E' più di un mese che sono lontana da questo blog, ho
lasciato anche scorrere il quinto blogcompleanno senza scrivere neanche una
parola, anche se cinque anni e così tanti lettori che mi seguono sono un
traguardo importante, che non avrei mai pensato di raggiungere quando ho
iniziato, un sabato pomeriggio, quasi per caso.
Ci sono stati dei motivi per cui non ho avuto il tempo, la
forza e anche la voglia di aggiornare queste pagine, motivi faticosi e gravidi
di preoccupazioni che hanno avvelenato questi ultimi mesi, come forse avrete
potuto notare dai miei pochi post.
Per fortuna questa volta non si tratta né di salute né di
perdite dolorose, però anche il lavoro fa parte della vita, nel bene o nel male
e, per quanto non lo abbia mai amato, non essendo certo la realizzazione dei miei sogni, ritrovarsi assieme a tanti colleghi in cassa integrazione e dover
scegliere, in poche ore, se firmare un nuovo contratto al buio oppure se
scegliere l'incentivo all'esodo e pensare a nuove strade, insomma, questo non
lo avrebbe mai pensato nessuno.
Sì, sono ufficialmente entrata, e con me centinaia di
persone che lavoravano nella stessa catena alberghiera, nelle statistiche della
cassa integrazione e dei licenziamenti.
Come ripeto, non è mai stato il lavoro della mia vita. Il
percorso di studi che gioiosamente ho portato avanti tanti anni fa è stato
splendido dal punto di vista formativo, ma anche mentre finivo la tesi avevo
ben chiaro che una laurea in Archeologia non mi avrebbe portato da nessuna
parte, soprattutto non avendo la possibilità di rimanere all'Università a
cercare borse di studio e dottorati di ricerca, e così anche l'abilitazione
all'insegnamento in una materia tanto bella quanto poco considerata come Storia
dell'Arte è stata utilissima per la mia cultura personale e basta.
Ho chiuso un capitolo senza troppi rimpianti, forse
rinunciando ai miei sogni troppo in fretta, e mi sono rimboccata le maniche, cercando
faticosamente una strada che inaspettatamente si è aperta in un albergo in cui
sono rimasta ben dodici anni: un lavoro part-time vicino casa, non amato ma che
mi ha permesso di lavorare ed insieme mantenere vivi i miei interessi e le mie
passioni nel resto nel tanto tempo che mi rimaneva, un compromesso accettabile
tra le mie aspirazioni e la dura realtà.
Nonostante tutto ho sempre preso molto sul serio il mio lavoro, non lesinando fatica, alzatacce, giornate lavorative infinite, week end e feste sempre impegnate, sempre crescendo professionalmente e accumulando esperienze preziose, in un percorso che pensavo in crescita e, spesso, accettando faticosi compromessi di orario, di giorni, di mansioni, una flessibilità assoluta che speravo prima o poi sarebbe stata ripagata.
Nonostante tutto ho sempre preso molto sul serio il mio lavoro, non lesinando fatica, alzatacce, giornate lavorative infinite, week end e feste sempre impegnate, sempre crescendo professionalmente e accumulando esperienze preziose, in un percorso che pensavo in crescita e, spesso, accettando faticosi compromessi di orario, di giorni, di mansioni, una flessibilità assoluta che speravo prima o poi sarebbe stata ripagata.
Da alcuni mesi avevamo capito che le cose non andavano bene,
una aria di crisi che avvelenava le nostre giornate, una situazione di precarietà e incertezza sul nostro destino che ci ha fatto lavorare davvero con il fiato sospeso, in attesa di sapere che oscuro futuro ci attendeva, presto o tardi. Nel frattempo le cose cambiavano rapidamente, i turni si facevano sempre più pesanti, persone con cui ho lavorato per anni sono improvvisamente state rimpiazzate da nuove, con tutto quello che comporta un via vai di personale che devi formare e che magari sparisce il giorno dopo.
Quando è successo, quando le cose sono precipitate e non
sono neanche riuscita a salutare dei colleghi, in cassa integrazione da un
giorno all'altro, quando si sono fatte chiare le condizioni a cui dovevamo
sottostare per continuare a lavorare, la decisione è stata sofferta, ma in
fondo liberatoria.
Quello che mi, ci ha fatto più male, non è stata tanto la
fine, che ho salutato quasi con sollievo, quanto capire quanto sia stato
inutile il mio, e anche l'altrui, impegno in tutti questi anni. Da un giorno
all'altro ci siamo ritrovati fuori dalla porta, e non solo metaforicamente, un
giorno lavori in un posto e il giorno dopo non ci lavori più, uno scenario
impensabile fino a poco tempo fa per chi, come me, lavora in una multinazionale
con contratto a tempo indeterminato.
Me ne sono andata in una piovosa e umida giornata autunnale, sotto la pioggia battente, con una borsa in cui ho messo le poche cose dell'armadietto che ho occupato per tanti anni, un po' come quelle scene che si vedono in tv, gli impiegati che svuotano la loro scrivania e si portano via lo scatolone, come se portarsi via quelle quattro cose ti facesse sparire per sempre dalla vita degli altri, come se non fossi mai esistita.
Me ne sono andata in una piovosa e umida giornata autunnale, sotto la pioggia battente, con una borsa in cui ho messo le poche cose dell'armadietto che ho occupato per tanti anni, un po' come quelle scene che si vedono in tv, gli impiegati che svuotano la loro scrivania e si portano via lo scatolone, come se portarsi via quelle quattro cose ti facesse sparire per sempre dalla vita degli altri, come se non fossi mai esistita.
E tutto questo mi ha portato a fare tante riflessioni, con
le mie amiche che proprio in questi
giorni si trovano nelle stesse condizioni, anche se in altri ambiti lavorativi,
e cioè che i lavoratori stanno sempre più diventando forza-lavoro, risorse
umane quantificabili in produttività, non persone che hanno accumulato
esperienza preziosa, competenze personali e preparazione; non importa quanto
sei bravo, quanto sei indispensabile, sei solo una rotella di un ingranaggio
che si può sostituire in qualsiasi momento, visto che il lavoro si quantifica
in produttività ed efficienza, quantità di lavoro che puoi svolgere in quel
lasso di tempo, e non qualità,
professionalità e impegno, cose che dovrebbero qualificarci e fare la
differenza, e tutto questo mi pare molto
triste, addirittura avvilente.
Sarà che non riesco a non prendere assolutamente sul serio
quello che faccio, anche se non mi piace e in un ambiente con persone con cui ho sempre avuto poco o nulla in comune, e guardando indietro mi chiedo se
avrei messo tutto l'impegno e la dedizione in questo lavoro, se avrei accettato
di rimanere dieci o dodici ore a cercare di parare le emergenze, a preoccuparmi
di portare a termine al meglio tutti i
miei compiti, sconfinando spesso ben oltre le mie mansioni e le mie
responsabilità, pur di uscire da quel posto stanca, con la testa fusa ma con la
consolante sensazione di aver fatto il proprio dovere, di aver fatto del mio
meglio e anche di più. Non so, conoscendomi come mi conosco, probabilmente
avrei fatto lo stesso, però forse me la
sarei presa di meno, evitandomi ad agosto un intero mese di insonnia in cui riuscivo a malapena a
dormire un paio di ore a notte, sommersa dalla preoccupazione e dalle
responsabilità di un lavoro in piena emergenza.
Ormai è andata. Sono i primi giorni, e ancora non mi
capacito di avere tutto il tempo del mondo, di non dover uscire alle sei di
mattina con l'allettante prospettiva di tornare col buio. Da un lato è come se
mi sentissi di nuovo libera, con i miei sabati e domeniche finalmente a mia
disposizione, senza dover rifiutare impegni ed inviti a causa delle alzatacce
domenicali; mentre dall'altro lato immagino, dopo questa consolante sensazione
di rilassamento, come sarà il prossimo anno, quando avrò finito cassa
integrazione ed indennità varie, e dovrò rituffarmi nella giungla della ricerca
del lavoro, da cui sono lontana da ben quindici anni e che mi riempie di
inquietudine.
Devo prendere le cose con calma, riempirmi le giornate
altrimenti vuote (conoscendomi, questo non sarà un grande problema), abituarmi
a tempi dilatati e solitari, senza farmi prendere dall'inquietudine ma neanche
dalla pigrizia, devo riuscire a trovare una luce in fondo al tunnel oscuro che
ho attraversato in questi ultimi, faticosi mesi, come un raggio di sole dopo un
uragano devastante. Come primo proposito, sicuramente tornerò più spesso a queste
pagine, per rianimare un blog moribondo che, invece, non ho assolutamente
intenzione di lasciar morire.
Un saluto a tutti i miei pellegrini che ancora mi sono
vicini, a presto
Non ho alcun dubbio Geillis, troverai la tua luce in fondo al tunnel. Il perchè si capisce anche solo leggendo questo post.
RispondiEliminaSei forte, e le persone forti ce la fanno sempre. Ricordatelo.
E ricordati anche quella frase di Shakespeare che dice "Succeda quel che succeda, i giorni brutti passano, esattamente come tutti gli altri." Io ogni tanto me la ripeto, solo per farmi forza. Aiuta.
Un abbraccio grandissimo.
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaCoraggio Laura intanto approfittadella 5tua libertà ritrovata,la vita va presa giorno per giorno come viene.sei in gamba vedrai i cambiamenti spaventano ,ma a volte ci fanno migliorare è crescere.ti sono vicina ciao Maria Grazia
RispondiEliminaLaura, nella sua amarezza questo è un bellissimo post... sinceramente non trovo tante parole per commentare, dici cose estremamente vere e dure. Ti faccio un grosso in bocca al lupo perchè tutto si sistemi... io sono del parere che, nonostante tutte le burrasche della vita, se una persona è in gamba (come tu dimostri di essere da quello che scrivi), presto o tardi la sua strada la ri-trova. Un abbraccio
RispondiEliminaCara Laura,
RispondiEliminaun abbraccio sarebbe riduttivo in questa circostanza. E' un momento difficile e carico di tante cose: prospettive, pause, silenzi, ma io spero anche di tanta voglia di esserci, comunque. Potrei dire "ti capisco", "ci sono passata" ma ognuno vive a modo suo questi momenti di passaggio. So che tornerà il sole, ma devi lavorarci. Dentro di te e intorno a te. Dentro la pagina di un blog, dentro un momento solo tuo, dentro la condivisione. Cosa voglia dire in termini pratici non è quantificabile. La pratica è qualcosa che si costruisce nei giorni e che in giorni come questi richiede anche molta riflessione e tanta, moltissima fiducia in se stessi.
Le tue parole mi hanno colpita, forse perché ho vissuto qualcosa di simile, forse perché una parte di me ancora la sta vivendo. Il mio abbraccio virtuale vuole essere quindi un modo per dirti che la strada non si arresta e che c'è ancora tanto da dire, fare, cucinare, condividere, scoprire.
Un abbraccio grande
Giulia
a presto cara amica e nuova buona vita, perchè questo essenzialmente è...un abbraccio
RispondiEliminaCosa dire se non che tutto questo è ingiusto! Ho letto questo tuo post con l'amarezza nel cuore...
RispondiEliminaPerò mi hanno detto spesso che, quando si chiude una porta si apre un portone, io ti auguro che sia veramente così, anzi, sono sicura che così sarà, che andrà tutto bene!
Intanto fai tesoro di questa pausa, riposati e riprenditi dalla bufera di questi mesi.
Un abbraccio grande, a presto.
Cara Laura, leggo sempre il tuo blog in cui sono incappata qualche anno fa per caso cercando una ricetta di marmellate...
RispondiEliminaTi capisco, anche a me è successa la stessa identica cosa qualche mese fa: all'inizio è sconcertante e triste perchè capisci che il tuo lavoro non viene ritenuto di valore. Ma poi si aprono nuove strade, non temere!
Un abbraccio e coraggio!!
Anch'io sono convinta che ce la farai. Che saprai fare di queste giornate in apparenza "vuote", il terreno su cui poggiare il tuo futuro. L'amarezza lascerà il posto a nuove soddisfazioni :) Ti abbraccio forte!
RispondiEliminaCome ti capisco, condivido in piena le tue riflessioni avendo vissuto molte esperienze simili, io sono della generazione dei contratti a termine, di quelli con la promessa che se farai il tuo ed anche di più verrai sicuramente assunta, ma poi... ci si scontra con una realtà diversa; hai fatto di tutto, ti sei aggrappata alla speranza di fermarti in un posto e poi devi salutare tutti.
RispondiEliminaGrazie a tutte per le belle parole e gli incoraggiamenti!
RispondiElimina@Valentina: non riesco a lasciare commenti nel tuo blog, mi si incanta la pagina!