I miei viandanti

domenica 28 novembre 2010

Primi sentori di atmosfere natalizie



Niente ricetta, oggi. E non perchè non ne abbia in archivio, anzi, alcune rischiano anche di fare la muffa, se non mi decido a pubblicarle.

Semplicemente un po' di chiacchiere in libertà, come ho fatto poco, negli ultimi tempi, quasi fossi presa dal timore di non riuscire sempre a fare post interessanti, con foto perfette, ricette accattivanti. Alcune volte si ha solo voglia di chiacchierare senza pretese, senza dover essere a tutti i costi il massimo dell'intelligenza o della professionalità. Mi rendo conto di aver perso un pizzico dell'ingenuità dei primi tempi, in cui scrivevo spessissimo e di tutto un po', senza pormi troppi problemi di gradimento, visite, commenti e tutto il resto. Forse è per questo che sto scrivendo sempre di meno?
Mah, chissà...

A Roma, in questi giorni, comincia a respirarsi una timida atmosfera natalizia, a dispetto della pioggia incessante che rende le strade un pantano e le giornate grigie, sempre lievemente spente.
I negozi stanno addobbando le vetrine con decorazioni scintillanti, ghirlande e luminarie, quest'anno in leggero ritardo rispetto all'anno passato quando, già il 2 novembre, sembrava già tutto pronto per il Natale, mentre invece ancora mancavano due mesi e non faceva per niente freddo.

Quest'anno hanno avuto la decenza di aspettare un po', anche se non mi sembra ci sia in giro ancora grande sfarzo, nè la fila fuori dai negozi. Addirittura nei supermercati, al posto delle montagne di panettoni e pandori degli anni passati, di tutte le forme e farciture, stanno in attesa quantità moderate di scatole, forse in virtù del fatto che lo scorso Natale abbiamo mangiato dolci natalizi in supersconto fino a Pasqua.

Beh, la cosa in fondo neanche mi dispiace. Negli ultimi anni ha cominciato a darmi veramente sui nervi questa atmosfera natalizia un po' indotta, finta: non so, sarà che fino ad una certa età il Natale ha una magia tutta sua, che va oltre il fenomeno commerciale, più come un rito che si ripete ogni anno uguale, rassicurante. Piccole tradizioni che si tramandano in famiglia: il solito vecchio albero ogni anno più spoglio, le statuine del presepe di almeno due generazioni, magari sempre più acciaccate e ogni anno con qualche pezzo di meno ma a cui in fondo si è affezionati, neanche fossero parenti stretti o amici che si rincontrano ogni dicembre, le palle di vetro soffiato che pure loro diminuiscono sempre di più, i piatti che si mangiano tutte le Vigilie, il dolce del pomeriggio del 25 e così via.

Poi le cose cambiano, le famiglie si sfilacciano, se ne perde magari qualche pezzo, la vita stressante di tutti i giorni rende stancanti anche i giorni di festa, la corsa al regalo sempre più affannosa: sembra quasi che si perda la gioia di stare insieme (che dovrebbe essere il vero scopo del Natale), che per la fatica di incastrare lavoro, parenti, regali e giorni di festa alla fine se ne esca fuori solo stanchi e con lo stomaco duramente provato.

Potrebbe sembrare, dalle mie parole, che io non ami il Natale, ma non è assolutamente così. Forse ho solo nostalgia del tempo in cui il 23 dicembre si tiravano fuori gli addobbi e cominciava veramente la magia, un'attesa emozionante che non vedevi l'ora che arrivasse la sera della Vigilia, i pacchetti tutti pronti sotto l'albero, il solito film che davano tutte le vigilie pomeriggio (era Sette spose per Sette Fratelli, non mi ricordo neanche più quante volte l'ho visto).

Sicuramente non è cambiato il Natale e neanche i suoi riti, forse siamo semplicemente cambiati noi, e l'incantesimo che si provava negli anni della fanciullezza o dell'adolescenza è lentamente evaporato, per lasciar posto ad un lieve disincanto, appena venato di malinconia. L'unico rito che ho rigorosamente mantenuto è il film della Vigilia, solo che ho cambiato anche quello: da Sette Spose per Sette Fratelli a Canto di Natale, un film che adoro e di cui, se non avessi la veneranda età che invece ho, canterei a squarciagola tutte le canzoni assieme alla rana Kermit e a terribili vecchietti Marley (ho un debole per i Muppets, voi no?).

Una cosa che mi fa molta tristezza è la quantità di brutti addobbi in vendita nei casalinghi, a meno di non andare nei negozi un po' di lusso o da Coin, ma lì ci vorrebbe tutta la tredicesima solo per addobbare l'albero: sembra quasi che il monopolio del Natale ormai sia delle fabbriche cinesi, che esportano nel resto del mondo valanghe decorazioni a poco prezzo ma spesso dal gusto piuttosto discutibile.

Non nego di averne comprati anche personalmente una discreta quantità, ma ogni tanto mi incanto a guardare nelle vetrine le decorazioni in stile nordico, magari di legno, le ghirlande ben fatte, gli alberi addobbati con gusto, come nelle illustrazioni di quei giornali che io sfoglio sognante sul divano (sono una fan accanita di Vivere la Casa, non ne ho perso un numero dalla prima uscita).
Quando rimiro quelle case piene di atmosfera, di rose barocche che esplodono dai vasi, cuscini e divani di stoffe country, tappeti, mobili antichi, quadri floreali e pavimenti in cotto, abeti carichi di candele e vassoi di biscotti fatti in casa, i paesaggi innevati fuori dalla finestra e magari un bel gatto addormentato davanti a camino (ma solo i miei sono dei vandali che distruggono tappeti e divani come fossero loro giocattoli personali?), mi verrebbe proprio voglia di riempire la casa di candele e ghirlande di abete, di preparare montagne di dolcetti speziati gorgheggiando le carole natalizie, insomma, di ricominciare a sentire davvero lo spirito festoso del Natale.

Non so, ancora non ho perso del tutto le speranze...e voi?

P.s. sto lavorando ad un nuovo header, tutto natalizio, per addobbare a dovere questo blog e cercare di evocare un po' di magia anche  nel mio spazio virtuale...

(L'immagine in alto è presa da Free Christmas wallpapers )

giovedì 18 novembre 2010

Il Parque Maria Luisa: i Musei

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E' l'ultimo post su Siviglia, lo giuro!!

Ormai ve l'ho mostrata in tutte le salse, vi ho raccontato angolo per angolo questa bella città andalusa, l'ultima visita è questa, nei Musei che si affacciano sulla Plaza de America, dentro il grande Parque Maria Luisa.
Veramente non avevo assolutamente intenzione di entrarci dentro, convinta che non avrei avuto il tempo. Invece, dopo un'oretta a gironzolare per il parco, con la mattina ancora tutta davanti, sono entrata in tutti e due i musei, apprezzando il fatto che anche questi sono gratuiti, come gli altri della città (tranne quello del Flamenco, privato e anche costoso)

Del primo, il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, una parte comunque è chiusa, tutto il secondo piano è in restauro, alla fine quello che rimane è poca cosa.

Rimane il primo piano e il sotterraneo, e anche quello con una mezz'oretta si visita comodamente, posto che alcune sale espongono solo pizzi, centrini, bavaglini, scialli ed altri manufatti che sono bellissimi, d’accordo, ma alla decima vetrina viene voglia di girare i tacchi e ammirare qualcosa di più movimentato che centinaia di centrini fatti al tombolo.

In pratica, tutto il piano espone oggetti, mobili e suppellettili appartenenti ad una famiglia di ricamatori e merlettaie, i Diaz Velazquez, con arredi originali disposti in modo da ricostruire gli ambienti della casa borghese di fine Ottocento, assieme ai ricami e agli attrezzi della fabbrica dismessa. Ho visitato tutte le sale nel silenzio più assoluto, sotto una luce mortifera e sonnolenta, poi ho deciso di averne abbastanza di bavaglini, trine e ricami e sono scesa di sotto.

Il museo è talmente deserto che anche i custodi sembrano aggirarsi smarriti, quasi chiedendosi vagamente perplessi cosa ci fate lì, e forse cosa ci fanno anche loro, in quelle sale oscure e deserte.

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Il piano sotterraneo invece è formato da una serie di stanze che ricostruiscono i vari ambienti di lavoro tra Ottocento e primo Novecento con attrezzi e macchinari originali: il falegname, il fabbro, il frantoio, il vasaio, il sellaio, macchine e utensili utilizzati in agricoltura e così via.

Poi c’è una piccola ma pregevole esposizione di produzione ceramica, dal rinascimento in poi, con dei pezzi veramente notevoli in stile Art Nouveau.

Uscita dal Museo, mi sono diretta in quello opposto, tanto dovevo arrivare all’ora di pranzo e ancora mancava parecchio. Il Museo Archeologico espone opere essenzialmente di epoca romana, di cui alcuni pregevoli statue, oltre ad una parte dedicata a Preistoria e Protostoria.

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Il fatto di aver ammirato le sterminate collezioni di Roma e Parigi non aiuta ad apprezzare adeguatamente questo poderoso esternamente ma scarno museo, ho esaurito anche lì brevemente la mia curiosità, uscendo di nuovo per un ultimo giretto per il parco sotto un cielo improvvisamente cupo, solo a tratti illuminato da un sole velatissimo, che riesce a stento a mitigare un vento fastidioso e gelido.

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Siviglia ha deciso di salutarmi sotto la sua veste più grigia, anche se il caldo sole dei giorni passati mi ha comunque permesso di ammirare le sue bellezze al meglio, colori caldi e squillanti che si stagliano contro un limpidissimo cielo turchese.

Non avevo alcuna voglia di tornare verso il centro, dopo quella passeggiata indolente dentro il parco, allora ho seguito le indicazioni della guida su Viktor, un piccolo ristorante decentrato, in uno di questi vialoni immensi stile Serafico (un quartiere moderno di roma, confinante con l'Eur) che costeggia il Parque, l’Avenida Felipe II: mi sono seduta fuori ed ho ordinato un piatto unico, per la modica cifra di 6 euro e 50.
Due uova fritte, morbide al punto giusto, vere patate fritte, friarelli arrosto (piatto tipico di queste parti), panino caldo da intingere golosamente nel tuorlo quasi liquido, taralli e Coca Cola: tutto semplicissimo ma gustoso, sicuramente meglio di qualunque McDonald’s.
Mi sono gustato il mio semplicissimo pranzo, cercando di imprimermi nella memoria ogni particolare, ogni sapore dei miei ultimi momenti a Siviglia.

Accanto a me, le guide ormai spiegazzate e consunte da tante letture, un quaderno pieno di appunti, pensieri, annotazioni, una valanga di immagini ancora di organizzare, soprattutto nella testa, e un intero viaggio da ricordare, momento per momento, emozione dopo emozione.

giovedì 11 novembre 2010

Ciambella Marmorizzata al Cacao e Giornate Evanescenti


Vorrei raccontarvi qualcosa più di me, davvero. Mi rendo conto di voler sempre meno scrivere solo di ricette, perchè questo blog non è un libro di cucina, mi sto staccando sempre di più dalla definizione di foodblogger, semmai lo sia mai stata.

Vorrei raccontarvi di più delle mie giornate, magari sfogarmi dei miei momenti nervosi, lamentarmi della noia del lavoro, oppure descrivervi con parole vivaci una serata divertente tra amici.
Invece mi sento come immobile nell'acqua stagnante, congelata, pigra e inconcludente, anche nello scrivere.

Come annoiata, ecco.

Certe volte arrivo alla fine della giornata e mi chiedo cosa ho combinato, durante quelle lunghe ore. Dopo aver sbrigato le cose necessarie alla sopravvivenza e all'andamento della casa, comincio a girare su me stessa, tra computer, film, un po' di lettura, poi magari una passeggiata e qualche compera, sull'estro del momento.

Voi direte, e che c'è di male nel passare i propri giorni liberi facendo che ti passa per la testa, senza un programma preciso? in teoria nulla, è solo che vorrei organizzarmi di più, fare per la casa tante cose che sempre rimando, oppure andare al cinema, fare una passeggiata in centro.
Mi rendo conto che, pur non abitandone lontano, ci vado raramente, anche se per arrivare a Piazza di Spagna ci metto dieci minuti con la Metro.



Sono mesi (in qualche caso addirittura anni) che non vado in alcuni luoghi che, invece, quando abitavo a Trastevere, erano una meta pressocchè quotidiana, come fosse un'altra città, come se aver cambiato quartiere avesse cambiato anche la prospettiva della mia vita. Mah, ci vorrebbe così poco a prendere un autobus e ripercorrere più spesso i luoghi a me così cari e familiari...

Sono diventata una campionessa nel fare programmi la mattina e disfarli progressivamente durante il giorno, come una tela che si va facendo sempre più rada ed evanescente col passare delle ore. Tanti progetti in testa, che rimando di giorno in giorno, poi di settimana in settimana, per finire poi nella lista di cose da fare nel futuro prossimo...

E' così anche per i dolci, in questo periodo. La mattina, ottimisticamente, progetto un nuovo esperimento pasticcero, poi col passare delle ore mi sgonfio, come un sufflè, puff, e alla fine ci sono sempre i biscotti nella scatola di latta, per i momenti di emergenza.

Qualche volta però qualcosa mi riesce ancora di portare avanti, e allora mi sembra di aver fatto qualcosa di produttivo, di soddisfacente.


Questo bel dolcetto (devo ammetterlo, mi è riuscito davvero grazioso) è stato assemblato per il famoso stampo da Kugelhupf già sperimentato per la Ciambella al Miele.
Viene davvero carino fatto così, ma potete anche usare uno stampo normale da ciambella, diciamo massimo 22 centimetri, però vi verrà più basso.


Ciambella marmorizzata al cacao
(stampo da Kugelhupf da 18 centimetri)

220 grammi farina
40 grammi fecola di patate
100 grammi di zucchero semolato
2 uova medie
125 ml di yogurt
3 cucchiai olio evo
1 bustina Lievito Paneangeli
3 cucchiai di cacao da aggiungere a metà impasto

Zucchero a velo

Battere le uova intere con lo zucchero con la frusta elettrica, fino a che non siano ben gonfie, quindi aggiungere lo yogurt e l'olio.

Aggiungere la farina e la fecola mescolate col lievito.

Imburrare lo stampo e versare metà dell'impasto, quindi aggiungere il cacao al resto e mescolare bene.

Versare l'impasto scuro nello stampo, mescolandoli solo un po' con la forchetta.

Mettere nel forno caldo a 180 gradi sul secondo ripiano dal basso per circa 45 minuti.

Spolverare con zucchero a velo.


giovedì 4 novembre 2010

Terzo blogcompleanno, tra una dimenticanza e l'altra


Non ho saltato solo Halloween, con mio sommo raccapriccio mi sono ricordata che ho saltato il mio terzo blogcompleanno!! Accidenti, mi è proprio passato per la testa...era il 27 ottobre di tre anni fa, un sabato pomeriggio freddo e un po' deprimente...mai fatto un blog in vita mia, è stato un capriccio momentaneo, una curiosità subito portata a compimento (grazie anche alla facilità con cui si apre un blog), una strada incerta e ancora tutta da inventare, ed invece sono ancora qui, non ci posso credere...

E' vero, ogni tanto comincio a mostrare segni di stanchezza, le idee che prima sprizzavano da tutti i pori, ora rotolano fuori con qualche sforzetto: diciamo che un pizzico di entusiasmo da neofita l'ho perso, anche perchè gli argomenti, prima o poi, si fanno sempre più difficili da trovare.
Ma alla fine, non è un romanzo giallo in cui bisogna trovare a tutti i costi il colpo di scena, quello che racconto è la mia vita, fatta di cose piccole, qualche volta noiose, qualche volta più entusiasmanti.
 Forse è per questo che questo blog ancora continua a vivere, ad evolversi, a raccontare, anche quando talvolta si avrebbe voglia di lasciar perdere tutto.

Quello che mi conforta sono tutte le persone che passano di qui, tutte quelle che commentano e, spesso, mi scrivono privatamente, oppure mi cercano su Facebook :davvero le vostre lettere e i messaggi mi fanno un enorme piacere.

E allora, ecco una nuova ricetta, anzi, proprio nuova non direi, visto che si tratta dei classici Occhi di bue: ma per me è nuova, visto che non li avevo mai fatti.


In questo periodo mi sto cimentando, più del solito, con gli impasti di frolla e simili. Non è che adori la spianatoia, la farina che vola dappertutto, la sensazione del burro scivoloso tra le dita, però ammetto che poi mi piace molto mangiarli, crostate e biscotti.
Avevo della marmellata aperta, nonchè un fantastico vasetto a forma di orsetto, pieno di cioccolato e miele, proveniente dall'Abruzzo, regalo della mia amica Pina. Mi sembrava un peccato mangiarlo sul pane, semplicemente, e poi una volta che  comincio, mi è assolutamente difficile smettere, rischio di infilare pure le dita nel barattolo, proprio come un orsetto goloso ( e i risultati si vedono, ahimè).

Allora ho pensato di fare questi biscotti a Occhio di bue, visto che mi sono rifornita di stampi di fogge svariate, di cui appunto uno a forma tonda e uno più piccolo a cuore. Sono piena di formine e stampini (però mi mancano quelli dei muffins, mannaggia), che non uso mai, stanno nella credenza insieme alla mia collezione di teglie e stampi per dolci, che sta diventando sempre più ingombrante.

Per l'impasto, ho scelto quello che la Golosetti, nell'Enciclopedia Mille Dolci, fornisce per i biscotti semplici (ho dimezzato le dosi), perchè mi sembrava friabile ma non eccesivamente burroso. Tra l'altro, nell'impasto originale figura anche la farina di mais e la fecola e, siccome ne avevo un rimasuglio di ambedue nella credenza, le ho utilizzate volentieri. La frolla è ottima, friabilissima, per niente burrosa, probabilmente la userò anche per fare altri biscotti oppure per una crostata.


Biscotti Occhio di Bue con marmellata di Fragole e Cioccolato-Miele

Per 12 Biscotti completi (grandi):

1 uovo medio piccolo
150 grammi di farina 00
80 grammi di farina di mais finisssima
60 grammi di fecola di patate
90 grammi di burro
90 grammi di zucchero semolato
2 cucchiai di latte
un pizzico di lievito vanigliato

Sciogliere il burro rendendolo morbido, quasi sciolto.

In una ciotola mescolare bene le tre farine e il lievito: al centro mettere l'uovo intero e lo zucchero, aggiungere il burro mescolando con la forchetta.

Aggiungere un paio di cucchiai di latte, e formare un impasto tipo frolla, risulta solo leggermente più appiccicosa.
Mettere nel cellophane una mezz'ora in frigorifero.

Stendere la pasta sulla spianatoia infarinata (tende un po' ad appiccicarsi, bisogna infaririnare spesso) e cominciare a ritagliare le forme tonde. Posizionarle sulla teglia foderata di carta forno poi, una volta fatte tutte, tagliare con la forma a cuore metà dei tondi (conviene direttamente sulla teglia, così il biscotto bucato non si deforma muovendolo).

Cuocere per circa 15 minuti sul terzo ripiano dal basso a 180 gradi, con una teglia al piano di sotto per attenuare il calore (altrimenti si bruciano sotto).

far raffreddare i biscotti, cercare di fare le coppie con biscotti di dimensioni uguali, visto che tendono un pochino a deformarsi, con la cottura.
Farcire quelli tondi, capovolti (cos' la parte bombata va sotto) con la marmellata, la Nutella o quello che volete. Chiudere con il biscotto con il compagno bucato, spolverare di zucchero a velo.

lunedì 1 novembre 2010

La Torta di Nonna Papera


Ho saltato il week-end, ho saltato la notte di Halloween, ho saltato la festa di Ognissanti, insomma, un vero disastro. Col fatto che ho lavorato tutto il lungo finesettimana, non ho avuto neanche tempo di venire a sbirciare nei vostri blog cosa avete preparato di speciale.

Come ho già avuto modo di disquisire qui, in questi ultimi anni sta prendendo piede questa usanza tutta americana della notte di Halloween, che mi lascia francamente un po' dubbiosa, visto che i significati più profondi, quelli che derivano dalle antiche tradizioni legate all'unica notte dell'anno in cui il confine tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti si annulla (e ne abbiamo anche noi, di molto più antiche e anche più interessanti di quelle americane), sono spariti per fare posto a feste e balli con streghe, teschi, pipistrelli e zucche stregate, molto più simile ad un Carnevale fuori stagione. 
D'altra parte, anche feste molto più dense di significati, come il Natale, sono diventate più un business per vendere merce, per cui non mi stupisco più di tanto.



E quindi, niente zucche, dolcetti o scherzetti, per il mio Halloween però, siccome questi giorni ero in vena di sperimentazioni di ricette d'oltreoceano, ho pensato di fare una Apple Pie, ovvero la classica Torta di Nonna Papera! Chi di voi, da piccoli, non ha avuto almeno uno di quei bellissimi manuali tipo il Manuale delle Giovani Marmotte, o appunto quello di Nonna Papera? Io li avevo tutti e due, lo ammetto, ma da piccola preferivo senza rimorsi quello più avventuroso delle Giovani Marmotte. Non so che fine abbiano fatto, questi volumetti dalla copertina rigida, un po' consunta dopo tante letture...credo di averli regalati a qualcuno, anche se recuperare quello di Nonna Papera, adesso, non mi dispiacerebbe.

La tipica torta americana, quella che la simpatica nonnina metteva a raffreddare fuori dalla finestre, mi ha sempre incuriosito ma non mi è mai capitato di assaggiarla, allora ho deciso di cimentarmi.

Leggiucchiando qua e là (questa ricetta di GialloZafferano è molto ben spiegata, e qui ce n'è un'altra simile) , mi sono fatta l'idea che la pasta fosse più sottile e meno dolce della nostra frolla: in quasi tutte le ricette che ho trovato non contiene nè uova nè zucchero, ma solo farina, burro e acqua fredda, tra un impasto di brisè e di strudel, penso.

Nelle istruzioni c'è la raccomandazione di fare la cupola al centro, per farla venire bella bombata, proprio come nei fumetti di Paperino, cosa che ho fatto ma evidentemente non abbastanza, perchè si è inesorabilmente abbassata, durante la cottura.

Questo non ha alterato assolutamente il sapore, molto molto meloso, e non burroso come pensavo (la pasta è delicata, per niente pesante).

Insomma, questa è la ricetta della sperimentazione, ispirata prevalentemente dalla ricetta di GialloZafferano di cui sopra:


Apple Pie

Per una teglia da crostata da 22 centimetri di base e 25 di diametro massimo (se la volete più alta, aumentate le mele)

300 grammi di farina 00
150 grammi di burro
75 ml di acqua fredda
1 cucchiaio di zucchero
un pizzico di sale

950 grammi di mele non sbucciate
1 cucchiaio di farina
6 cucchiai di zucchero
qualche fiocchetto di burro (facoltativo)
succo di limone
cannella

Impastare la farina col burro molto morbido (io l'ho impastata con la forchetta, all'inizio dentro una ciotola e poi sulla spianatoia) aggiungendo lo zucchero, il sale e l'acqua, fino a formare un impasto piuttosto sodo.

Metterla in frigorifero per almeno 30 minuti, nel cellophane.

Nel frattempo tagliare le mele a fettine sottile, irrorarle col limone, mescolare bene con lo zucchero e la farina (serve ad assorbire l'umido delle mele).
Stendere la metà abbondante della pasta sulla carta forno, di dimensioni poco più grandi della teglia.
Rovesciare l'impasto sulla pasta, cercando di mettere più mele al centro, una spolverata di cannella e qualche fiocchetto di burro, se volete. Io non ho esagerato con la cannella perchè mi piace, però non troppa.

Stendere il resto della pasta e coprire la torta, ritagliando quella in eccesso.

Chiudere la torta con i rebbi della forchetta, facendo qualche buco qua e là per far uscire l'umidità ( anche se a me un po' di liquido è fuoriuscito sotto).

Con la poca pasta che vi avanza fate qualche piccola decorazione (io ho usato uno stampino da biscotti a forma di cuore). Spennellate di latte la torta, applicate le decorazioni.

Io ho messo la torta sul terzo ripiano dal basso, dove metto le crostate.
I tempi di cottura sono stati:
20 minuti a 190 gradi
50 minuti a 180 gradi (non si cuoceva mai)

Ho tolto la torta, l'ho spennellata con un uovo sbattuto, cosparsa di zucchero a velo e messa di nuovo nel forno spento per altri dieci minuti.

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