggiato, invisibile dalla piazza), quello in fondo, dipinto di un improbabile color celestino, è il cinquecentesco Palazzo Leopardi, restaurato in anni recentissimi.
Io, infatti, me lo ricordo fatiscente e scrostato, ma decisamente di un altro colore…
A questo bel palazzo sono legati alcuni ricordi particolari dei miei anni alle elementari. Alla sinistra del portone, infatti, vi era aperta una botteguccia di fiori e piante, davanti alla quale io e la mamma passavamo ogni mattina per andare a scuola (per la cronaca eravamo sempre in ritardo perché, essendo io una gran dormigliona, mi ci doveva trascinare a forza, a scuola). Spessissimo ci fermavamo dalla fioraia per comprare un mazzo di anemoni e fresie, di garofani giapponesi, oppure una piantina fiorita, da portare alla mia maestra, suor Consilia.
E’ evidente che allora i fiori non dovevano avere i prezzi esorbitanti che hanno oggi, altrimenti saremmo andati in fallimento. Ancora oggi, quando vedo un mazzo di anemoni e fresie, mi ricordo di quella signora e dell’odore umido di quella bottega un po’ spoglia, coi soffitti alti e le pareti imbiancate a calce.
In seconda elementare ebbi come compagna di banco una bambina di nome Donatella, che abitava proprio in questo palazzo: non perché fosse ricca, ma perché all’epoca era un
brefotrofio, proprio così. Non sto parlando dell’epoca di Oliver Twist, ma del 1976: era un orfanotrofio gestito da suore, anche se Donatella non era orfana. Venne parcheggiata lì, credo su sentenza del tribunale, perché i genitori erano separati e stavano divorziando: a scuola questa notizia veniva sussurrata sottovoce, essendo ritenuto piuttosto infamante essere figli di separati, quasi un segreto da custodire con vergogna. Donatella ci rimase pochi mesi, tanto che l’anno dopo cambiò scuola e non ne seppi più nulla, ma col senno di adesso mi pare impossibile che
nell’anno del Signore 1976 ancora fossimo così arretrati.
In ogni caso, come in un libro lacrimoso di orfani abbandonati, le suore che avevano in gestione il convento erano piuttosto terribili, e il posto alquanto triste (almeno questi erano i racconti della mia amica). Ovviamente un brefotrofio non può essere un posto allegro, ma chissà come se lo viveva la poverina…una cosa che ancora mi rimane profondamente impressa è la sua merenda, consistente in due tristissime fette biscottate con un sputo di nutella sopra, veramente un’ombra.
A casa mia, invece, mia madre sfornava fior di crostate delle dimensioni di una ruota di carretto, e io mi portavo per merenda fette enormi grondanti marmellata e pezzi di ciambelloni morbidi e profumati avvolti nella stagnola (infatti i risultati si notano a tutt’oggi). Avendo io raccontato a casa delle tristi merende della mia amica, mia madre provvedeva a mandare anche per lei una fetta di dolce.
La fondazione risale addirittura al IV secolo dopo Cristo, sul luogo dove, narra la leggenda, si ebbe nel 38 avanti Cristo una prodigiosa eruzione di olio dal terreno(forse petrolio).
La basilica conobbe numerosi a sostanziali cambiamenti nell’VII, XI, XII e XIII secolo, nonché nel Seicento, Settecento, Ottocento e poi nel Novecento, uno allora ci si chiede cosa ci sia rimasto di originale, soprattutto dopo i pesanti interventi del Vespignani nell'Ottocento. Ma forse la sua bellezza sta proprio nella mescolanza di periodi e materiali...
Diciamo subito che della facciata sono del XIII secolo i mosaici della madonna e le Vergini, il campanile è romanico, mentre il portico è del 1702, ad opera dello stesso architetto della fontana.